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Cronache

Accordo a Milano tra Orbàn e Salvini sui migranti, la sinistra porta in piazza migliaia di persone

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Matteo Salvini? Per il premier ungherese Viktor Orbán è “un eroe”. Anzi “da noi Matteo gode di un rispetto assolutamente rilevante, se partecipasse alle elezioni ungheresi vincerebbe. Fortunatamente, per ora non partecipa…” spiega con ironia Orban in un clima di grande affettuosità prima della conferenza stampa tenuta in prefettura a Milano dai due leader populisti dopo un’oretta scarsa di faccia a faccia. È il primo incontro ufficiale tra i due, prima s’erano visti a Bruxelles occasionalmente. Non c’era dimestichezza di rapporti. Infatti all’inizio dell’incontro a Milano Salvini dà del lei a Orban, in conferenza stampa sembrano due fratelli e si dannodel tu. Il vertice ha un contenuto politico, il vicepremier italiano e il primo ministro ungherese parlano di  “costruzione della nuova Europa”. E questa politica di costruzione della nuova Europa dovrebbe partire dalla questione migranti. Da un lato l’Italia che solidarietà va cercando per condividere un dramma che sinora si è presa in carico da sola, e l’Ungheria che non ha mai preso e  si è impegnata a non prendere mai neppure uno dei migranti che le toccherebbero sulla base delle regole europee. Né pare che Orban sia intenzionato a uscire dal Ppe per aderire all’eurogruppo dei partiti euroscettici (Enf), culla della “Lega delle leghe” di cui aveva parlato Salvini. Però, come si dice, in politica “mai dire mai”.

Vertice in Prefettura a Milano. Colloqui su migranti ed economia tra Matteo Salvini e Viktor Orban

“Noi ungheresi – spiega Orbán ai cronisti- siamo leali. E infatti, prima di incontrare Matteo, ho chiesto a Silvio Berlusconi”. In ogni caso, “di alleanze si parlerà dopo le Europee, ora il compito mio e di Matteo è quello di raccogliere gli elettori per fare la svolta in Europa”. Quale sarà il primo passo? Cambiare l’assurdo trattato di Dublino che ha messo spalle al muro Italia, Grecia e altri paesi del Mediterraneo che sono costretti a subire da soli l’ondata migratoria? Giammai. Non si parla più di modificare il trattato di Dublino. “La revisione non è più la priorità”. Anzi, Salvini potrebbe persino accettare di riprendere gli immigrati “secondari”, quelli sbarcati in Italia ma oggi in altri paesi. “La trattativa prosegue, ma per noi sarà a saldo zero. Accoglieremo in cambio di uno stesso numero di migranti redistribuiti”. Certo che sì, ma, in Ungheria non ne arriveranno. Perché su questo Orban non transige. Amico di Salvini sì, ma ognuno si tiene o caccia i suoi migranti.  Orbán con l’Ungheria ha dimostrato “che l’immigrazione in terraferma può essere fermata, tutti dicevano che era impossibile sia sul piano giuridico che sul piano fisico”. Mentre Salvini “è stato il primo a dimostrare che l’immigrazione può essere fermata anche in mare”. Insomma, spiega Orban, “siamo profondamente grati a Matteo che ha difeso i confini di tutti”. “Dal suo successo -continua il premier ungherese – dipende la sicurezza europea, e questo coraggio desta in noi rispetto. Gli auguriamo di non indietreggiare, di continuare a difenderci”.
I vicini a Salvini raccontano di un incontro in cui si è discusso molto più di economia che di immigrazione. In particolare, Orbán avrebbe detto all’interlocutore di essere riuscito a fare le riforme a cui puntava “perché da noi non ci sono i sindacati”. A chi, in conferenza stampa faceva notare a Salvini che non si capiva a che titolo aveva ricevuto Orban in Italia, il leader leghista è stato chiaro: “Da ministro, da milanista, da segretario della Lega”. Mentre Salvini terminava la conferenza stampa attaccando la sinistra che aveva portato migliaia di persone in piazza a Milano, sotto la Prefettura, per protestare e contestare la politica “razzista e xenofoba” dei due leader populisti, il premier Giuseppe Conte non rilasciava dichiarazioni, anche perchè era impegnato in un incontro con il premier céco Babis, il vicepremier Luigi Di Maio era partito per la missione in Egitto, in Cina invece c’era Giuseppe Tria.

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La Sicilia in crisi: l’estate della grande sete

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Laghi ridotti a pozzanghere, cittadini in fila per rifornirsi d’acqua dalle autobotti private, due milioni di persone costrette a fare i conti con i razionamenti, il 20% dei bacini a secco, fino al 75% di perdite in agricoltura, allevatori costretti a macellare il bestiame e, sullo sfondo, il business del mercato nero. È l’estate della grande sete in Sicilia.

L’emergenza idrica in Sicilia, causata dalla mancanza di piogge – le più scarse dal 2002 – e dal caldo torrido, è il risultato di decenni di inefficienze, reti idriche colabrodo mai riparate e sprechi. La Conferenza Stato-Regioni ha riconosciuto le “condizioni di forza maggiore”, permettendo alle imprese agricole e zootecniche dell’Isola di usufruire di deroghe alla Politica agricola comune. A Licata, la nave cisterna “Ticino” della Marina militare ha consegnato 1.200 metri cubi d’acqua per mitigare la sete nell’area di Gela e dell’Agrigentino, dove la distribuzione avviene ogni 20 giorni.

Il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, ha rivendicato di aver completato il 50% delle opere del Piano da venti milioni di euro per l’emergenza idrica. Tuttavia, non ha risposto alle accuse del ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, che ha ricordato che solo il 30% dei fondi del Pnrr è stato speso. Il Pd ha criticato il governo per aver sottovalutato la crisi e ha denunciato le responsabilità della Regione, accusandola di favorire speculazioni senza regole.

A Caltanissetta, dove l’acqua manca da 46 giorni, il sindaco Walter Tesauro ha chiesto ai privati di mettere a disposizione i loro pozzi. Ad Agrigento, dove l’acqua arriva ogni 15 giorni, i cittadini hanno organizzato un corteo di protesta per il 2 agosto. Il sindaco Franco Miccichè aveva chiesto un dissalatore ad aprile, minacciando di rinunciare al titolo di Capitale della Cultura 2025 se la crisi idrica non fosse risolta.

Il lago di Pergusa, nel territorio di Enna, è quasi scomparso. Anche i laghi Rosamarina, Poma e Fanaco sono in condizioni critiche. A Trapani, gli agricoltori sono costretti a mettersi in fila davanti al Consorzio di Bonifica per prenotare l’irrigazione, nonostante le condutture siano piene di buchi.

A Palermo, l’Amap ha ridotto la pressione dell’acqua per risparmiare, ma non esclude razionamenti ad agosto. A Messina, si destinano le risorse all’uso potabile sacrificando quello irriguo, mentre a Taormina si multano coloro che innaffiano fuori dagli orari stabiliti. A Catania è in atto la turnazione dell’acqua “per prudenza”, e a Siracusa i livelli delle falde non sono ancora allarmanti, ma si potrebbe limitare l’uso di acqua per ville e piscine.

La situazione rimane critica, e l’intervento tempestivo delle autorità è essenziale per affrontare una delle siccità più gravi degli ultimi 50 anni.

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Cronache

Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Cronache

Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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