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Cultura

Dalle viscere di Pompei emerge un’altra meraviglia, Osanna ci porta dentro “la casa dei demoni buoni”

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È un sontuoso larario dipinto di circa 4m x 5m quello che emerge dalle viscere della terra di Pompei. Tra i lapilli che seppellirono la città con l’eruzione,  in  un ambiente ancora in corso di scavo nella Regio V di Pompei, nell’ambito dei lavori di consolidamento dei fronti di scavo, previsti dal Grande progetto Pompei, c’è un altro tesoro che presto sarà visitabile.

Il bel larario, tra i più  eleganti emersi a Pompei, è pertinente ad un ambiente di una casa già in parte scavata agli inizi del Novecento, con accesso dal vicolo di Lucrezio Frontone.  Al centro di una parete con paesaggi idilliaci e una lussureggiante natura con piante e uccelli,  si trova l‘edicola sacra con ai lati dipinte le figure dei “Lari” protettori della casa e, al di sotto, due grandi serpenti “agatodemoni”(demone buono), simbolo di prosperità e buon auspicio. In un continuo gioco tra illusione e realtà si mescolano e confondono nell’ambiente, piante dipinte con quelle vere che dovevano crescere rigogliose nell’aiuola sottostante il larario, mentre un pavone dipinto sembra calpestare il terreno del giardino. Al pari, l’ara dipinta al centro dei due serpenti, con le offerte  (la pigna e le uova), trova corrispondenza in un’arula (piccolo altare) in pietra ritrovata nel giardinetto e sulla quale ancora insistono tracce di bruciato delle offerte che servivano a onorare le divinità domestiche, a garanzia del benessere e della prosperità di tutta la famiglia. Sulla parete opposta, invece, una scena di caccia su fondo rosso con diversi animali di colore chiaro che circondano un cinghiale nero, sembra alludere simbolicamente alla vittoria delle forze del bene sul male.

Si trattava di una stanza adibita al culto, ancora tuttavia da definire nella disposizione degli spazi, considerata la presenza insolita di alcuni elementi come la vasca bordata dal giardinetto, posta al centro dell’ambiente  e lo spazio soppalcato che chiude uno dei lati, ancora interamente da scavare.

Questi straordinari ritrovamenti che continuano a regalare grandi emozioni, rientrano nel più vasto intervento di manutenzione, quello della messa in sicurezza dei  fronti di scavo – dichiara il Direttore Generale Massimo Osanna – che sta interessando i circa 3 km di fronti  che delimitano l’ area non scavata di Pompei. Un intervento fondamentale in una delle aree più  a rischio del sito, mai prima trattata complessivamente e che oggi grazie all’operazione di riprofilamento dei fronti, che ha lo scopo di ridurre la pressione del terreno sulle aree già scavate, ci sta anche consentendo di portare alla luce ambienti intatti con splendide decorazioni.”

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Cultura

Valentina Alferj ricorda Andrea Camilleri: “Mi manca il suo senso civile, le parole erano pietre”

L’ex assistente di Camilleri, Valentina Alferj, racconta il loro legame umano e professionale, dal metodo di scrittura condiviso fino al ruolo civile della parola.

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Valentina Alferj, per sedici anni accanto ad Andrea Camilleri (foto Imagoeconomica), oggi guida una sua agenzia letteraria. È reduce dalla prima edizione del Festival di Teatro della Biennale di Venezia, realizzata insieme a Willem Dafoe. In una lunga intervista al Corriere della Sera, racconta il suo legame con il grande scrittore siciliano.

L’ultimo saluto e una promessa di vita

«Lo salutai al telefono il giorno prima che perdesse conoscenza. Ero a Ischia, rientravo a Napoli in barca. Mi disse: sarà un viaggio bellissimo». Un saluto che Valentina ha trasformato in un impegno a celebrare ogni giorno l’esperienza condivisa con lui.

Una bottega di scrittura condivisa

Alferj incontrò Camilleri nel 2003 al Festival di Massenzio. Fu lui a cercarla il giorno dopo: «Hai degli occhi intelligenti, mi piacerebbe lavorare con te». Da allora, un rapporto professionale e umano che si è trasformato in una vera e propria “bottega” letteraria. Dopo la perdita della vista, Camilleri le chiese di scrivere con lui, dettando i romanzi. «Facevo da tubo catodico tra lui e la pagina bianca», racconta Alferj.

Il metodo Camilleri: rigore e musicalità

Ogni libro di Montalbano obbediva a una “gabbia narrativa”: numero fisso di capitoli, righe per pagina, ritmo preciso. Anche da cieco, Camilleri chiedeva: “Siamo a riga 15, vero?” La padronanza del ritmo narrativo era totale. Il vigatese, lingua in progress, era appreso da Valentina “leggendo e ascoltando”, per comprenderne evoluzioni e sonorità.

