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Cronache

Omicidio in discoteca durante “Mak P”, condannato boss Zagaria

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Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli Giovanni De Angelis ha condannato a 30 anni di carcere, al termine del rito abbreviato, i boss del clan dei Casalesi Michele Zagaria e Vincenzo Schiavone alias “petillo”, imputati per l’omicidio di Michele Della Gatta, elemento della cosca ucciso in un lido di Castel Volturno (Caserta) nel 1999. Il gup ha inoltre inflitto 10 anni e otto mesi ad Antonio Iovine, detto “o ninno”, ex boss dei Casalesi divenuto collaboratore di giustizia. Per quasi venti anni, del delitto non erano mai stati scoperti mandanti ed esecutori, tanto che la prima indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, attivata dopo l’omicidio, si era chiusa con un’archiviazione. Poi importanti collaboratori di giustizia del clan, in primis Nicola Schiavone, primogenito del capo dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone, e quindi lo stesso Antonio Iovine, hanno iniziato a parlare del delitto Della Gatta aprendo nuovi scenari. E’ emerso che Zagaria e appunto Iovine furono i mandanti del delitto, mentre Vincenzo Schiavone fu l’esecutore materiale, e che il delitto, avvenuto il 5 giugno 1999, sarebbe strettamente connesso ad un altro fatto di sangue accaduto tre mesi prima, il 19 marzo dello stesso anno, ovvero quello di Carlo Amato, figlio del boss Salvatore Amato, che allora controllava la citta’ di Santa Maria Capua Vetere. Carlo Amato, emerse dalle immediate indagini della Dda, fu pestato e accoltellato mortalmente da Della Gatta, allora esponente della famiglia Schiavone, in una discoteca di Santa Maria dove era in corso il “MakP 100” del liceo scientifico Amaldi; la festa era stata organizzata dall’allora 18enne Walter Schiavone, figlio di Sandokan, che era ovviamente presente. Pare che Carlo avesse offeso Walter Schiavone e il fratello Nicola, per cui Della Gatta reagi’ pestando e uccidendo Amato. Il padre di quest’ultimo voleva quindi vendicarsi colpendo uno dei figli di Sandokan, cosi’ i capi del clan dei Casalesi, per evitare sanguinose vendette e dunque una probabile faida, decisero di uccidere Della Gatta. Nello staff dei difensori Paolo Di Furia, Emilio Martino e Giuseppe Tessitore.

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Cronache

Neonati sepolti, il 16 udienza preliminare per Chiara Petrolini

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La Procura di Parma ha chiesto il rinvio a giudizio e il Gup ha fissato l’udienza preliminare per Chiara Petrolini, venerdì 16 maggio. Lo riporta 12Tvparma. La 22enne di Vignale è accusata di duplice omicidio e soppressione di cadavere e a fine febbraio la Procura, che ha coordinato le indagini dei carabinieri, aveva inviato l’avviso di fine indagine. Per gli inquirenti la ragazza di Traversetolo ha premeditato entrambe le uccisioni dei due figli, dopo due gravidanze di cui nessuno aveva saputo nulla, né i familiari, né il fidanzato e padre dei piccoli.

Un neonato venne rinvenuto nel giardino di casa il 9 agosto, mentre il primogenito, nato nel 2023, venne seppellito un anno prima e scoperto dai carabinieri in un secondo momento. Petrolini è agli arresti domiciliari, vive nella villetta di famiglia che si affaccia sul piccolo giardino dove sono stati sepolti i due neonati che aveva partorito. Non è ancora stata fissata la nuova udienza del Tribunale del Riesame di Bologna che dovrà esprimersi una seconda volta sulla misura cautelare da applicare alla ragazza dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Riesame stesso che a ottobre aveva disposto il carcere. La giovane è difesa dall’avvocato Nicola Tria.

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Cronache

Liti e suore in fuga, il convento commissariato

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In fuga dal convento di clausura, per le “tensioni insopportabili” createsi nella comunità monastica e culminate con l’allontanamento della madre badessa. E’ la storia di cinque suore cistercensi del convento di San Giacomo di Veglia di Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, che se ne sono andate sbattendo il portone per riparare in un altro luogo segreto, a causa delle vicissitudini che, a loro avviso, hanno minato il luogo di preghiera. Un monastero, per altro, ben conosciuto all’esterno: perchè le monache di San Giacomo di Veglia sono apprezzate produttrici di bottiglie di Prosecco Docg, fatto con le uve delle vigne del convento.

