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Cronache

Papa Francesco condanna con il silenzio il dossier di Viganò sugli abusi sessuali nella Chiesa Usa

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Prima di dire “no comment”, Papa Francesco, sull’aereo che lo riporta in Italia assieme ai cronisti che l’hanno seguito nella sua visita ufficiale in Irlanda dice: “Il comunicato di Viganò parla da sé, e voi avete la maturità professionale per trarre le conclusioni”. Con queste parole il Pontefice ha invitato a leggere il dossier di 11 pagine divulgato dall’ex nunzio negli Stati Uniti che chiede le dimissioni del Papa.
L’accusa al Pontefice da parte di Carlo Maria Viganò è quella di aver coperto Theodore McCarrick, cardinale emerito di Washington oggi 83enne, che aveva avuto relazioni omosessuali con seminaristi maggiorenni e sacerdoti. La decisione del diplomatico vaticano di violare il giuramento al Papa e il segreto d’ufficio altro non è che l’ennesimo capitolo di una guerra che un pezzo della Chiesa ha intrapreso contro il Papa argentino. È l’ennesima bordata contro Francesco portata avanti in modo organizzato dagli stessi ambienti ecclesiastici (e non) che un anno fa avevano provato ad arrivare ad una sorta di impeachment dottrinale naufragato malamente. Viganò è tra i firmatari della “Correctio filialis”. Una sorta di manifesto anti Papa che lo vorrebbe dichiarare propagatore di eresie. Viganò è anche ben collegato agli ambienti più conservatori Oltreoceano e in Vaticano.

Ma veniamo ai fatti. Il 22 novembre 2000 il frate Boniface Ramsey, scrive al nunzio apostolico negli Usa Gabriel Montalvo e lo informa di aver sentito voci secondo le quali McCarrick aveva “condiviso il letto con seminaristi”. Accuse dunque di omosessualità che arrivano il giorno prima, il 21 novembre, in cui Giovanni Paolo II nominava McCarrick arcivescovo di Washington. Viganò annota che questa segnalazione trasmessa dal nunzio alla Segreteria di Stato, guidata allora dal cardinale Angelo Sodano, non ebbe alcun seguito. L’anno successivo Wojtyla includeva McCarrick nel collegio cardinalizio. Nel suo dossier Viganò scarica – senza alcun indizio – la “colpa della nomina su Sodano spiegando che il Papa all’epoca era già ammalato e quasi incapace di intendere e di governare la Chiesa. Chiunque abbia conoscenza di cose vaticane sa che ciò non è vero, almeno non lo era nell’anno 2000: Giovanni Paolo II vivrà per altri cinque anni. E sa anche che allora, nello stretto entourage wojtyliano che controllava le nomine, c’erano il segretario particolare del Papa Stanislaw Dziwisz (nome che Viganò omette) e il Sostituto della Segreteria di Stato poi Prefetto dei vescovi Giovanni Battista Re. Quella prima segnalazione, senza denuncianti che se ne assumessero responsabilità in prima persona, forse non era ritenuta attendibile?

Nuove denunce arrivano nel 2006, quando il Papa è Benedetto, il Segretario di Stato è Tarcisio Bertone. L’ex prete e abusatore di bambini Gregory Littleton fa avere al nunzio negli Usa (in quel momento Pietro Sambi) una memoria nella quale racconta di essere stato molestato sessualmente da McCarrick. Viganò prepara un appunto per i superiori, che non rispondono. Vale la pena di ricordare che in quel momento McCarrick è già in pensione. Nel 2008 di nuovo circolano accuse di comportamenti impropri di McCarrick e di nuovo Viganò manda un appunto. Nel 2009 o nel 2010, Benedetto XVI interviene e ordina presumibilmente a McCarrick di fare vita ritirata, di preghiera e di non abitare più nel seminario neocatecumenale Redemptoris Mater da lui aperto a Washington.
L’ordine di Benedetto non diventa pubblico. Forse per indulgenza per un cardinale vecchio e in pensione. Di certo durante gli ultimi tre anni del pontificato di Raztinger McCarrick non cambia il suo modo di vivere: lascia il seminario ma celebra ordinazioni, tiene conferenze, partecipa a udienze papali, viaggia. E anche Viganò, allontanato dal Vaticano per decisione di Benedetto XVI che lo “promuove nunzio a Washington, non appare così preoccupato della situazione, visto che sono documentate sue partecipazioni ad eventi pubblici con il porporato molestatore, come l’attribuzione di un premio a McCarrick (il 2 maggio 2012, Pierre Hotel in Manhattan). Perché ora che aveva il potere di arrivare direttamente a Benedetto XVI, in qualità di suo rappresentante in una delle sedi diplomatiche più importanti del mondo, Viganò non si ribella, non agisce, non chiede udienza, non fa rispettare le disposizioni restrittive?