I personaggi di Camilleri erano reali

«I romanzi non nascevano da invenzione, ma da occasioni reali. Mio figlio Andrea e mia figlia Gilda, i problemi scolastici, la mia migliore amica: tutto diventava racconto». Camilleri trasformava ogni aneddoto quotidiano in letteratura.

L’eredità morale di un autore civile

Ciò che più le manca non è solo l’amico, ma la sua “responsabilità civile”. «Negli anni di pandemia e di guerre mi sono spesso chiesta cosa avrebbe detto lui». Per Camilleri, nato nel 1925, la parola “pace” aveva un valore assoluto. «Le parole erano pietre – afferma Alferj – le costruiva con il corpo, la voce, il silenzio. Non si poteva non ascoltarlo».

L’incontro con Willem Dafoe e la Biennale

L’incontro con Willem Dafoe, voluto da Pietrangelo Buttafuoco, l’ha portata a collaborare con la Biennale Teatro. «Dafoe sapeva dei miei trascorsi teatrali. E uno dei momenti più belli è stato il “Pinocchio” di Davide Iodice, anche lui allievo di Camilleri all’Accademia».

Il passaggio del testimone

Dalla bottega con Camilleri, alla creazione della sua agenzia letteraria, oggi con Lorenza Ventrone e Carmela Fabbricatore. «Mi ha insegnato che la peculiarità umana delle persone con cui lavoriamo è più importante di qualsiasi successo».

Alla fine, tutto torna a lui: «Vedo il disegno che i puntini compongono. E in quel disegno, intravedo il sorriso di Andrea Camilleri».

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Cultura

Riccardo Muti, 84 anni di musica e vita: «La mia giovinezza tra Napoli, il podio e un naufragio con Liliana Cavani»

Il Maestro racconta ricordi, passioni e visioni: dai compleanni senza fuochi alla fuga da Salisburgo, dalla difesa di Totò alla sua tenuta ai piedi di Castel del Monte

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«Un compleanno è solo un altro anno che passa. Vorrei togliermene uno alla volta». Riccardo Muti compirà 84 anni il 28 luglio e sceglie di vivere quel giorno con sobrietà, come ha sempre fatto, anche quando — racconta in una lunga intervista al Corriere della Sera — una notte di festa per i suoi 40 anni finì in un naufragio nel golfo di Napoli, in compagnia di Liliana Cavani, Ezio Frigerio e altri amici illustri.

Naufragio nel Golfo: «Ci salvò un rimorchiatore»

Era il 1981. Dopo una cena a Sorrento e una serata tra musica e amici, la traversata in motoscafo verso Capri si trasformò in un incubo: nebbia, luci confuse, una virata all’ultimo secondo per evitare un rimorchiatore. «L’acqua entrò a fiotti, ci salvarono i marinai». L’episodio finì sulla prima pagina del Mattino. E il Maestro ride ancora ricordando Verde Visconti che nel caos chiese un decaffeinato con lo zucchero.

Il circo del podio e le derive del politicamente corretto

Per Muti, il gesto sul podio deve servire la musica, non diventare uno show. «Siamo diventati una società che vede più che ascoltare. E molti direttori usano il podio come se fosse un palcoscenico personale». Come quando a Carlos Kleiber, alla Scala nel 1976, dal loggione gridarono “Povero Verdi”. Lui, da allora, non tornò più a Londra.

Il politicamente corretto lo preoccupa: «Cambiare i nomi di Ping, Pang e Pong in Jim, Bob e Bill è razzismo al contrario. Bisogna contestualizzare, non riscrivere». E sulla cultura popolare, non ha dubbi: Totò, Eduardo, Sordi erano sorgenti d’arte pura, non figli dell’Accademia.

Il legame con Napoli e la delusione per il San Carlo

Napoli è nel cuore di Muti, ma spesso delude: «Il San Carlo ha una storia gloriosa, ma nel mondo si parla di Napoli per ben altro». Nei suoi cinque anni al Festival di Pentecoste a Salisburgo ha portato la scuola musicale napoletana: «Le vie della città ricreate per raccontare la nostra bellezza». Eppure, continua, De Simone è stato dimenticato in vita, salvo poi essere celebrato a morte avvenuta.

Puglia, olio e un sogno ottagonale

Oltre a Napoli, c’è la Puglia: Castel del Monte, il castello ottagonale di Federico II, è per Muti una fonte di ispirazione. Ai suoi piedi ha comprato un terreno e lo coltiva, con la famiglia, a olivo. Ne nasce l’olio “Il Trionfo dell’ottagono”, omaggio anche a Philip Glass, che gli dedicò un brano.

