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Narcos scatenano la guerriglia per il figlio del Chapo

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E’ stato per un giorno “l’inferno in terra”. Così gli abitanti di Culiacán, capoluogo dello Stato messicano di Sinaloa, hanno vissuto il durissimo scontro fra i narcos del locale cartello e le forze dell’ordine che ha preceduto la cattura di Ovidio Guzmán López, figlio del super boss Joaquín ‘El Chapo’ Guzmán, da anni in un carcere Usa dove sconta una condanna all’ergastolo. Il bilancio è pesantissimo: ben 29 morti, fra cui dieci soldati e agenti, e 19 narcotrafficanti, oltre a decine di feriti delle due parti e 21 membri del cartello arrestati. Nella speranza di minimizzare le perdite umane, oltre 3.500 uomini di esercito e polizia erano entrati in azione alle 5 del mattino, quando la città era pressoché deserta, per giungere nella località di Jesús María dove si trovava Ovidio Guzmán, detto ‘El Raton’ (il Topo).

Ma il blitz è riuscito solo in parte, perché la reazione del sistema di sicurezza del Cartello di Sinaloa è scattato immediatamente, con un dispiegamento di gruppi armati e l’attivazione di ben 19 barricate sulle principali vie di comunicazione dove sono state incendiate varie auto, per impedire che le forze dell’ordine riuscissero nel loro intento. Per molte ore, hanno riferito testimoni oculari, Culiacán si è trasformata in una città in guerra, con incendi e sparatorie in diversi quartieri e nei pressi dell’aeroporto, e l’uso di armi leggere e pesanti, e anche di esplosivi.

Gli uomini in divisa, spesso in difficoltà, per riuscire ad avanzare hanno utilizzato autoblindo messe a disposizione dal governo di Sinaloa, con l’appoggio di fuoco aereo che ha contenuto in qualche modo la reazione dei narcos, intenzionati a impedire la cattura del loro capo a tutti i costi. L’esito dello scontro è stato a lungo incerto, tanto che i cecchini del cartello sono riusciti ad un certo punto a invadere l’aeroporto locale e a colpire due aerei, e anche a centrare un elicottero del ministero dell’Interno che ha dovuto effettuare un atterraggio di emergenza. Alla fine comunque la cattura è riuscita, e Ovidio Guzmán è stato messo su un elicottero che lo ha trasferito a Città del Messico, a disposizione della Procura specializzata in materia di delinquenza organizzata (Femdo).

Al suo arrivo Guzmán ha ricevuto la notifica dall’Interpol di un ordine di cattura ai suoi danni con fini di estradizione. Sui tempi, tuttavia le autorità messicane hanno espresso cautela. Parlando con la stampa il ministro degli Esteri Marcelo Ebrard ha confermato l’esistenza dell’ordine di cattura, ma ha spiegato che “non potremmo estradarlo oggi, domani, o dopodomani, perché dobbiamo rispettare le formalità che la legge messicana ci impone”. Ebrard ha infine anche respinto le illazioni secondo cui l’arresto sarebbe stato organizzato come “regalo di benvenuto” al presidente Joe Biden, che domenica arriverà in Messico per partecipare, con il premier canadese Justine Trudeau e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, al X Vertice dei Leader dell’America settentrionale (9-10 gennaio). In futuro, una volta negli Stati Uniti, Ovidio Guzmán dovrà affrontare un processo davanti alla Corte federale del distretto di Columbia (Washington, D.C.) per i reati di associazione per delinquere e traffico di stupefacenti.

 

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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