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Orban gioisce per Erdogan, i nodi aperti con Ue-Nato

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Il sultano vince (ma non stravince) le elezioni e a rallegrarsi, tra i primi al mondo, spicca il leader magiaro Viktor Orban, che su Twitter sottolinea come si tratti di un trionfo “indiscutibile” — andando dunque a toccare un tasto delicato, viste le analisi non proprio lusinghiere sul primo turno di varie organizzazioni internazionali come l’Osce. “Complimenti, presidente!” aggiunge entusiasta in turco. Cautela da parte dell’Unione europea e del resto dell’Occidente che in serata non ha ancora commentato . La Turchia di Erdogan resta infatti un alleato alquanto ingombrante. Negli ultimi anni il progetto neo-ottomano del sultano si è fatto sempre più evidente e la stretta sui diritti umani e civili, specie dopo il fallito golpe del 2016, molto più marcata. Ankara rivendica una politica estera indipendente e lo si vede plasticamente sul frangente ucraino: non applica le sanzioni, commercia con la Russia (ma non l’aiuta militarmente), intrattiene sia rapporti con Vladimir Putin che con Volodymyr Zelensky, vende i suoi droni a Kiev, vota all’Onu con l’Occidente, non riconosce l’annessione della Crimea e in tutto questo si accredita come valido mediatore, prima artefice del (fallito) piano di pace di primavera 2022 e poi demiurgo del patto sul grano. Eppure con la Russia spesso finisce dall’altro lato della palizzata. In Siria, per esempio.

O in Libia, dove di fatto guerreggiava con il cavallo del Cremlino, il maresciallo Khalifa Haftar. Senza dimenticare il Caucaso, socio di maggioranza dell’Azerbaigian nella guerra contro l’Armenia, sconfitta sul campo e abbandonata dal Cremlino nell’ora del bisogno. Salvo poi trovare le intese per portare il gas dello zar nell’Europa sud-orientale e da lì nei Balcani e in Ungheria. Sull’energia è d’altronde abituato a fare la voce grossa, rivendicando per sé i mari vicino a Cipro dove alcune compagnie occidentali hanno forti interessi – tipo Eni – e un ruolo chiave nel forse nascituro gasdotto EastMed.

Tramontato il sogno probabilmente impossibile di entrare nell’Unione Europea, Ankara e Bruxelles sono alla ricerca di un modus ‘sopravvivendi’ stabile, che vada oltre i rapporti transazionali, ben illustrati dagli accordi sulla migrazione cruciali per mettere fine all’esodo siriano che mise Angela Merkel in seria difficoltà. La camicia di forza della Nato senz’altro aiuta a mantenere la Turchia nel campo occidentale, benché anche lì Erdogan si diverta a indossare i panni del bastiancontrario, bloccando ad esempio l’ingresso della Svezia da oltre un anno. Ecco, Washington sul punto si aspetta che, archiviata la passione elettorale, se ne arrivi a una. Che poi è una sola: la caduta del veto e la celebrazione dell’Alleanza a 32, possibilmente già entro il summit di Vilnius di luglio.

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L’Spd dice sì al governo Merz, Klingbeil vicecancelliere

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Il suo lungo, lunghissimo cammino verso la cancelleria non ha più ostacoli: i socialdemocratici tedeschi hanno approvato il contratto di coalizione con l’Unione e Friedrich Merz sarà eletto il 6 maggio alla guida della Germania, succedendo ad Olaf Scholz. L’esito del referendum dei compagni, non proprio scontato, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Berlino, dove alla Willy Brandt Haus è stata ufficializzata anche un’altra decisione di indiscusso rilievo: il 47enne Lars Klingbeil, presidente dell’SPD dal 2021, sarà vicecancelliere e ministro delle Finanze, diventando il vero cavallo di punta del partito sconfitto alle urne il 24 febbraio scorso. Sarà lui, l’uomo che nella notte del disastro elettorale fece uno scatto in avanti invece di dimettersi, a prendere in mano le sorti della socialdemocrazia tedesca che langue da tempo ben sotto la soglia del 20% (al 16). Affiancando il leader conservatore di un Paese che versa in una profonda crisi, fra sfide e incognite obiettivamente inedite.

La base dell’SPD ha approvato il patto di coalizione elaborato con i conservatori dell’Unione in una consultazione digitale durata dieci giorni che ha visto un 84,6% di consensi, ma una partecipazione bassa, che si è fermata al 56%. È questo il dato che fa discutere in queste ore, mostrando un partito scisso, che ha deciso di non sabotare il futuro governo – pena uno scenario pericolosamente incerto anche nella politica interna – senza tuttavia rinunciare a una sorta di “silenziosa protesta” contro politiche che si annuncerebbero troppo di destra. Una lettura poco condivisa, che si è prestata a forti critiche, alla luce dei molti risultati ottenuti da Klingbeil nelle trattative: a partire da ben 7 ministeri. “Un partito esausto – lo ha definito Handelsblatt – a cui mancano teste, idee e visione”.

