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Nordcoreani in Ucraina: l’armata scomparsa nel silenzio del fronte

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Undicimila soldati, giovani e forti. Ma ora spariti nel nulla. L’esercito nordcoreano, inviato da Kim Jong-un per sostenere la Russia nel conflitto in Ucraina, sembra essersi dissolto, lasciando dietro di sé migliaia di morti e feriti. Secondo fonti di intelligence occidentali, nelle ultime tre settimane i nordcoreani non combattono più. Ritirati dal fronte, esclusi dalle operazioni offensive, probabilmente ritenuti inefficaci e inaffidabili dagli stessi russi.

Secondo le informazioni fornite dai servizi segreti americani e ucraini, l’unità nordcoreana si è rivelata male equipaggiata e poco coordinata con l’esercito russo. Alcuni prigionieri hanno raccontato che molti di loro combattevano senza elmetti né giubbotti antiproiettile, esponendosi al fuoco nemico senza alcuna protezione.

Una strage silenziosa

Le stime sulle perdite variano: più di 1.000 morti secondo gli americani, oltre 3.000 per gli ucraini, fino al 40% di perdite complessive tra morti, feriti e prigionieri secondo un centro studi britannico. In molti casi, pur di non cadere in mano nemica, i soldati nordcoreani si sono tolti la vita con bombe a mano o sparandosi.

Eppure, la loro presenza è sempre stata negata dal Cremlino. Ufficialmente, Mosca non ha mai ammesso di aver ricevuto truppe da Pyongyang, parlando solo di “volontari asiatici” provenienti da repubbliche ex sovietiche. Secondo i servizi segreti britannici, i corpi dei caduti venivano bruciati o mutilati per impedirne il riconoscimento.

L’accordo tra Putin e Kim Jong-un

L’arrivo del contingente nordcoreano è stato frutto di un’intesa tra Vladimir Putin e Kim Jong-un, finalizzata a uno scambio tra uomini e munizioni in cambio di risorse. Pyongyang ha fornito alla Russia milioni di proiettili, oggi utilizzati per il 50% delle operazioni di fuoco dell’esercito di Mosca. In cambio, Kim ha ottenuto petrolio, cibo e supporto tecnologico.

Secondo fonti sudcoreane, già nell’estate scorsa era evidente che il regime nordcoreano stava preparando un intervento diretto in Ucraina, inviando non semplici soldati, ma le sue migliori forze speciali. Tuttavia, la strategia russa si è rivelata fallimentare: questi militari, altamente addestrati, sono stati utilizzati come carne da cannone, senza preparazione adeguata per un conflitto di questa portata.

Una disfatta senza gloria

Il generale ucraino Oleksandr Syrsky, che ha fronteggiato le truppe di Pyongyang, ha confermato che nelle ultime settimane i nordcoreani non si sono più visti. Segno evidente che l’esperimento russo è stato un fallimento strategico.

I nordcoreani erano partiti per combattere non per denaro, ma per la gloria, come hanno riferito alcuni prigionieri. Ma quella che doveva essere un’impresa eroica si è trasformata in un’ecatombe, con soldati mandati avanti senza mappe, senza copertura, senza protezione, falciati dal fuoco ucraino o dilaniati dai campi minati.

La loro scomparsa dal fronte è il segno di una disfatta totale: un esercito morto in silenzio, senza onori, in una guerra che non gli apparteneva.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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