Il Papa attuale, vero e unico bersaglio dell’intera operazione, entra in scena nel giugno 2013. McCarrick, ultraottantenne, non ha partecipato al conclave, è un cardinale pensionato ma iperattivo. Viganò va in udienza da Francesco e rispondendo a una sua domanda (non è il nunzio a fargli il nome di McCarrick, non gli porta documenti) fa presente che il cardinale «ha corrotto generazioni di seminaristi e di sacerdoti» e che in Vaticano c’ è un dossier. Tutto qui. Passano quattro anni e mezzo e Oltretevere arriva, per la prima volta, notizia di un abuso su un minore commesso cinquant’ anni prima da McCarrick, giovane prete. La denuncia è del 2018. Si apre il procedimento canonico, emergono nuove notizie. Con una decisione che non ha precedenti nella storia recente della Chiesa, Francesco non solo impone il silenzio e la vita ritirata a McCarrick, ma gli toglie pure la berretta cardinalizia.

C’è un Papa santo il cui entourage (molto meno santo) ha promosso e fatto cardinale un vescovo omosessuale che abusava del suo potere portandosi a letto i seminaristi. C’è un altro Papa oggi emerito che avrebbe ordinato a questo cardinale di vivere ritirato ma senza essere in grado di far rispettare i suoi ordini. E c’è un Papa che a quel cardinale, nonostante fosse anziano e pensionato da tempo, ha tolto d’ imperio la porpora. Eppure è di quest’ ultimo che l’ ex nunzio chiede la testa, soltanto perché Francesco ha nominato negli Usa qualche vescovo non così conservatore come avvenuto nei decenni precedenti.

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Cronache

L’ombra lunga di Fordow: nuovo raid israeliano sul sito nucleare iraniano, dubbi e tensioni dopo lo strike Usa

Nuovo attacco Idf alle vie d’accesso del bunker atomico. L’Aiea conferma danni ma resta l’incertezza sull’efficacia complessiva dell’operazione. Trump esulta, gli esperti frenano.

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Israele è tornata a colpire. Dopo lo strike congiunto Usa-Israele che ha devastato impianti strategici del programma atomico iraniano, l’aviazione dello Stato ebraico ha lanciato un nuovo attacco a Fordow, bersagliando le vie d’accesso all’impianto nucleare protetto nella montagna. Un’azione tardiva, secondo molti analisti, rispetto ai giorni che hanno preceduto l’operazione americana, quando decine di mezzi e bulldozer erano al lavoro intorno agli ingressi del sito.

Il nuovo attacco e il dossier ancora aperto

Il bombardamento israeliano – interpretato da più fonti come un tentativo di impedire il recupero dei materiali o mantenere alta la pressione su un obiettivo strategico – suggerisce che la cosiddetta “Operazione Martello di mezzanotte” lanciata da Donald Trump non abbia chiuso il dossier nucleare iraniano. Tutt’altro. La sensazione diffusa è che la partita sia tutt’altro che finita.

L’Aiea: «Danni evidenti ma entità da verificare»

Il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, ha ammesso che l’impianto ha subito danni significativi, ma ha precisato che nemmeno l’Aiea è in grado di stabilirne con esattezza l’entità. Al contrario, per Natanz e Isfahan i danni sono evidenti: immagini satellitari mostrano edifici sventrati da super bombe americane GBU e missili da crociera lanciati dal sottomarino USS Georgia.

L’ottimismo di Trump e i dubbi degli esperti

Il presidente Trump ha parlato di «distruzione totale» e bollato come «fake news» le analisi più caute. Ma molti esperti, tra cui Jeffrey Lewis, esprimono riserve significative. Il punto più critico riguarda la quantità di uranio arricchito realmente presente a Fordow: secondo fonti iraniane sarebbe stato trasferito prima del raid, una versione ritenuta credibile anche da funzionari Usa.

L’ipotesi più realistica è che il materiale sia stato nascosto altrove, forse in un altro sito nei pressi di Natanz, ancora risparmiato dall’operazione “Rising Lion”.

Gli scenari futuri: la bomba è ancora possibile

La comunità degli analisti ritiene che l’Iran possieda almeno 400 kg di uranio arricchito, quantitativo potenzialmente sufficiente per proseguire verso la costruzione dell’arma nucleare, se e quando riceveranno il via libera dalla Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei. È questa la lezione centrale che circola nei circoli diplomatici e militari: la guerra può rallentare il programma nucleare iraniano, ma non può fermarlo del tutto.

L’arsenale segreto degli ayatollah e il piano parallelo

Nel mondo dell’intelligence è condivisa da tempo la convinzione dell’esistenza di una “via parallela” al nucleare, gestita da un nucleo ristretto di scienziati e pasdaran, costruita per sfuggire ai controlli internazionali. A conferma di questa ipotesi, vi sono anni di sabotaggi, cyber-attacchi, infiltrazioni e tentativi di forniture tecnologiche manomessecondotte da Israele. Nessuna di queste azioni, però, ha convinto la Repubblica islamica a rinunciare all’opzione atomica.

 

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Cronache

Borrelli minacciato sui social, Patriciello lo difende: “Ho paura che gli accada qualcosa di irreparabile”

Il prete anticamorra scende in campo dopo i video di tiktoker che incitano all’odio. Il deputato: “Mi attaccano perché chiedo legalità”.

