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Patriciello su mozione antiaborto di Verona: non capisco perchè il Pd ha paura di un bimbo non ancora nato

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Nessun uomo ha il diritto di mortificare, insultare, umiliare un altro uomo. Mai e per nessun motivo. Nemmeno in risposta a offese ricevute. Nessun uomo ha il diritto di aggredire un altro uomo. Soprattutto se non gli ha fatto niente. Puoi essere d’accordo o meno sulle battaglie esistenziali, politiche, ideologiche dei fratelli e delle sorelle omosessuali, ma non hai il dirittto di emarginarli, offenderli, picchiarli. Il dialogo tra gli uomini è sempre stato difficile. Scendere dai propri immaginari piedistalli per certuni è doloroso. Occorre essere umili e veri. La persona umile riconosce che tutto è dono, tutto gli è stato dato, di niente è sicuro. Di niente è padrone. Perciò è grato all’Autore della vita e a coloro che quella vita hanno accolto, curata, nutrita, educata. Allora, di che ci vantiamo? Chi ha ricevuto di più ha un solo obbligo cui non può assolutamente sottrarsi: dare di più. E la vita diventa servizio che rasserena chi lo compie e chi lo ricere. Due fratelli omosessuali a Pisa sono stati derisi e picchiati da tre ragazzi. Coloro che hanno commesso questo gesto non sono degni di stima. Bene farebbero a farsi avanti, chiedere scusa agli insultati e alla società e impegnarsi a pagare il prezzo che la giustizia esige. Di questi gradassi non abbiamo bisogno. A quanto pare sono loro ad aver bisogno del debole, del piccolo, del “diverso” per sentirsi migliori. Per pretendere di ergersi a buffoni. Avrei voluto vederli se, di fronte a due energumeni, avessero fatto la stessa cosa di fronte. Certi uomini sono fatti così: forti con i deboli, deboli con i prepotenti. Abbiamo bisogno di imparare a vivere e a convivere. Questo non vuol dire rinunciare ai propri ideali o smettere di combattere perché i piccoli non abbiano a soffrire per l’egoismo degli adulti. Vuol solamente dire scegliere di stare dalla parte della verità, dalla parte di chi, in quel momento, è il più debole. Se, come nel caso di cui scriviamo, è il fratello gay, egli deve sapere che siamo pronti a metterci al suo fianco perché i suoi diritti siano rispettati. A rischiare di essere vilipesi e strattonati. Se, viceversa, è un fratello gay a farsi prepotente – siamo tutti figli di Adamo – verso un altro, sappia allora che non mi troverà più al suo fianco. Principi basilari, elementari, eppure non sempre facili da afferrare. Carla Padovani, capogruppo Pd al comune di Verona, ha votato a favore della vita nascente. Perché le donne siano più aiutate e meglio informate. Sembrerebbe la cosa più normale da fare in un Paese che, a parole, si dice amante della vita. Invece è stata redarguita dal suo partito, il Pd, e non si capisce perché. O, forse, lo si capisce molto bene. Vorrei chiedere a quelli del Pd, partito che vuole tollerante e plurale, e tra cui tanti cattolici hanno militato e militano, perché mai un bambino non ancora nato faccia loro tanta paura. Vorrei chiedere se si sono mai trovati ad aiutare concretamente una donna che stava per abortire e poi ci ha ripensato. Che cosa hanno provato nel vedere quel bambino destinato alla fogna, balbettare, sgambettare, giocare. Come si sono sentiti nel vederlo crescere, andare a scuola, fare i capricci, ridere, sorridere. Vivere. Amare. Non è la legge 194 che, in questa sede, si sta mettendo in discussione, ma la possibilità di fare tutto, ma proprio tutto, prima di cedere e rassegnarci all’aborto. Venerdì sono stato accanto a due stupendi genitori che hanno dovuto seppellire il loro unico figlio. Non avrebbero voluto farlo mai, ma il bambino era morto. Lo hanno deposto nella terra insieme al loro cuore. Sono tornati a casa distrutti. Sono credenti, sanno di rivederlo un giorno in paradiso, ma questo non li mette al rparo dal dolore, dal senso di smarrimento, dalla solitudine in cui si sono ritrovati catapultati. La morte è sempre frattura, divisione, sofferenza. Anche l’aborto lo è. Quale vittoria può essere cantata di fronte a un inerme bambino che non si è fatto nascere? E se è possibile recuperare la fiducia e la speranza di una mamma smarrita perché non farlo? E se il mio avversario ideologico e politico combatte la mia stessa battaglia che cosa mi impedisce di unirmi a lui? Cristo ci ha resi liberi. Per farlo è morto sulla croce. Libertà quanto mi sei cara. Libertà che allarghi gli orizzonti e mi permetti di vedere in ogni uomo un fratello da amare. Anche nell’uomo che ancora non ha visto la luce. Ai giovani fratelli omosessuali di Pisa la nostra solidarietà, la nostra vicinanza, il nostro affetto. Ai loro stupidi aggressori il nostro biasimo e l’augurio che possano imparare a rispettare il prossimo, chiunque esso sia. E che si convincono fin da esso che l’essere omo o eterosessuale, di per sè, non vuol dire essere migliore o peggiore di nessuno.

  • L’autore di questa opinione è Padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, prete anticamorra e strenuo difensofe della salubrità dell’ambiente nella cosiddetta “terra dei fuochi”

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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