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Esteri

Netanyahu all’Onu: il messaggio diretto di Israele a Gaza via altoparlanti e cellulari

Per l’intervento all’Onu Netanyahu ha diffuso il suo messaggio in diretta nella Striscia: altoparlanti sul territorio e controllo dei telefoni dei residenti per rivolgersi a Hamas, ai civili e alle famiglie degli ostaggi.

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La promessa di “finire il lavoro” pronunciata da Benyamin Netanyahu (foto Imagoeconomica) all’Assemblea generale delle Nazioni Unite è stata recapitata in modo diretto alla popolazione e a Hamas all’interno della Striscia di Gaza. Secondo quanto riferito, il governo israeliano ha deciso di usare strumenti di comunicazione non convenzionali: l’installazione di altoparlanti in vari punti del territorio e — soprattutto — l’infiltrazione dell’Idf nei telefoni dei residenti per diffondere in tempo reale il discorso del premier.

Obiettivo: parlare sia ai militanti sia ai civili

L’intento dichiarato era duplice: rivolgersi a Hamas per chiarire le condizioni richieste da Israele per la fine del conflitto (restituzione degli ostaggi, smantellamento militare del movimento, smilitarizzazione della Striscia) e raggiungere le centinaia di migliaia di persone rimaste a Gaza City nonostante gli appelli all’evacuazione. Il messaggio includeva un avvertimento netto: chi continuerà a combattere o a sostenere la fazione sarà perseguito, mentre chi si adeguerà potrà salvarsi.

Mezzi e rischi operativi

L’installazione degli altoparlanti è stata ordinata alla vigilia dell’intervento all’Onu, non solo lungo il confine ma in più punti del territorio. L’operazione ha sollevato cautela fra gli stessi vertici militari israeliani, che temevano rischi per i soldati costretti a lasciare temporaneamente le postazioni per montare i dispositivi.
L’iniziativa più controversa resta però il controllo e l’uso dei telefoni dei residenti e degli attivisti di Hamas per trasmettere il discorso: una manovra senza precedenti rivendicata dalle autorità israeliane a New York e pensata per dimostrare la capacità di raggiungere i miliziani «ovunque e con ogni mezzo».

Un precedente operativo e l’effetto psicologico

L’azione ricorda — nelle intenzioni e nell’effetto psicologico — operazioni precedenti mirate a disorientare milizie avverse: tra gli esempi citati è quella in cui furono attivate simultaneamente dispositivi per militanti filo-Hezbollah, creando un forte impatto sul campo. Qui l’obiettivo dichiarato è anche quello di infondere speranza alle famiglie degli ostaggi: Netanyahu infatti ha assicurato dall’Onu che “non ci fermeremo finché non li riporteremo tutti a casa, vivi o morti”, parole rivolte in primo luogo ai parenti e all’opinione pubblica israeliana.

Tra propaganda, pressione psicologica e diritto

L’uso di mezzi informatici e di diffusione mirata solleva questioni di carattere legale, etico e umanitario: l’intrusione nei telefoni dei civili e la diffusione forzata di messaggi in una zona di conflitto pongono interrogativi sul confine tra strategie militari, pressione psicologica e tutela della popolazione civile. Le autorità israeliane difendono la manovra come azione volta a proteggere ostaggi e a minare la capacità operativa degli avversari; i critici sottolineano il rischio di ulteriore escalation e di impatti sulla popolazione non combattente.

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Esteri

Hezbollah, un anno dopo la morte di Nasrallah: resistenza e fragilità tra bombardamenti israeliani e pressioni Usa

A un anno dall’uccisione di Nasrallah e Safieddin, Hezbollah tenta di rialzarsi tra bombardamenti israeliani, ostilità del governo libanese e pressioni Usa per tagliare i fondi iraniani.

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È passato un anno dalla clamorosa operazione israeliana che ha eliminato Hasan Nasrallah, storico leader di Hezbollah, e il suo designato successore Hashem Safieddin. Con loro, sotto i bunker di Beirut sud, morirono anche alti comandanti del Partito di Dio e il vice dei Pasdaran iraniani, Abbas Nilforoushan. L’attacco, condotto con circa 80 ordigni capaci di penetrare fortificazioni sotterranee, ha segnato un punto di svolta: il Medio Oriente oggi appare più favorevole a Israele e agli Stati Uniti, a scapito dell’Iran e dei suoi alleati.

La base popolare resiste nonostante l’isolamento

Nonostante le perdite e i quotidiani raid israeliani, Hezbollah mantiene salda la fedeltà della base sciita libanese. In un contesto segnato dall’ostilità del governo di Beirut, spinto dagli Stati Uniti a disarmare il movimento, il partito continua a mostrare capacità organizzativa e presenza nelle istituzioni: dispone ancora di deputati, ministri e un arsenale che, secondo gli analisti, includerebbe anche armamenti pesanti.

Il culto di Nasrallah e la frattura con lo Stato libanese

La memoria di Nasrallah resta centrale. L’immagine del leader, insieme a quella di Safieddin, è stata proiettata sugli Scogli dei Piccioni a Beirut, con la voce registrata del “Sayyid” diffusa dagli altoparlanti. L’iniziativa, non autorizzata dal governo, ha scatenato tensioni: le autorità hanno chiesto l’arresto degli organizzatori, segnando l’ennesima frattura tra Stato e partito.

Pressioni americane e ombra iraniana

Mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu ribadisce all’Onu l’impegno a neutralizzare Hezbollah, a Beirut una delegazione del Tesoro Usa lavora per colpire le fonti di finanziamento del movimento. Per Washington, Hezbollah riceve ancora ingenti fondi dall’Iran, nonostante la perdita del corridoio terrestre siriano dopo il cambio di potere a Damasco.

