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Parolin a Pezeshkian: Iran non allarghi il conflitto

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La Santa Sede si fa parte attiva nel cercare di scongiurare l’allargamento del conflitto in Medio Oriente. Mentre si fanno insistenti le indicazioni su un ormai imminente attacco dell’Iran a Israele, in risposta all’uccisione il 31 luglio a Teheran del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, questa mattina il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha avuto un colloquio telefonico con il nuovo presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, proprio per riaffermare il ‘no’ ad una possibile escalation che infiammi oltremisura, e con conseguenze imprevedibili, lo scenario attuale. Il cardinale si è dapprima congratulato con il presidente, eletto alla guida della Repubblica Islamica a inizio luglio, per l’inizio del suo mandato avviato il 28 luglio.

Nella telefonata – di cui ha riferito il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni – sono stati trattati “temi di comune interesse”, ma soprattutto Parolin “ha espresso la seria preoccupazione della Santa Sede per quanto sta accadendo in Medio Oriente, ribadendo la necessità di evitare in ogni modo che si allarghi il gravissimo conflitto in corso e preferendo invece il dialogo, il negoziato e la pace”. Restano questi – il dialogo, il negoziato e la pace – i punti di riferimento della diplomazia pontificia affinché si risolva la guerra in corso a Gaza, e nel muovere i propri passi contro l’estensione del conflitto, parallelamente ai leader europei, come quelli di Regno Unito, Francia e Germania, che chiedono a Teheran di astenersi dall’effettuare attacchi di rappresaglia contro Israele. L’interlocutore diretto del Vaticano in tale contesto è il neo presidente Pezeshkian, un “riformista” che finora ha fatto in modo che si rinviasse l’attacco diretto dell’Iran a Israele, ma che fa fatica a resistere alle pressioni oltranziste e interventiste della teocrazia sciita e dei “guardiani della rivoluzione”.

L’iniziativa del card. Parolin fa seguito ai numerosi richiami del Papa, come quello di mercoledì scorso al termine dell’udienza generale, quando Bergoglio aveva ribadito l'”appello a tutte le parti coinvolte affinché il conflitto non si allarghi e si cessi immediatamente il fuoco su tutti i fronti, a partire da Gaza, dove la situazione umanitaria è gravissima, è insostenibile”. “Prego – aveva aggiunto – perché la ricerca sincera della pace estingua le contese, l’amore vinca l’odio e la vendetta sia disarmata dal perdono”. E ancora ieri all’Angelus – con parole significative proprio per i timori su una conflagrazione generale della “terza guerra mondiale a pezzi” -, dopo aver “ricordato, in questi giorni, l’anniversario del bombardamento atomico delle città di Hiroshima e Nagasaki” e “mentre continuiamo a raccomandare al Signore le vittime di quegli eventi e di tutte le guerre”, Francesco ha esortato a rinnovare “la nostra intensa preghiera per la pace, specialmente per la martoriata Ucraina, il Medio Oriente, Palestina, Israele, il Sudan e il Myanmar”.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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