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Corona Virus

Pfizer, richiamo a 21 giorni ed è corsa a smaltire Astrazeneca

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Una tempistica precisa per l’inoculazione della seconda dose di Pfizer, che si attenga a quella dei 21 giorni dopo la prima, e una spinta decisiva da imprimere alle somministrazioni del siero di Astrazeneca anche tra gli under 60, affinche’ siano utilizzate e non restino nei frigoriferi. Continua a rimodularsi la campagna vaccinale nelle varie regioni: in tante potrebbero rivedere la programmazione delle iniezioni, anche in vista dei nuovi carichi di fiale. Se a maggio gli shot previsti sfiorano i 17 milioni, a giugno ne saranno stoccati altri 25: un arrivo “massiccio” di vaccini che potrebbe aumentare i numeri quotidiani delle immunizzazioni, annuncia il generale, secondo il quale pero’ il richiamo di Pfizer nella maggior parte dei casi puo’ restare sulla distanza dei 42 giorni. Nell’incontro avvenuto in queste ore con i governatori, il commissario per l’Emergenza, Francesco Figliuolo, ha pero’ anche ribadito che non va fatta nessuna fuga in avanti: fino alla fascia dei 50enni bisogna continuare a somministrare per classi di eta’ decrescenti e di fragili, seguendo la programmazione ed i tempi del Piano nazionale. Non sembra ancora il momento quindi per le inoculazioni nelle aziende che – nonostante siano gia’ state sollecitate da piu’ regioni – non avverranno prima dell’inizio di giugno. Alcuni territori pero’ puntano a ‘smaltire’ le dosi dei cosiddetti vaccini ‘a vettore virale’ (AstraZeneca o Johnson & Johnson), che dal 17 maggio nel Lazio potranno essere inoculati anche agli ultraquarantenni, ma solo negli studi del proprio medico di base. Nella regione ci si organizza anche con un ‘open day’ appositamente dedicato. Resta il nodo sulla possibilita’ di rendere esplicita la raccomandazione per l’immunizzazione degli under 60 con il siero di Astrazeneca (anche se al momento non e’ comunque vietato), un invito gia’ arrivato da Figliuolo una settimana fa. Il ministero della Salute aveva chiesto al Comitato tecnico scientifico di valutare questa eventualita’, ma gli esperti al momento non hanno formulato alcun parere e hanno chiesto al Commissario di avere i dati relativi a quanti sono i soggetti ancora da vaccinare in quella fascia d’eta’. Quest’ultimo ha intanto confermato ai governatori che il punto di riferimento sono i pronunciamenti del Comitato tecnico scientifico. A cambiare ancora potrebbe essere la data fissata per i richiami di Pfizer, che boccia l’allungamento a cinque settimane della finestra per questo tipo di iniezione e chiede di attenersi a quello che e’ emerso dagli studi scientifici che ne hanno permesso l’autorizzazione: la stessa societa’ ha detto che “il vaccino e’ stato studiato per una seconda somministrazione a 21 giorni. Dati su un piu’ lungo range di somministrazione al momento non ce ne sono se non nelle osservazioni di vita reale, come e’ stato fatto nel Regno Unito”, ma secondo la struttura commissariale, per tutti gli altri – esclusi i fragili – e’ raccomandato lo spostamento a 42 giorni. Al momento il periodo tra i 21 e i 28 giorni di distanza per il richiamo e’ previsto solo in Val D’aosta, Abruzzo e Sardegna, fino a 35 giorni per Piemonte, Emilia Romagna, Umbria, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. In tutte le altre fino a 42 giorni. Nuove grane sul fronte europeo per Astrazeneca, dopo il mancato rinnovo da parte dell’Ue al vaccino. Bruxelles ha annunciato una nuova azione legale contro la societa’ di Oxford, chiedendo “la consegna entro giugno delle 90 milioni dosi che sarebbero dovute arrivare alla fine del primo trimestre, visto che ne sono state ricevute solo 30 su 120”. In ogni caso in Italia le dosi previste per tutto il 2021 restano confermate, comprese quelle del siero anglo-svedese. Per questo – garantisce Figliuolo – non c’e’ alcun problema sulle seconde dosi. “Nelle prossime settimane arriveranno milioni di nuovi vaccini, non c’e’ dunque alcun rischio di rimanere a corto di dosi. Ci sono tutte le condizioni per proseguire nel buon lavoro che stiamo facendo”, spiega il ministro per le Autonomie, Mariastella Gelmini. E negli Usa le vaccinazioni potrebbero riguardare anche i bambini dal prossimo mese, quando potrebbe arrivare l’autorizzazione alla somministrazione sotto i 12 anni di eta’.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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