Collegati con noi

Esteri

‘Progressi sulla pace’, presto la telefonata Trump-Putin

Pubblicato

del

“Distanze ridotte” tra Russia e Ucraina, una telefonata nei prossimi giorni tra Donald Trump e Vladimir Putin e un accordo forse “nel giro di qualche settimana”. Passi avanti verso la tregua e la pace secondo Steve Witkoff, l’inviato del presidente americano in prima fila nei dossier ucraino e mediorientale, che sabato ha riferito al tycoon a Mar-a-Lago l’esito del lungo incontro con lo zar a Mosca. Un faccia a faccia “positivo”, ha dichiarato poi alla Cnn, dicendosi fiducioso in qualche progresso reale a breve. “Penso che i due presidenti avranno una discussione davvero buona e positiva questa settimana”, ha anticipato, aggiungendo che Trump “si aspetta davvero che ci sia una sorta di accordo nelle prossime settimane, e credo che sarà così”. Si tratterebbe della seconda telefonata nota quest’anno tra i due leader, dopo quella “lunga e altamente produttiva” seguita al rilascio del docente americano Marc Fogel, negoziato sempre da Witkoff.

Quest’ultimo ha però dribblato quando gli è stato chiesto se Trump e Putin decideranno nella telefonata se attuare la tregua di 30 giorni già accettata da Kiev. “Il presidente Trump è il decisore ultimo, come lo è il presidente Putin per la Russia”, ha risposto, aggiungendo che il solo fatto che si parleranno “dimostra che c’è uno slancio positivo”. Witkoff ha quindi assicurato che “le distanze tra Kiev e Mosca si sono ridotte” e che il team di negoziatori Usa incontrerà questa settimana quello ucraino e anche quello russo. L’inviato di Trump ha però ammesso che la situazione è “molto complicata, più di quella a Gaza”, elencando alla Cbs una serie di nodi: lo stop ai combattimenti lungo un confine lungo ben 2000 km, le incursioni di Kiev nella regione russa del Kursk, il fatto del reattore nucleare ucraino di Zaporizhzhia, l’accesso al Mar Nero. Ma si è detto ottimista perché “le parti interessate, compresi gli europei, sono impegnate a fare tutto il necessario per arrivare a una soluzione positiva”.

Note incoraggianti anche dal segretario di Stato Marco Rubio, che sabato si è sentito col ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov, definendo il colloquio “promettente” (nonostante la richiesta di Mosca di fermare i raid sugli Houthi) e aggiungendo di sperare “di poter annunciare qualcosa abbastanza presto”. Il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz ha ventilato nuovamente che Kiev dovrà probabilmente rinunciare alla membership Nato e anche cedere territori, un sacrificio in contrasto con l’integrità territoriale ribadita dai ministri degli Esteri del G7 in Canada. “Quello che abbiamo sentito da Putin è che prenderà assolutamente in considerazione il cessate il fuoco, ma ci sono altre cose che vorrebbe vedere e la squadra di Trump per la sicurezza nazionale le valuterà nei prossimi giorni”, ha spiegato ad Abc. In effetti lo zar ha aperto alla tregua ma ad una serie di condizioni. Mosca, ha spiegato il consigliere diplomatico del Cremlino Yury Ushakov, ha ribadito a Washington le sue preoccupazioni sul piano per il cessate il fuoco, ovvero che da parte russa lo si considera “un tentativo di concedere un momento di respiro alle forze ucraine, che sono al momento in difficoltà poiché l’esercito russo è in fase offensiva in tutti i settori”.

Ma ha confermato che si lavora anche per un incontro Putin-Trump a tempo debito. Nel frattempo il presidente americano ha dimezzato il ruolo di Keith Kellogg, ora inviato speciale solo per l’Ucraina e non più anche per la Russia, dopo che Mosca aveva fatto trapelare il suo scarso gradimento per il generale, considerato più simpatizzante verso la causa ucraina. Al momento non si intravede però quali concessioni potrebbe o dovrebbe fare Mosca al tavolo della pace, mentre continua a bombardare senza tregua l’Ucraina.

Advertisement

Esteri

I 5 secondi che hanno messo in ginocchio la Spagna

Pubblicato

del

Cinque secondi, il tempo di un sospiro, ma lunghissimi in termini di velocità della luce. Sono stati sufficienti per mettere in ginocchio la Spagna. E’ il lasso di tempo in cui si sono verificate “due perdite di generazione di corrente successive, che il sistema non è stato in grado di assorbire”, provocando alle 12,33 di lunedì il crollo al ‘punto zero’, il collasso totale del sistema elettrico.

La causa di quei cali di tensione, con un intervallo di appena un secondo e mezzo fra loro, seguito dopo 3,5 secondi dal collasso, è il principale nodo che si cerca di sciogliere per risalire alle origini del grande buio in cui è sprofondata ieri la penisola iberica, come ha spiegato il capo delle operazioni della Rete Elettrica Spagnola (Ree), Eduardo Prieto. “Bisognerà analizzare il perché si sono prodotte le due disconnessioni, in particolare la seconda che ha portato al collasso del sistema”, ha segnalato Prieto. Si dovranno “verificare le cause, analizzare la potenza, l’ubicazione, le condizioni in cui si è prodotta la disconnessione”.

Ma ha anche riconosciuto come “molto probabile” che la fonte di generazione interessata dal calo sia quella solare, senza dare però ulteriori spiegazioni. Lunedì, in quei cinque secondi precedenti al collasso, che ha fatto “scomparire 15 gigawatt di elettricità dalla rete”, l’equivalente al 60% della domanda di energia spagnola – come aveva segnalato il premier – si era registrato un picco di produzione di energia solare nella zona del sudovest della Spagna, in Estremadura. E le rinnovabili stavano fornendo il 78% della domanda di elettricità del Paese. Il surplus di energia disponibile avrebbe provocato uno sbilanciamento della rete elettrica iberica, rendendo impossibile assicurare la stabilità del sistema, secondo quanto ha ipotizzato l’ex presidente di Rete Elettrica, Jorge Fabra, a Tve. Un primo squilibrio sarebbe stato assorbito dalla rete, mentre il secondo con un effetto domino, avrebbe superato la capacità di risposa del sistema, facendo crollare prima la rete spagnola e poi quella portoghese. E causando il distacco della interconnessione con la Francia.

Continua a leggere

Esteri

Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

Pubblicato

del

È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

Continua a leggere

Esteri

Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

Pubblicato

del

Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto