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Economia

Per 3 milioni di italiani il covid non esiste e la Terra è piatta: lo dice in Censis

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C’e’ un’onda di irrazionalita’ che si propaga nella societa’. Che animata da superstizioni premoderne e speculazioni complottiste afferma che il covid non esiste o che la Terra e’ piatta. E’ una componente minoritaria ma non irrilevante della societa’, che non e’ solo nei movimenti di protesta che hanno infiammato le piazze no vax, ma che conquista i vertici dei trending topic sui social e scala le classifiche di vendita dei libri. A mettere a fuoco il fenomeno e’ il 55esimo Rapporto del Censis, che analizzando la situazione sociale del paese delinea un’Italia in cui si assiste ad un boom della poverta’, in cui la pandemia ha accentuato la vulnerabilita’ mettendo alla prova soprattutto giovani e donne, che guarda con inquietudine al futuro e che malgrado il rimbalzo del Pil non crede che torneremo piu’ al benessere del passato. La prima grande questione e’ la “societa’ irrazionale”, la definisce il Censis, accendendo il faro su questo fenomeno che cresce accanto alla maggioranza ragionevole e saggia: ci sono i circa 3milioni di italiani (il 5,9%) per i quali il Covid non esiste e quelli (il 10,9%) per cui il vaccino e’ inutile e inefficace, ma c’e’ anche la tecno-fobia di chi (il 19,9%) considera il 5G uno strumento per controllare le menti e il negazionismo storico-scientifico dei terrapiattisti (il 5,8%) o di chi (il10%) e’ convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna, fino ai cospirazionisti del ‘gran rimpiazzamento’ (ben il 39,9%), certi del pericolo della sostituzione etnica. “Un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico”, che e’ pero’ “la spia di qualcosa di piu’ profondo”, avverte il Censis, spiegando che questo non e’ che l’esito di aspettative che rimangono insoddisfatte. E infatti la stragrande maggioranza degli italiani pensa di meritare di piu’ nel lavoro (82%) e nella vita in generale (65,2%). A completare il quadro, l’81% pensa che sia molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento profuso nello studio e due terzi della popolazione (il 66,2%) ritiene che si vivesse meglio in passato. Ma la fotografia del Censis immortala anche un paese sempre piu’ povero (le famiglie in poverta’ assoluta nel 2020 sono 2 milioni, +104,8%), con una situazione peggiorata soprattutto al Nord. Una societa’ in cui il patrimonio delle famiglie continua a ridursi e permane un gap salariale non solo tra donne e uomini, ma anche tra under30 e over45 e tra contratti fissi e a termine. In questa societa’ in cui nascono sempre meno figli e il ‘silver welfare’ resta una colonna, a pagare il prezzo piu’ salato della pandemia, sono stati donne e giovani. Le donne, che nell’anno del covid hanno avuto piu’ paura con un boom di richieste di aiuto, si sono trovate senza lavoro e con un surplus di difficolta’ da gestire in casa con il doppio carico figli-lavoro: il tasso di attivita’ e’ cosi’ sceso al 54,6%, lontanissimo da quello degli uomini (72,9%), collocando l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi europei. Guardando ai giovani, dove non si arresta il fenomeno dei Neet (ragazzi che non studiano e non lavorano) con l’Italia tristemente al primo posto in Europa, l’effetto della pandemia e’ stato il diffondersi di forme di depressione e disagio esistenziale tra gli studenti. Nota positiva la ripartenza dei consumi e il rimbalzo dell’economia, anche se restano rischi che congiurano contro la ripresa, dalla fiammata dell’inflazione ai rischi di strozzature sul Pnrr. In questo quadro, gli italiani restano pessimisti: solo il 15,2% degli italiani pensa che dopo la pandemia la propria situazione economica sara’ migliore, ma la maggioranza non vede mutamenti e quasi uno su tre pensa che peggiorera’. Una fase di “transizione”, piu’ che di “crisi”, la definisce il Censis, a significare che “il momento piu’ grave e’ ormai alle spalle”. Ma oggi “l’adattamento continuato” non regge piu’, ed e’ necessario ripensarsi, ripartendo dal “reale”, conclude il Centro studi che indica la strada: “e’ il tempo di un cronoprogramma serio”, di “riforme strutturali” e “dell’intervento pubblico” con “scelte coraggiose”.

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Economia

Trump: non rimuoverò Powell prima della scadenza

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Donald Trump ha dichiarato in un’intervista a Nbc che non rimuoverà Jerome Powell (foto in evidenza Imagoeconomica) dalla carica di presidente della Fed prima della scadenza del suo mandato, prevista per maggio 2026, definendo il banchiere centrale una persona “completamente rigida” e ripetendo gli appelli alla Fed ad abbassare i tassi di interesse.

rump ha affermato che Powell non è un suo fan, ma si aspetta che la Fed abbassi i tassi di interesse a un certo punto. “Beh, dovrebbe abbassarli. E a un certo punto lo farà. Preferirebbe di no perché non è un mio fan”, ha detto, sostenendo di non piacere a Powell perché lo ritiene una persona totalmente rigida e incapace. Alla domanda se avrebbe rimosso Powell prima della fine del suo mandato come presidente nel 2026, Trump ha rilasciato la sua smentita più decisa, dicendo: “No, no, no… perché dovrei farlo? Potrò sostituire quella persona tra poco tempo”.

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Economia

Sncf sfida Trenitalia e Italo: “Porteremo 10 milioni di nuovi passeggeri sull’alta velocità italiana”

La francese Sncf vuole entrare nel mercato AV italiano con 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Investimento da 800 milioni e 300 assunzioni.

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L’operatore francese chiede spazio per 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Ma le trattative con Rfi sono complicate: “Binari saturi, serve razionalizzare”

Milano–Roma–Napoli, ma anche Torino–Venezia: sono queste le direttrici su cui Sncf, il colosso ferroviario francese, punta per rompere il duopolio Trenitalia-Italo nell’alta velocità italiana. Dopo i primi contatti nel 2022, il debutto dei treni francesi è atteso per l’estate del 2027, ma le difficoltà non mancano.

In una lunga intervista al Corriere della Sera, Caroline Chabrol (le foto sono di Imagoeconomica), direttrice generale di Sncf Voyages Italia, racconta le ambizioni del gruppo: “Non vogliamo sottrarre clienti alle aziende esistenti. Il nostro obiettivo è intercettare milioni di italiani che oggi non viaggiano in treno”.

Da Milano a Parigi: +10% di passeggeri, nonostante la frana

Sncf è già presente in Italia con il collegamento Milano–Torino–Parigi, interrotto a lungo per una frana e recentemente ripristinato. “Nonostante il viaggio sia passato da 7 a 9 ore, la domanda è rimasta alta. Le prenotazioni estive 2025 sono aumentate del 10%”, spiega Chabrol.

Con tre frequenze giornaliere, si stimano circa 700mila passeggeri all’anno. Proprio questi volumi hanno spinto la società a investire sull’alta velocità nazionale: “Abbiamo ordinato 15 nuovi TGV M a due piani adattati alle infrastrutture italiane”.

CAROLINE CHABROL DIRETTRICE SNCF VOYAGES ITALIA

Trattative difficili con Rfi: “Ci avevano dato due viaggi, poi solo uno”

Sncf ha chiesto 13 frequenze giornaliere a Rfi: 9 tra Torino–Milano–Roma–Napoli, 4 tra Torino e Venezia. Ma, secondo la dirigente, “le trattative sono state frustranti: all’inizio ci avevano dato due viaggi a direttrice, poi sono scesi a uno. Non è sostenibile”.

Sullo sfondo c’è anche un’indagine dell’Antitrust italiano, che sospetta un possibile “abuso di posizione dominante” da parte di Rfi nell’ostacolare l’ingresso di Sncf. La società che gestisce i binari respinge ogni addebito.

Un piano industriale da 800 milioni e 300 nuove assunzioni

Sncf stima 10 milioni di passeggeri all’anno, con una potenziale sottrazione del 30% agli operatori attuali, ma la strategia resta quella di “aumentare lo switch modale”, spingendo chi oggi viaggia in auto, aereo o autobus a passare al treno.

Ogni treno in doppia composizione potrà trasportare 1.300 passeggeri, con tariffe non ancora definite, anche se si smentisce l’intenzione di diventare una low cost: “Guardiamo anche al segmento corporate”, precisa Chabrol.

Il piano prevede 800 milioni di investimento e 300 assunzioni in Italia, tra macchinisti, capitreno, manutentori e addetti operativi.

“Binari saturi, il modello multi-frequenza non regge più”

La sfida non sarà solo con Trenitalia e Italo, ma anche con la capacità della rete ferroviaria. “I binari sono saturi, e questo sta causando ritardi. Il modello di alta frequenza non è più sostenibile. Serve una razionalizzazione dell’offerta”, dice Chabrol.

Sncf pagherà circa 50 milioni di euro l’anno a Rfi per l’uso dell’infrastruttura, ma chiede in cambio condizioni eque per garantire concorrenza. “Portiamo valore a tutto il sistema, anche all’Italia”, conclude.

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Economia

L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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