Papa Luciani fu avvelenato con il cianuro, in una congiura di palazzo ordita da Paul Marcinkus, perché voleva denunciare frodi azionarie compiute in Vaticano. L’ultima versione fantapolitica sul Pontefice che morì 33 giorni dopo il Conclave che lo elesse nel 1978 è esposta da un ex gangster della famiglia mafiosa americana dei Colombo, Anthony Luciano Raimondi, suo libro di memorie ‘When the Bullet Hits the Bone’, appena pubblicato negli Usa dalla casa editrice Page Publishing. Uno scenario non nuovo, per uno dei più imperituri gialli vaticani, che è stata però già smontata da una accurata indagine pubblicata pochi mesi fa da Stefania Falasca, giornalista nonché vice-postulatrice della causa di beatificazione. Il libro ‘Papa Luciani. Cronaca di una morte’ (Piemme), che ha due meriti. Il primo, più evidente, è ricostruire, per la prima volta con referti medici e testimonianze-chiave sinora inedite, perché sub secreto pontificio, le circostanze del decesso di Giovanni Paolo I, sfatando così le svariate leggende noir che si sono accumulate intorno ai destini del pontefice veneto. Il secondo – una volta sgombrato il campo dal ‘giallo’ – restituire al lettore il significato di un pontificato che, pur breve, non fu per questo minore. Luciani morì per un infarto che si era manifestato con un dolore al petto già poche ore prima della sua morte. La gravità del malore fu sottovalutata dal Papa stesso così come dai collaboratori che ne erano a conoscenza. Attingendo ai fascicoli sinora secretati della Santa Sede, Falasca porta alla luce, in particolare, la testimonianza di suor Margherita Marin, l’unica sopravvissuta delle religiose che servivano nell’appartamento pontificio (e incredibilmente non interrogata nel corso della causa diocesana per la beatificazione di Luciani), e il referto clinico firmato dal dottor Renato Buzzonetti, primo medico ad essere chiamato al capezzale del Papa morto.
Papa Luciani. Il Papa buono
Dalla ricostruzione degli eventi che sfociano nella morte del Pontefice vengono alla luce molti particolari precisi, e inediti, come il fatto che, per volontà dell’allora cardinale di Stato Jean-Marie Villot la sala stampa vaticana diffuse un comunicato stampa che dichiarava falsamente che il Pontefice era stato trovato morto dal suo segretario John Magee (e invece era stato rinvenuto da suo Marin e, prima ancora, da una sua consorella più anziana); la inadeguatezza nel ruolo dell’altro segretario del Papa, don Diego Lorenzi, e la scarsa credibilità di molti dettagli raccontati negli anni da quest’ultimo nonché da Magee; il fatto che Luciani – contrariamente a notizie messe in giro anche da qualche cardinale – non era riverso a terra ma sembrava essere morto nel sonno; ma anche le domande che, in preparazione del successivo Conclave, i cardinali vollero rivolgere ai medici (se ‘l’esame della salma’ consentiva di ‘escludere lesioni traumatiche di qualsiasi natura’, se fosse accertata la diagnosi di ‘morte improvvisa’, se ‘la morte improvvisa è sempre naturale’), che mostrano come tra gli stessi porporati ci fosse chi non escludeva l’ipotesi di una morte provocata, smentita invece dai medici. Luciani, è il quadro che emerge e che smentisce tante ipotesi di questi decenni, non era oppresso dal peso delle responsabilità, viveva con serenità il suo mandato, non prevedeva di essere eletto né che il suo pontificato sarebbe durato poco, si sentiva fisicamente bene, e, da quel che è possibile ricostruire, prima di morire non si stava occupando dello Ior, ma della nomina del suo successore a Venezia (il riottoso Angelo Viganò, che non riuscì a nominare prima di morire). Giustamente Pia Luciani, citata nel volume, commenta nella sua deposizione per la causa di beatificazione: ‘Credo che la Curia romana sia stata poco prudente nel dare informazioni non esatte circa il suo rinvenimento, aprendo così la strada alle illazioni’.
