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Omicidio Vassallo, invischiato nell’inchiesta un carabiniere già arrestato perché legato alla camorra

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C’è, pare, una pista nuova per l’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica, in provincia di Salerno. Il primo cittadino ambientalista di questo delizioso centro del Cilento, fu ucciso il 5 settembre del 2010 con una pistola calibro nove. Sette colpi in fa

Omicidio Angelo Vassallo. Ancora nessun colpevole per l’omicidio del sindaco pescatore che combatteva contro i narcos che volevano conquistare il Cilento

ccia al sindaco che rientrava in auto a casa. Chi sparò lo conosceva. Il sindaco di fermò, forse parlò anche col suo assassino prima che sparasse e lo uccidesse. Nuove indagini potrebbero riaprire il caso, grazie ad una inchiesta della procura antimafia di Napoli che ha portato ad aprile in carcere il brigadiere dei carabinieri Lazzaro Cioffi. L’ex militare congedato dall’Arma con disonore dopo essere arrestato per presunti rapporti con il boss del narcotraffico Pasquale Fucito, capo di una piazza do spaccio nel Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli, è indagato anche per l’ omicidio Vassallo. A formulare questa accusa di concorso in omicidio volontario aggravato dal metodo mafioso è la procura di Salerno. A metà giugno l’ex carabiniere interrogato nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere non ha voluto rispondere alle domande dei magistrati. Si è avvalso di una facoltà concessa dalla legge.

Il brigadiere, in servizio a Castello di Cisterna, è accusato di aver rivelato notizie su indagini al boss Fucito. Non solo. A parere dei pm so sarebbe anche prestato a investire i proventi della vendita della droga. Cioffi è accusato anche di corruzione e peculato. Tra gli uffici giudiziari di Napoli e Salerno c’è stata grande collaborazione per cercare di trovare un sentiero che porti alla verità sull’omicidio Vassallo. Nel 2013 un testimone aveva infatti contattato i familiari del sindaco segnalando la presenza di Lazzaro Cioffi a Pollica nei giorni dell’ omicidio: «Era sul luogo del delitto» avrebbe rivelato un testimone non diretto perchè la notizia l’avrebbe appresa da una terza persona. La procura aveva avviato i riscontri ma non era stato possibile confermare l’ indiscrezione. E allora? Che cosa succede? Ci sarebbero nuove testimonianze che collocherebbero Cioffi nella cittadina cilentana e, in questo caso, il movente andrebbe cercato negli ambienti legati alla droga.
Nei giorni che precedettero l’ omicidio, infatti, furono molte le denunce presentate da Angelo Vassallo alle forze dell’ordine perché bloccassero lo spaccio nei bar del porto di Acciaroli. Siamo però sempre nel campo delle ipotesi per fare chiarezza su un omicidio tanto efferato quanto difficile da comprendere. Da sette anni, infatti, a parte ipotesi di mandanti, moventi ed autori materiali del delitto, non vi sono certezze. Solo chiacchiere. L’unico sospettato di essere l’ esecutore materiale dell’omicidio fu l’italo brasiliano Bruno Huberto Damiani, legato agli ambienti dello spaccio e delle estorsioni, nell’orbita del clan locale retto da Giuseppe Stellato. A scagionarlo, però, arrivo la prova del Dna.
Le indagini si sono poi orientate su una vigilessa originaria di Pollica, Ausonia Pisani, figlia di un generale dei Ros e compagna di Sante Fragalà, vicino al clan di Nitto Santapaola. La coppia venne arrestata a Roma per un duplice omicidio. Il padre avrebbe voluto aprire uno stabilimento balneare a Pollica ma Vassallo, che si batteva contro le speculazioni, negò i permessi.
Un altro filone investigativo ha seguito invece la pista degli appalti. In qualità di consigliere provinciale, infatti, Angelo Vassallo aveva più volte denunciato lo scandalo delle strade fantasma, pagate dalla Provincia di Salerno ma mai costruite, che sfociò nel processo Ghost roads.
La sua battaglia contro il cemento per preservare il Parco del Cilento e Vallo di Diano l’aveva reso un personaggio scomodo per la politica locale.

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Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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