Tutto è uscito allo scoperto perché, per evitare si creassero allarmi sulla loro improvvisa ‘scomparsa’, le cinque si sono presentate alla caserma dei Carabinieri per avvisare della loro uscita e della necessità di “riparare in sicurezza” in un’altra località. Cosa che oggi ha trovato conferme in ambienti dell’Arma. Ma cosa è successo nel monastero? A parlare per ora, con il Gazzettino, è stata la più giovane delle monache, raccontando di “tensioni insopportabili”, e dell’arrivo di una Commissione ispettiva pontificia che ha portato all’allontanamento della badessa, madre Aline Pereira.

Proprio il forzato addio della superiora avrebbe generato una “forte pressione psicologica” nei confronti delle 5 consorelle, legate alla badessa. Pur nel riserbo dovuto alla vita conventuale, non risulterebbero però gravi ragioni sul piano penale o civile alla base del ‘divorzio’ del gruppo di suore da San Giacomo di Veglia. “Siamo dovute fuggire – ha raccontato la giovane monaca – perché il clima, da quando è arrivata la Commissione che ha allontanato suor Aline, è diventato insopportabile”. Alcune di loro risiedevano nel monastero da 25 anni. Avevano anche chiesto al loro Dicastero la dispensa dai voti e il permesso di rompere la clausura, ma hanno ottenuto un rifiuto.

“Hanno distrutto una situazione di pace che durava da mezzo secolo, ci siamo sentite soffocate” ha raccontato ancora la giovane monaca al Gazzettino. Ad ufficializzare il patatrac è stata la Diocesi di Vittorio Veneto che, pur non entrando nel merito della vicenda, ha reso nota la decisione del Dicastero per gli istituti di Vita consacrata e le società di vita apostolica: il monastero trevigiano è stato “commissariato” ed è stata nominata una Commissaria Pontificia (oltre a due consigliere), “che ha assunto tutte le competenze che la normativa dell’Istituto e quella universale della Chiesa attribuiscono alla Madre Abbadessa”. Le radici della storia parrebbero affondare in una querelle nata già nel gennaio 2023, quando dal convento partì una lettera di quattro monache indirizzata al Papa, con accuse nei confronti della madre badessa. Accuse che, due prime visite ispettive, aveva archiviato come “calunnie”.

(La foto non ha attinenza con l’articolo ed ha solo uno scopo illustrativo)

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Cronache

Incidente sul Faito, Thaeb Suliman è sveglio: unico sopravvissuto migliora, resta in prognosi riservata

Thaeb Suliman, 23 anni, unico sopravvissuto all’incidente sul Monte Faito, è sveglio e in miglioramento. Resta in prognosi riservata, ma si valuta il trasferimento in ortopedia.

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Thaeb Suliman, il giovane di 23 anni unico sopravvissuto al tragico incidente avvenuto sul Monte Faito lo scorso 17 aprile, “è sveglio e collaborante”. A comunicarlo sono fonti dell’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1, che seguono l’evoluzione clinica del paziente.

Le vittime dell’incidente e il quadro clinico

Nel drammatico schianto hanno perso la vita quattro persone. Suliman, unico superstite, è attualmente ricoverato presso l’Ospedale del Mare. Secondo quanto riferito, i suoi parametri respiratori sono stabili, e si registra un miglioramento generale delle sue condizioni. Tuttavia, la funzione renale è ancora compromessa: la diuresi è indotta e non sufficiente per interrompere la dialisi.

Possibile trasferimento in ortopedia

Il paziente è sottoposto a un continuo monitoraggio che nei prossimi giorni potrà consentire la sospensione della prognosi riservata e il trasferimento nel reparto di ortopedia. Una nota dell’ASL sottolinea la prudenza dei medici nel valutare l’evoluzione clinica, che resta complessa ma in miglioramento.

Il sostegno della famiglia

Thaeb Suliman riceve quotidianamente la visita del fratello, medico, ospite del Residence dell’Ospedale del Mare, a testimonianza di un importante supporto familiare in questa fase delicata del percorso di cura.

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