Paul Casimir Marcinkus. Il Cardinale accusato dal nipote del boss di aver avvelenato il Papa buono
Il libro di Stefania Falasca, che porta la prefazione di un altro veneto, il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, non è solo un avvincente ricostruzione storiografica su uno dei più discussi ‘gialli’ del Vaticano, bensì – come ‘l’atto di giustizia e di pace’ rappresentata dal processo di beatificazione – una riscoperta del pontificato di Luciani. Perché ‘nel corso del pur breve pontificato si sono così manifestate le priorità in cantiere di un pontefice che ha fatto progredire la Chiesa lungo le strade maestre indicate dal Concilio: la risalita alle sorgenti del Vangelo e una rinnovata missionarietà, la collegialità episcopale, il servizio nella povertà ecclesiale, il dialogo con la contemporaneità, la ricerca dell’unità con le Chiese cristiane, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace’. C’è un aspetto sul quale il volume indugia a più riprese, grazie anche ad alcune carte conservate nell’archivio di Giulio Andreotti, da ultimo direttore della rivista 30Giorni – da dove Falasca proviene – che, caso raro nel panorama editoriale cattolico, non ha mai sottovalutato la figura di Giovanni Paolo I. E’ la presenza di Papa Luciani nella politica internazionale dell’epoca. L’attenzione a lui riservata dalla diplomazia russa e dal presidente Breznev in persona, gli appelli – in un caso omessi dalla comunicazione ufficiale vaticana – per i colloqui di Camp David, la cordiale corrispondenza con il presidente statunitense Jimmy Carter che quei colloqui promosse.
Al lettore del libro viene spontaneo domandarsi come sarebbe stata la Chiesa cattolica se il pontificato di Giovanni Paolo I fosse durato più a lungo. Come avrebbe inciso nella ricezione del Concilio vaticano II appena concluso, aperto da Giovanni XXIII e chiuso da Paolo VI: ‘Con l’inedita scelta del binomio ‘Giovanni Paolo”, annota Falasca, ‘aveva eretto l’arco di congiunzione di coloro che erano stati le colonne portanti di tale opera. Colonne che furono da taluni giudicate staccate. Luciani conosceva questo dissidio serpeggiante in seno alla Chiesa e lo considerava offensivo della verità e nemico dell’unità e della pace’. Come avrebbe inciso sulla storia della Chiesa, marcata, dal secondo Conclave del 1978, dalla forte personalità – e dalla decisa posizione politica – dal polacco Karol Wojtyla, un Papa schierato senza esitazione contro il comunismo internazionale. Come avrebbe inciso sulla storia d’Italia e del mondo della guerra fredda. E’ significativo, al riguardo, che il primo nome al quale Luciani pensò per Venezia – e anche questo è uno scoop del libro – fosse il flamboyant gesuita Bartolomeo Sorge, che, come si legge in una lettera molto critica inviata al Papa dall’allora presidente della Cei Angelo Poma, ‘dopo la lettera di Berlinguer a mons. Bettazzi, ha auspicato pubblicamente un dialogo culturale con il comunismo italiano. Anche tale posizione non favorisce l’unità dell’episcopato italiano’. E a proposito di compromesso storico, la memoria del lettore non può non andare ad una altra morte traumatica – questa sì violenta – che segnò, poco più di un anno dopo, le sorti del paese e quelle del compromesso storico, l’uccisione di Aldo Moro. Ma questi, appunto, sono interrogativi del lettore, tutto sommato oziosi.La realtà, quella documentata con acribia, è quella contenuta nella ‘cronaca di una morte’. Ossia, che ‘Luciani non è stato ucciso’.
O meglio: ‘E’ stato ucciso post mortem dal silenzio di quanti, fuori e dentro le mura vaticane, non hanno potuto trarre vantaggi personali in termini di onori mondani dal suo fugace passaggio, dalla sua limpida e scarna testimonianza evangelica. È stato ucciso post mortem dal sussiego di un oblio storico e storiografico perché sfuggente ai compartimenti stagni degli incasellamenti e ai ritorni d’interesse dei riscontri in chiave ideologica di quanti allora, come ancora oggi, confrontano gesti e parole con la tabella dei valori stabiliti dalle agende liberal o conservative. E’ stato ucciso post mortem dall’avido accredito alle pièce teatrali di certa fumettistica noir che ha speculato abilmente sull’immaginario accattivante di una morte violenta relegandolo a una damnatio memoriae per la quale valgono le parole di Cristo agli scribi e ai farisei: ‘Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre’. Anche l’epilogo compiuto della Causa – che si offre quale contributo per una sistematica ricerca e una riscoperta – diviene allora non la riabilitazione staliniana dei caduti, non una questione di risarcimento o di ‘ricorso in appello’, ma un atto di resipiscenza profonda, che restituisce a Luciani esattamente quello che Lucianiha significato nella e per la Chiesa. Diviene così un atto di giustizia e di pace, cioè un vero atto di Chiesa. Non si è potuto del resto ignorare che dalla morte di Giovanni Paolo I una fama di santità non artefatta, non sponsorizzata da strategie ecclesiastiche, si è diffusa sempre più in crescendo spontaneamente e universalmente. La voce degli umili ha scalzato il silenzio. Hanno gridato le pietre’.