Mentre Klingbeil è stato in grado di affermarsi come “il maggior vincitore di una storica sconfitta, il cui responsabile è proprio lui”. Paradossi della politica, ma anche il segno della evidente abilità di questo solido ex ragazzo dell’SPD, che ha scalato tutte le posizioni, passando dalla segreteria alla presidenza, e arrivando ai vertici dopo aver congedato Scholz e bloccato Boris Pistorius, che nel prossimo esecutivo sarà riconfermato alla Difesa. Originario della Bassa Sassonia e laureato in Scienze politiche e storia, Klingbeil non ha competenze amministrative né il profilo di un esperto di finanza, ma ha già ottenuto la fiducia di alcune economisti che sulla Faz hanno frenato le perplessità in materia: ha una forte esperienza politica e potrà colmare i suoi deficit potendo fra l’altro contare sulla consulenza dell’entourage di Scholz e dello stesso ministro uscente Joerg Kukies, che subentrò al liberale Christian Lindner al momento del crollo del “semaforo”.

Nei prossimi giorni avrà anche il compito di scegliere i ministri socialdemocratici, e di risolvere il pasticcio con la sua copresidente Saskia Esken, sgradita a molti e ad un passo dal benservito. “Sono orgoglioso del partito”, ha detto il segretario generale Matthias Miersch, sottolineando il “forte appoggio” arrivato alla coalizione dai compagni. E proprio quest’ultimo potrebbe succedere a Klingbeil che si era fatto nominare capogruppo parlamentare a poche ore dagli exit poll, decretando di essere il numero uno e la vera speranza del partito. Con il suo stile oltremodo sobrio Scholz ha tenuto intanto l’ultima seduta di gabinetto: niente doni di fine missione, né lacrime, ha ironizzato il portavoce, ma 20 minuti di uno scambio di elogi sulla buona collaborazione nell’esecutivo naufragato. E lui, l’ormai ex cancelliere, il 6 maggio voterà per Merz e resterà deputato semplice.

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Airyn, figlia di Robert De Niro fa outing: sono trans

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Airyn De Niro fa outing: a 29 anni la figlia di Robert De Niro e della ex compagna Toukie Smith ha confessato alla rivista Them di aver cominciato il processo da cui emergerà come donna transgender. Airyn si è definita una “late bloomer”, una persona cioè che ha scoperto tardi un aspetto di sé importante come l’identità di genere. “Credo che una parte importante della mia transizione sia stata l’influenza delle donne nere su di me”, ha detto Airyn, la cui mamma, che è stata al fianco di De Niro dal 1988 al 1996, è afro-americana. “Credo che entrare in questa nuova identità, e al tempo stesso sentirmi più orgogliosa del mio essere nera, mi faccia sentire in qualche modo più vicina a loro”. Airyn ha raccontato di aver espresso un’identità femminile attraverso abiti, acconciature e comportamenti dalla scuola media, ma di aver iniziato la terapia ormonale solo nel novembre 2024.

“Una parte di me teme che possa ancora vedermi come la persona che ero prima della transizione”, ha detto parlando delle preoccupazioni per come la famiglia prenderà la transizione. Modelli di riferimento, come ha spiegato alla rivista che nel titolo “loro” ha adottato il pronome di chi non si identifica con maschile o femminile, sono state figure come Laverne Cox, Michaela Jaé Rodriguez e Jools Lebron. Airyn, che ha un fratello gemello di nome Julian, ha parlato anche della sua vita come una dei sette figli del leggendario attore hollywoodiano. “C’è una differenza tra essere visibili ed essere visti”, ha dichiarato: “Io sono stata visibile. Ma non credo di essere mai stata veramente vista”. La transizione di Airyn, che ora spera di poter intraprendere una carriera come consulente per la salute mentale, era stata anticipata in marzo dal Daily Mail che, dopo averla fotografata a New York, l’aveva definita “il figlio nepo baby di Robert De Niro”. Niente di più lontano dalla realta’, secondo Airyn: “Non sono cresciuta avendo una piccola parte nei film di papà o andando a riunioni d’affari o alle prime cinematografiche. Mio padre teneva molto al fatto che ciascuno di noi trovasse la propria strada. Vorrei che il mio successo arrivasse per merito mio”.

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‘Trump a Zelensky a S.Pietro, solo Usa riconosceranno la Crimea’

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Nel faccia a faccia in Vaticano il giorno dei funerali di Papa Francesco Volodymyr Zelensky avrebbe ribadito che non riconoscerà la Crimea come russa e Trump avrebbe chiarito che non glielo chiederà perché il piano è il riconoscimento della Crimea come russa da parte degli Usa, non dell’Ucraina. Lo riporta Axios che ricostruisce l’incontro. Zelensky avrebbe anche detto a Trump di non aver paura di fare concessioni per porre fine alla guerra, ma di aver bisogno di garanzie di sicurezza sufficientemente forti per farlo. Il leader ucraino avrebbe ribadito che Putin non si sarebbe mosso a meno che Trump non avesse fatto più pressione.

Una fonte avrebbe riferito che Trump ha risposto che avrebbe potuto dover cambiare il suo approccio nei confronti di Putin, come ha poi affermato nel suo post su Truth Social. Zelensky ha anche spinto a tornare alla sua proposta iniziale di un cessate il fuoco incondizionato come punto di partenza per i colloqui di pace, accettata dall’Ucraina ma respinta dalla Russia. Trump sembrava essere d’accordo. La Casa Bianca non ha confermato né smentito. Un portavoce di Zelensky ha rifiutato di commentare i contenuti dell’incontro.

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