La musica, la pace e il rimpianto più grande

«Cantare è proprio di chi ama», dice citando sant’Agostino. Di recente ha diretto a Ravenna 3.316 coristi da tutta Italia, e sogna di rifarlo. Ma l’ultimo pensiero è dedicato alla pace: «Quando vediamo bambini affamati nei telegiornali, non possiamo restare indifferenti». E ricorda che l’ultima parola della Messa in fa minore di Bruckner — che dirigerà a Salisburgo — è “pace”.

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Cultura

Riccardo Muti a Pompei: “Ogni ritorno in Campania è un tuffo nel mio passato. La cultura del Sud va difesa”

Riccardo Muti si racconta al Mattino: l’amore per Napoli, la formazione al San Pietro a Majella, l’omaggio a Rota e la difesa della cultura del Sud con la musica.

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Riccardo Muti torna in Campania e si lascia avvolgere dalla memoria. «Ogni ritorno a Napoli o a Pompei è un ritorno all’infanzia, all’adolescenza, alla nostalgia di un passato meraviglioso, di luoghi magici», racconta in una lunga intervista al Mattino. E lo fa alla vigilia del concerto che il 24 luglio dirigerà nell’anfiteatro degli scavi di Pompei con l’Orchestra Giovanile Cherubini.

Nel ricordo di quel ragazzo che a Pompei fece la Prima Comunione nella Basilica del Rosario e che a Napoli, tra il liceo Vittorio Emanuele e il conservatorio San Pietro a Majella, pose le basi di una carriera leggendaria, c’è tutta l’intensità di un uomo che continua a difendere la cultura del Sud.

Un programma per tutti, ma non semplice

Nel programma della serata, nell’ambito della rassegna “Beats of Pompeii”, brani popolari ma non banali: Bellini, Verdi, Rota e Ravel. «Sì, è musica che tutti conoscono, ma non per questo è semplice. È un repertorio che mostra diverse sfumature della grande musica sinfonica», spiega Muti.

In particolare, “Le quattro stagioni” di Verdi da I Vespri siciliani è un passaggio che il Maestro difende con forza: «È uno dei brani sinfonici più importanti di Verdi. Eppure viene spesso tagliato a teatro: è un errore. È un delitto tagliarlo».

L’omaggio a Nino Rota, il maestro dimenticato

Nel programma anche la celebre colonna sonora de Il Padrino di Nino Rota, di cui Muti parla con affetto e riconoscenza: «Fu lui a riconoscere il mio talento e ad indicarmi il percorso da seguire. È grazie a lui se ho fatto la strada che ho fatto».

Ma aggiunge con amarezza: «In Italia Rota non è ancora considerato come merita. È stato molto di più che un autore di colonne sonore: ha scritto musica sinfonica, operistica, da camera. Tutta da scoprire».

San Pietro a Majella: promesse ancora non mantenute

Il Maestro non nasconde la delusione per lo stato del Conservatorio di Napoli dove si formò: «L’ultima volta che sono passato da lì sono rimasto molto colpito negativamente. So che la Regione ha stanziato fondi importanti e che i lavori dovrebbero partire a novembre, ma in Giappone in questo tempo avrebbero costruito un grattacielo. Basta progetti infiniti. San Pietro a Majella è un patrimonio mondiale, non solo napoletano».

Pompei e i luoghi della cultura del Sud

Il concerto a Pompei è la tappa finale di un tour iniziato a Udine e passato da Lucca. Un ritorno, due anni dopo l’esibizione nel Teatro Grande degli Scavi in occasione delle “Vie dell’Amicizia”. Ma è anche una dichiarazione d’amore per la cultura meridionale.

«Pompei, Paestum, Agrigento… sono luoghi che raccontano la bellezza e la storia millenaria del Sud», dice. E ricorda l’emozione di suonare davanti al Tempio della Concordia o al Tempio di Nettuno, mentre si alzava la luna.

La missione di un uomo del Sud

«Vorrei che questi eventi non fossero episodi isolati, ma parte di un percorso culturale forte», afferma Muti con passione. E aggiunge: «Io, napoletano da parte di madre e pugliese da parte di padre, sento il dovere di difendere i valori della cultura meridionale, tanto più attraverso la musica, che è un linguaggio universale capace di unire i popoli».

La musica, per Muti, è un ponte verso la pace, uno strumento per rendere l’uomo migliore, un messaggio rivolto soprattutto ai giovani: «Devono amare le loro radici e la loro terra. Io continuo a farlo».

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