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Minacce esplicite, video che incitano alla violenza, e un’ondata d’odio social che ha come bersaglio Francesco Emilio Borrelli, deputato di Europa Verde. Il motivo? La sua proposta di vietare le boe a Napoli, per impedire gli approdi abusivi lungo la costa partenopea. Una misura di civiltà che ha però scatenato la reazione di alcuni influencer napoletani, con in testa Rita De Crescenzo, che hanno pubblicato video dal contenuto intimidatorio, inneggiando a “farlo fuori”.

In difesa del parlamentare è sceso in campo padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano e simbolo della lotta anticamorra: «Sono seriamente preoccupato per lui e per la scorta», ha dichiarato. «Troppe minacce, troppo odio. Le sue denunce stanno smascherando un mondo di prepotenze, illegalità e sopraffazione. Un mondo di cui tutti ci lamentiamo, ma che pochi hanno il coraggio di combattere».

Il sostegno del parroco di Caivano

Patriciello non usa giri di parole: «Sto dalla parte di Borrelli. Dalla parte dell’onestà, del rispetto, del vivere civile. Pur soffrendo per chi non ha lavoro, ho paura. Paura che gli accada qualcosa di irreparabile. Dio non voglia». Poi lancia un monito a tutti: «Non possiamo voltare lo sguardo. Bisogna impedire che la situazione degeneri. Dio vi benedica».

Parole che Borrelli ha accolto con gratitudine: «Per aver chiesto legalità mi hanno lanciato sanpietrini e mi hanno dato un pugno in faccia», ha ricordato. «E adesso anche le minacce online. Ma la cosa che più fa male è essere il bersaglio di una macchina di diffamazione solo per aver fatto il proprio dovere».

Il silenzio delle istituzioni

Il deputato ha poi evidenziato come molte voci delle istituzioni siano rimaste in silenzio: «Ho ricevuto tanta solidarietà dai cittadini, ma non dalla politica locale. Come se chiedere rispetto delle regole fosse un comportamento anomalo. Eppure è questo il paradigma distorto del Sud: chi si ribella all’illegalità viene isolato. Ma io non mi fermo».

Il caso rilancia ancora una volta il tema della legalità a Napoli, della pervasività dell’illegalità nei comportamenti quotidiani e del ruolo, spesso solitario, di chi prova a riportare ordine e dignità nel dibattito pubblico.

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Il dramma di Ciro: tornato a casa dopo un intervento maxillo-facciale, ma ora ha paura di uscire

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È tornato a casa Ciro, il sedicenne di Ercolano brutalmente aggredito l’8 giugno scorso a Portici, nella zona del Granatello, mentre si trovava con alcuni amici. Il volto devastato dai colpi ricevuti, le fratture multiple alle ossa facciali e la successiva ricostruzione chirurgica all’ospedale Cardarelli di Napoli raccontano di una violenza inaudita e gratuita, che lascia ferite profonde non solo nel corpo.

L’intervento chirurgico e le precauzioni

Dopo un primo ricovero all’ospedale Maresca di Torre del Greco, Ciro è stato trasferito al Cardarelli per affrontare un intervento maxillo-facciale delicato condotto dall’équipe del professor Maurizio Gargiulo. Sono state applicate placche in titanio per ricostruire le fratture al seno frontale, all’orbita e al naso, abbinate a una ricostruzione plastica dei tessuti lacerati.

L’operazione è riuscita ma ora serviranno almeno due mesi di isolamento per evitare infezioni. Il ragazzo non potrà indossare occhiali, frequentare luoghi affollati, andare a mareabbracciare i familiari.

Le paure e il trauma psicologico

Ma la ferita più profonda è invisibile. «Mio figlio ha avuto crisi di panico, ora ha paura di uscire, è psicologicamente devastato», racconta la madre, Cira Borrelli, che chiede aiuto per un sostegno psicologico. Ciro è stato colpito con ferocia, secondo i medici non è credibile che sia stato fatto a mani nude.

Il motivo? Un presunto saluto scambiato con l’ex fidanzatina dell’aggressore, un 14enne ora denunciato a piede libero. Un’aggressione definita dagli avvocati della famiglia “gratuita, violenta e del tutto ingiustificata”.

La richiesta di giustizia

«Non chiediamo vendetta ma giustizia. Una pena proporzionata a ciò che è stato fatto a nostro figlio», dichiarano i genitori Cira e Pasquale Gaudino, assistiti dall’avvocato Antonio Borrelli, che sottolinea come la vittima non avesse provocato in alcun modo l’aggressore. «Ciro è stato già vittima di bullismo a scuola – ricorda la madre – subì una perforazione del timpano per una violenza passata».

Anche il deputato Francesco Emilio Borrelli, presente alla fiaccolata in solidarietà a Ercolano, è intervenuto: «Servono condanne esemplari per chi compie atti così brutali. Basta impunità per i violenti»

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