È stata un’amica preoccupata, che non riusciva a contattarla da ore, a dare l’allarme: Carmela Quaranta, 42 anni, operatrice sanitaria e madre di due figlie, è stata trovata senza vita sul pavimento della sua camera da letto, la sera di Pasqua, nella sua abitazione di via Trieste a Mercato San Severino, piccolo centro in provincia di Salerno.
I primi sospetti e il cambio di accusa
Inizialmente si era ipotizzato un malore o un’overdose, ipotesi che aveva portato a una prima contestazione al compagno, un uomo di 56 anni, per morte come conseguenza di altro reato. Ma un esame più attento del medico legale ha svelato segni di strangolamento sul collo della vittima, e questo ha portato alla modifica dell’imputazione: ora l’uomo è indagato per omicidio volontario, furto (il cellulare di Carmela è scomparso) e detenzione di stupefacenti (sono stati trovati alcuni grammi di droga in casa).
Le indagini e i sospetti
L’inchiesta è coordinata dalla Procura di Nocera Inferiore. I carabinieri del Ris stanno passando al setaccio l’abitazione, palmo a palmo, per raccogliere tracce, impronte, elementi biologici e ogni dettaglio utile a chiarire cosa sia accaduto nelle ultime ore di vita di Carmela. Una seconda ispezione tecnica dell’abitazione è prevista per domani.
Il cerchio degli investigatori si è stretto attorno alle persone più vicine alla donna: l’ex marito e il compagno, con cui aveva una relazione da circa un anno, sono stati entrambi interrogati. Le risposte fornite e le discrepanze negli alibihanno portato gli inquirenti ad approfondire in particolare la posizione del 56enne.
Il profilo della vittima
Carmela viene descritta da amici e conoscenti come una donna solare, legatissima alle sue figlie, piena di energia e voglia di vivere. Lavorava in più ambiti, collaborava con un’azienda del settore nutrizionale, la stessa in cui operava anche il compagno indagato.
All’inizio la relazione sembrava felice: nel giugno 2024 Carmela aveva pubblicato una foto con lui sui social. Ma col passare dei mesi, i rapporti si erano incrinati. In particolare, un post pubblicato da lui a febbraio — una frase volgare accompagnata da un teschio e tibie incrociate — oggi assume una luce inquietante.
La ricerca della verità
Carmela si era trasferita da poco a Mercato San Severino, dopo aver vissuto a lungo a Nocera Inferiore. Domani, nella sua casa, torneranno ancora una volta i carabinieri del Ris di Roma. Gli investigatori lavorano per ricostruire le ultime ore di Carmela, cercando riscontri oggettivi che possano dare una svolta al caso. Il mistero della mamma trovata senza vita nel giorno di Pasqua attende ancora risposte.
Una tragedia sconvolgente ha colpito la comunità di Misterbianco, nell’hinterland di Catania. Anna (nome di fantasia), 40 anni, ha lanciato nel vuoto la figlia di appena sette mesi, Maria Rosa, dal terzo piano della palazzina in cui viveva con la famiglia. La bimba è morta sul colpo, sotto gli occhi disperati del padre, che ha tentato il suicidio subito dopo aver visto la scena.
Una madre fragile, ma mai violenta
Secondo i familiari, Anna era affetta da una profonda depressione post-parto. Dopo la nascita di Maria Rosa, non era mai riuscita ad accettarla, a differenza del primogenito di 7 anni, verso cui nutriva un legame totalizzante. Eppure, nonostante l’evidente disagio psicologico, non era mai stata violenta con la piccola.
