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Cronache

Alessandria, minaccia il suicidio, ma un Carabiniere la salva 

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Era da poco passata la mezzanotte, quando la centrale operativa dei Carabinieri di Alessandria riceveva la richiesta di intervento di una donna che riferiva di avere appena avuto una videochiamata con la figlia, seduta in precario equilibrio sul parapetto del ponte Meier di Alessandria. Immediato l’intervento di una pattuglia dei Carabinieri del Nucleo Radiomobile che, con rapidità e cautela, raggiungeva e si avvicinava al punto in cui la ragazza si trovava, cercando di dissimulare il proprio arrivo, affinché non generasse reazioni indesiderate.
La giovane era seduta su una delle travi trasversali che collegano le due piattaforme carrabili a “forma di mandorla” del ponte, con le gambe nel vuoto, evidentemente raggiunta dopo avere scavalcato la ringhiera di protezione. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e non dava l’impressione di essersi accorta dell’arrivo dei Carabinieri, giunti a fari spenti e senza sirene, percorrendo la piattaforma pedonale. Non c’erano dubbi, si trattava di un altro possibile tentativo di suicidio, come altri già avvenuti dall’inaugurazione del ponte sul Tanaro nell’ottobre del 2016. Tragico destino per tutti i ponti, dopotutto.
Mentre uno degli operanti aggiornava la Centrale Operativa su quanto stesse accadendo e richiedeva l’intervento di personale medico, l’altro Carabiniere, senza esitare, scavalcava a sua volta la balaustra e si calava sulla stretta trave metallica, raggiungendo la ragazza, sempre adoperando la necessaria cautela per non allarmarla. Nonostante l’atteggiamento rassicurante dell’uomo, però, la giovane gli intimava di non avvicinarsi, altrimenti si sarebbe lasciata cadere nel vuoto, nelle gelide acque del fiume sottostante, che in quel punto attraversa rocce e blocchi di cemento sporgenti.

Il Carabiniere iniziava quindi una delicata ma ferma opera di convincimento per rassicurare la ragazza e persuaderla che la sua presenza non avrebbe condizionato le sue scelte. Ottenuta la sua fiducia, l’uomo si sedeva sulla fredda struttura, resa ancora più fredda dall’insolita temperatura di una notte di aprile prossima agli zero gradi. Lentamente e con fare rassicurante, riusciva ad arrivare a sedersi proprio accanto alla ragazza, cosa insperata solo pochi minuti prima.
Dopo l’iniziale imbarazzo e le prevedibili reticenze, la giovane rispondeva alla domanda del Carabiniere che le chiedeva come si chiamasse e iniziava a raccontargli i propri problemi.
I tentativi di persuadere la ragazza dall’insano proposito e di convincerla a risalire la balaustra del ponte venivano inizialmente vanificati dall’arrivo, loro malgrado, di altre pattuglie dei Carabinieri, dei Vigili del Fuoco e del personale sanitario. Improvvisamente, l’umore della giovane si alterava e riprendevano le minacce di lanciarsi nel vuoto, se tutti i presenti non fossero andati via. Eccetto lui, il Carabiniere del quale aveva iniziato a fidarsi e con il quale voleva continuare a parlare.
La fiducia ottenuta riusciva a fare breccia negli insani propositi della giovane, che si convinceva ad alzarsi, esortata dal Carabiniere che le chiedeva di essere a sua volta aiutato a raggiungere il corrimano di protezione e di seguirlo lungo la trave, verso la ringhiera. Impresa non facile, a causa della superficie della trave resa viscida dall’umidità della notte e dal precario equilibrio della ragazza, appannato dall’alcool.
Lentamente e non senza preoccupazione per il Carabiniere e per coloro che stavano osservando lo svolgersi degli eventi, i due riuscivano ad avvicinarsi alla fine del possibile incubo e, una volta giunti in prossimità della balaustra, la giovane veniva afferrata dagli altri Carabinieri intervenuti e, finalmente, riportata sulla piattaforma pedonale. In salvo.
Pronto l’intervento dei sanitari, alle cure dei quali veniva affidata, prima di essere trasportata presso il locale pronto soccorso, dove è attualmente ricoverata.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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