Secondo l’inviato americano Thomas Barrack, il Partito di Dio resta in grado di ricostruire la propria rete di potere locale, sfruttando la resilienza della base e la capacità di inserirsi nei vuoti lasciati dallo Stato libanese.

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Economia

Trump minaccia dazi al 100% sui farmaci, ma l’Ue punta sul tetto del 15% come “polizza assicurativa”

Donald Trump annuncia dazi al 100% sui farmaci di marca e brevetto e nuove tariffe su mobili e camion. L’Ue risponde con il tetto del 15% come garanzia contro l’escalation commerciale.

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Donald Trump alza la tensione sul commercio internazionale. Con un post su Truth, il presidente americano ha annunciato dazi al 100% sui farmaci di marca o brevettati a partire dal primo ottobre, con un’unica eccezione: le aziende che stanno costruendo stabilimenti produttivi negli Stati Uniti.

Il pacchetto include anche tariffe al 50% su mobili da cucina e da bagno e al 25% sui camion pesanti, motivate con la necessità di “proteggere i produttori americani” e difendere la “sicurezza nazionale”. Per il tycoon, infatti, il mercato interno sarebbe “inondato” da importazioni che mettono a rischio l’industria statunitense.

L’ipotesi della Sezione 232

Per blindare le misure, la Casa Bianca potrebbe invocare la Sezione 232, che consente l’introduzione di dazi per motivi di sicurezza nazionale. Una base legale ritenuta più solida in tribunale, dopo i precedenti stop della Corte Suprema su altre tariffe.

Trump ha colto l’occasione per rilanciare anche un attacco al paracetamolo, collegandolo ancora una volta – senza prove scientifiche – all’autismo nei bambini e invitando le donne incinte a evitarne l’uso “se non strettamente necessario”.

La risposta dell’Unione Europea

A Bruxelles la reazione è stata immediata. Il portavoce della Commissione, Olof Gill, ha ricordato che l’intesa Ue-Usa firmata a luglio in Scozia prevede un tetto massimo del 15% per i dazi sui farmaci, considerato una vera e propria “polizza assicurativa” a tutela delle imprese e dei pazienti europei.

Il limite del 15% è onnicomprensivo, cioè comprende sia i dazi di base sia eventuali tariffe extra introdotte con la Sezione 232. Per l’Ue, dunque, qualsiasi aumento oltre quella soglia sarebbe una violazione dell’accordo.

Altri settori sotto osservazione

Nel pacchetto annunciato da Trump non rientrano mobili e camion, che non fanno parte della dichiarazione congiunta, ma Bruxelles vuole verificare eventuali effetti indiretti sulle categorie “correlate”.

Resta alta l’attenzione anche su acciaio, vino e alcolici, settori già toccati in passato dalle dispute commerciali transatlantiche, e sui contingenti tariffari oggetto di nuovi negoziati.

L’industria farmaceutica, però, resta il cuore della partita: un comparto strategico che l’Ue vuole blindare, rivendicando il tetto del 15% come garanzia di stabilità in un contesto di forte tensione politica e commerciale.

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Esteri

Sarkozy condannato, i sostenitori parlano di “decisione infondata”. Attesa per la carcerazione dal 13 ottobre

Dopo la condanna a 5 anni, Nicolas Sarkozy rischia il carcere alla Santé. I sostenitori denunciano “decisione infondata”. L’avvocato Darrois parla di modalità “perverse” della sentenza. Ipotesi di grazia da parte di Macron.

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Il giorno dopo la condanna a 5 anni di carcere per associazione a delinquere, prima volta per un ex presidente della Repubblica francese, i sostenitori di Nicolas Sarkozy (foto Imagoeconomica) denunciano una “decisione infondata” e modalità “perverse” scelte dal tribunale per annunciare la sentenza.

Dal 13 ottobre, quando la procura notificherà l’ordine di carcerazione, Sarkozy diventerà a tutti gli effetti un detenuto.

Il carcere della Santé e le condizioni di detenzione

L’ex capo di Stato dovrebbe essere trasferito al carcere parigino della Santé, in un settore speciale riservato ai “vulnerabili”, ossia persone molto note o la cui vicenda ha avuto forte eco mediatica.

Le condizioni prevedono una cella di 9 metri quadrati con doccia, frigo e tv personali, 23 ore al giorno di isolamento e un’ora d’aria in orari diversi dagli altri detenuti per evitare contatti diretti.

Le parole della difesa

L’avvocato Jean-Michel Darrois ha espresso incredulità: “Ancora oggi non mi rendo conto. Ci hanno letto prima le assoluzioni dalle accuse più gravi, poi all’improvviso la condanna. È una decisione infondata in diritto: né corruzione né finanziamento illegale sono stati dimostrati”.

Darrois ha scelto la prudenza sul fatto che la presidente del tribunale, Nathalie Gavarino, avesse partecipato nel 2011 a una manifestazione anti-Sarkozy: “Non voglio credere che questo abbia influenzato la decisione, ma capisco chi lo pensi”.

L’ipotesi di grazia e la politica

L’ex consigliere speciale Henri Guaino ha chiesto a Emmanuel Macron di concedere una grazia parziale, che cancellerebbe soltanto la detenzione. L’articolo 17 della Costituzione francese lo consentirebbe, ma solo a condanna definitiva, quindi non nell’immediato.

Per ora, l’avvocato assicura che Sarkozy preferisce “difendersi e dimostrare la sua innocenza”.

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