Nessun uomo ha il diritto di mortificare, insultare, umiliare un altro uomo. Mai e per nessun motivo. Nemmeno in risposta a offese ricevute. Nessun uomo ha il diritto di aggredire un altro uomo. Soprattutto se non gli ha fatto niente. Puoi essere d’accordo o meno sulle battaglie esistenziali, politiche, ideologiche dei fratelli e delle sorelle omosessuali, ma non hai il dirittto di emarginarli, offenderli, picchiarli. Il dialogo tra gli uomini è sempre stato difficile. Scendere dai propri immaginari piedistalli per certuni è doloroso. Occorre essere umili e veri. La persona umile riconosce che tutto è dono, tutto gli è stato dato, di niente è sicuro. Di niente è padrone. Perciò è grato all’Autore della vita e a coloro che quella vita hanno accolto, curata, nutrita, educata. Allora, di che ci vantiamo? Chi ha ricevuto di più ha un solo obbligo cui non può assolutamente sottrarsi: dare di più. E la vita diventa servizio che rasserena chi lo compie e chi lo ricere. Due fratelli omosessuali a Pisa sono stati derisi e picchiati da tre ragazzi. Coloro che hanno commesso questo gesto non sono degni di stima. Bene farebbero a farsi avanti, chiedere scusa agli insultati e alla società e impegnarsi a pagare il prezzo che la giustizia esige. Di questi gradassi non abbiamo bisogno. A quanto pare sono loro ad aver bisogno del debole, del piccolo, del “diverso” per sentirsi migliori. Per pretendere di ergersi a buffoni. Avrei voluto vederli se, di fronte a due energumeni, avessero fatto la stessa cosa di fronte. Certi uomini sono fatti così: forti con i deboli, deboli con i prepotenti. Abbiamo bisogno di imparare a vivere e a convivere. Questo non vuol dire rinunciare ai propri ideali o smettere di combattere perché i piccoli non abbiano a soffrire per l’egoismo degli adulti. Vuol solamente dire scegliere di stare dalla parte della verità, dalla parte di chi, in quel momento, è il più debole. Se, come nel caso di cui scriviamo, è il fratello gay, egli deve sapere che siamo pronti a metterci al suo fianco perché i suoi diritti siano rispettati. A rischiare di essere vilipesi e strattonati. Se, viceversa, è un fratello gay a farsi prepotente – siamo tutti figli di Adamo – verso un altro, sappia allora che non mi troverà più al suo fianco. Principi basilari, elementari, eppure non sempre facili da afferrare. Carla Padovani, capogruppo Pd al comune di Verona, ha votato a favore della vita nascente. Perché le donne siano più aiutate e meglio informate. Sembrerebbe la cosa più normale da fare in un Paese che, a parole, si dice amante della vita. Invece è stata redarguita dal suo partito, il Pd, e non si capisce perché. O, forse, lo si capisce molto bene. Vorrei chiedere a quelli del Pd, partito che vuole tollerante e plurale, e tra cui tanti cattolici hanno militato e militano, perché mai un bambino non ancora nato faccia loro tanta paura. Vorrei chiedere se si sono mai trovati ad aiutare concretamente una donna che stava per abortire e poi ci ha ripensato. Che cosa hanno provato nel vedere quel bambino destinato alla fogna, balbettare, sgambettare, giocare. Come si sono sentiti nel vederlo crescere, andare a scuola, fare i capricci, ridere, sorridere. Vivere. Amare. Non è la legge 194 che, in questa sede, si sta mettendo in discussione, ma la possibilità di fare tutto, ma proprio tutto, prima di cedere e rassegnarci all’aborto. Venerdì sono stato accanto a due stupendi genitori che hanno dovuto seppellire il loro unico figlio. Non avrebbero voluto farlo mai, ma il bambino era morto. Lo hanno deposto nella terra insieme al loro cuore. Sono tornati a casa distrutti. Sono credenti, sanno di rivederlo un giorno in paradiso, ma questo non li mette al rparo dal dolore, dal senso di smarrimento, dalla solitudine in cui si sono ritrovati catapultati. La morte è sempre frattura, divisione, sofferenza. Anche l’aborto lo è. Quale vittoria può essere cantata di fronte a un inerme bambino che non si è fatto nascere? E se è possibile recuperare la fiducia e la speranza di una mamma smarrita perché non farlo? E se il mio avversario ideologico e politico combatte la mia stessa battaglia che cosa mi impedisce di unirmi a lui? Cristo ci ha resi liberi. Per farlo è morto sulla croce. Libertà quanto mi sei cara. Libertà che allarghi gli orizzonti e mi permetti di vedere in ogni uomo un fratello da amare. Anche nell’uomo che ancora non ha visto la luce. Ai giovani fratelli omosessuali di Pisa la nostra solidarietà, la nostra vicinanza, il nostro affetto. Ai loro stupidi aggressori il nostro biasimo e l’augurio che possano imparare a rispettare il prossimo, chiunque esso sia. E che si convincono fin da esso che l’essere omo o eterosessuale, di per sè, non vuol dire essere migliore o peggiore di nessuno.
- L’autore di questa opinione è Padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, prete anticamorra e strenuo difensofe della salubrità dell’ambiente nella cosiddetta “terra dei fuochi”