Una tragedia inaspettata
Al momento del gesto, in casa erano presenti il marito, la suocera e il figlio maggiore. Nessuno, raccontano, si aspettava una simile esplosione di follia. «A volte era nervosa, ma mai avremmo immaginato che potesse fare una cosa simile», ha dichiarato una cugina. Anche il sindaco di Misterbianco, Marco Corsaro, ha espresso sgomento: «Siamo senza parole. Il compagno è una persona perbene, le è sempre stato accanto».
Il tentativo di suicidio del padre e l’arresto della donna
Dopo aver assistito alla caduta della figlia, l’uomo si è lanciato dalla stessa terrazza nel tentativo di togliersi la vita. Trasportato in ospedale in stato di choc, è ora ricoverato ma fuori pericolo. La donna è stata arrestata dai carabinieridella Tenenza di Misterbianco con l’accusa di omicidio aggravato.
Le fragilità psichiche e il vuoto della prevenzione
Anna era sotto amministrazione di sostegno, decisione presa dal Tribunale di Catania, ed era seguita dai servizi di salute mentale dell’Asp etnea. In passato era stata sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio. Tre mesi fa aveva partecipato a un’udienza davanti al giudice, accompagnata da un legale amico di famiglia. Aveva risposto “in modo impeccabile”, riuscendo a nascondere lo stato di alterazione, tanto che nessun provvedimento fu adottato.
Il padre della donna, un medico molto noto che vive fuori dalla Sicilia, era stato nominato come amministratore di sostegno. Tuttavia, nessuno tra i familiari aveva percepito segnali chiari del crollo psichico in corso. Per precauzione, la suocera si era trasferita in casa per stare vicino alla nuora e ai nipotini.
Una comunità sotto choc
La morte della piccola Maria Rosa ha lasciato sgomenta un’intera comunità. Le indagini proseguono per ricostruire ogni dettaglio e chiarire le responsabilità della rete di supporto. In attesa dell’esito degli esami e delle valutazioni psichiatriche, resta il dolore immenso per una vita spezzata e il peso di domande a cui, forse, sarà difficile dare risposte.
Ha trovato il coraggio di denunciare le violenze sessuali di gruppo subite quando era ancora minorenne, indicando i suoi aggressori: giovani legati alle cosche di Seminara, in provincia di Reggio Calabria. Ma la scelta di rompere il silenzio ha scatenato contro di lei la rabbia della sua stessa famiglia.
Una giovane di Oppido Mamertina, oggi maggiorenne, è stata punita con frustate per mesi dalla zia 78enne, ora agli arresti domiciliari su disposizione del gip del Tribunale di Palmi. La donna l’ha segregata in una stanza, tappandole la bocca con un foulard per impedirle di urlare, e l’ha colpita con una corda, come forma di “punizione” per aver denunciato.
La denuncia “inimica” la ’ndrangheta
Dalle intercettazioni ambientali emerge che la zia avrebbe voluto punirla perché la sua testimonianza aveva compromesso i rapporti con le famiglie di ’ndrangheta del territorio. La Procura aveva chiesto anche l’arresto del cugino 47enne, figlio dell’anziana, ma il giudice ha disposto solo il divieto di avvicinamento.
Sei condanne e un nuovo processo
La ragazza è una delle due minorenni abusate dal branco. A marzo scorso, sei dei responsabili sono stati condannati a pene comprese tra 5 e 13 anni. Un secondo processo per altri imputati, all’epoca minorenni, inizierà il 15 maggio davanti al Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria.
I tentativi di zittirla: psichiatra compiacente e istigazione al suicidio
Dopo la denuncia, la famiglia ha fatto di tutto per farla ritrattare. Avevano persino fissato un incontro con uno psichiatra per farla dichiarare incapace. Due suoi fratelli, oggi in carcere, l’avevano addirittura spinta, insieme alla madre che la difendeva, a buttarsi dalla finestra per “lavare la vergogna” inflitta alla famiglia.
La verità emersa dalle intercettazioni
Le indagini sono partite per caso, grazie a intercettazioni telefoniche legate ad altri reati commessi dagli stessi aggressori. La prima vittima identificata aveva denunciato, dando forza e ispirazione anche alla seconda ragazza, che oggi lotta non solo contro i suoi aggressori, ma anche contro chi avrebbe dovuto proteggerla.