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Musica

Muore a 84 anni leggenda musica folk canadese Gordon Lightfoot

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Il musicista canadese Gordon Lightfoot, una delle leggende folk del Paese, è morto all’eta’ di 84 anni in un ospedale di Toronto, come ha dichiarato il suo addetto stampa. Ad aprile Lightfoot aveva cancellato i concerti previsti per quest’anno a causa di problemi di salute, anche se non aveva fornito dettagli sulle sue condizioni. Artisti come Elvis Presley, Bob Dylan, Neil Young, Barbra Streisand, Eric Clapton, Olivia Newton-John e Jerry Lee Lewis hanno eseguito alcune delle oltre 500 canzoni da lui scritte.

In Canada Lightfoot e’ considerato uno degli artisti che meglio ha saputo incarnare nelle sue canzoni l’essenza del Paese, dal suo clima, al suo paesaggio, alla sua gente. Dopo la notizia della sua morte, il primo ministro Justin Trudeau ha dichiarato su Twitter che il Canada “ha perso uno dei suoi piu’ grandi cantautori”. “Gordon Lightfoot ha catturato lo spirito del nostro Paese nella sua musica, e cosi’ facendo ha contribuito a plasmare il paesaggio sonoro del Canada. Che la sua musica possa continuare a ispirare le generazioni future e che la sua eredita’ possa vivere per sempre”, ha aggiunto Trudeau. Lightfoot ha pubblicato il suo primo album, “Lightfoot!”, nel 1966 dopo aver lavorato negli Stati Uniti e nel Regno Unito ed essersi fatto una reputazione come autore di canzoni.

L’album, che lo ha fatto conoscere sia in Canada che negli Stati Uniti, contiene alcune delle sue canzoni piu’ popolari, tra cui “For Lovin’ Me” e “Early Morning Rain”, interpretata tra gli altri da Presley e Dylan. Dylan, amico dell’artista canadese da quasi 60 anni, ha detto di Lightfoot: “Ogni volta che ascolto una sua canzone, vorrei che durasse per sempre”. Negli anni Ottanta, dopo anni di abuso di alcol e una condanna per guida in stato di ebbrezza, Ligthfoot cambia stile di vita e rilancia la sua carriera con l’album “Salute”. Il suo ultimo album, il ventunesimo, e’ stato “Beginnings” nel 2021.

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Springsteen in sneakers accende il Circo Massimo

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E a Roma poi arriva Bruce. Bastano poche note di “My Love Will Not Let You Down” per spazzare tutti i dubbi. Sono passati sette anni da quando aveva suonato al Circo Massimo e ci sono di nuovo 60 mila anime scelte del popolo del Boss, rassicurate dal fatto che accanto a Springsteen c’è ancora la E Street Band, la più potente macchina da live che il rock abbia prodotto negli ultimi decenni. Tutti insieme per celebrare questo magnifico rito alimentato dal fatto che queste canzoni sono pezzi di vita di tutti quelli che le conoscono e che dal vivo acquistano una dimensione diversa, percorse come sono da un’energia incontenibile.

A Roma ha piovuto durante la giornata ma è quasi inutile dire che le condizioni meteo e il fango non hanno scoraggiato nessuno. Puntuale alle 19.30 Bruce Springsteen sale sul palco: le polemiche per il concerto di Ferrara sono superate, soprattutto sono superati i timori di quanti pensavano di vedere un artista in declino. Il Boss oggi indossa le sneakers e non più gli stivali, per lui una sorta di rito di passaggio verso un’età diversa. Rispetto al passato il concerto è più simile a uno show tradizionale, nel senso che la scaletta è più o meno la stessa di tutte le altre tappe e la durata è “solo” tre ore: al rito sono stati tolti il momento dei brani a richiesta e quella tensione ad andare oltre i limiti di chi è sul palco e di chi ascolta, quando le varie città si sfidavano su quale concerto avesse stabilito il record di durata (il calcolo scattava dopo le quattro ore).

Qualcuno dei musicisti mostra i segni di interventi di chirurgia, Bruce non corre, non sfida l’età come fa Mick Jagger, non sale più i gradini del palco saltando ma fa quello che deve fare: il concerto di uno dei più grandi rocker della storia. La E Street Band continua ad essere una macchina da musica straordinaria. E in questa versione “Big Band” aumenta la sua potenza di fuoco, senza perdere la capacità di cogliere anche le minime sfumature. “Ghost of my Hometown” si arricchisce di tamburi e fiati da fanfara, “No Surrender” è un chiaro messaggio al pubblico e al mondo, con Steve Van Zandt che suona una chitarra con i colori della bandiera ucraina. Poi arrivano in sequenza “Darkness on the Edge of Town”, “Promise Land”, prima di una versione torrenziale e travolgente di “Kitty’s Back”. Da vero Boss, Bruce si è ripreso il ruolo di chitarra solista, con il suo stile aggressivo: Steven sul palco suona l’essenziale ma conferma di essere una delle seconde voci più importanti del rock. A Nils Lofgren, il chitarrista che umiliò un giovane Springsteen e la sua band al primo concerto della carriera a San Francisco, si abbandona a uno dei suo assoli da super virtuoso solo in “Because The Night”, che continua ad essere uno dei momenti più intensi del concerto.

“Nightshift”, pescato dal recente album di cover soul “Only The Strong Survive”, aveva fatto storcere la bocca a più di un fan: dal vivo il brano dei Commodores diventa una celebrazione della Black Music con i coristi a disegnare vocalizzi. “Mary’s Place” e l’amatissima “E Street Shuffle” precedono il primo momento di pausa, con l’acustica “Last Man Standing” dedicata al fondatore dei Castiles, la prima band di Bruce, George Theiss, morto nel 2018. “Siate buoni con voi stessi e con chi amate” dice Springsteen nella presentazione. Poi comincia una sequenza ininterrotta di classici, “She’s The One”, “Badlands”, aperta da uno dei più iconici fill di batteria di sempre, “Thunder Road”, con l’intera prima strofa cantata in coro dal pubblico, “Born In The Usa” dove Max Weinberg sprigiona tutto il suo virtuosismo da erede dei grandi batteristi da Big Band, “Born To Run”, “Bobby Jean”. Il concerto si avvia alla fine: in “Glory Days” rinasce la coppia da cabaret Springsteen-Van Zandt, “Dancin’ In The Dark”, “Tenth Avenue Freeze Out”, con le immagini di Clarence “Big Man” Clemmons e di Danny Federici, i due componenti storici che non ci sono più. Si chiude con Springsteen da solo con la chitarra a salutare i fan innamorati con “I’ll See You In My Dreams”.

Poco meno di tre ore con la E Street Band con i vecchi amici Roy Bittan piano e sintetizzatori, Nils Lofgren chitarra e voce, Garry Tallent basso, Stevie Van Zandt chitarra e voce, Max Weinberg batteria, Soozie Tyrell violino, chitarra e voce, Jake Clemons sassofono, Charlie Giordano tastiere cui si aggiungono l’ormai consueta sezioni di fiati e quattro coristi. Ad assistere al concerto una line up di star e rock star da Oscar: Sting, Nick Mason dei Pink Floyd, Nick Cave, Lars Ullrich dei Metallica, più Chris Rock, Isla Fisher, Woody Harrelson. Tra gli attori italiani Edoardo Leo, Luca Marinelli e Giuseppe Battiston. Nessuno può sfuggire alla magia di un concerto di Springsteen: il tempo passa anche per lui che ormai è un uomo ricchissimo (ha venduto il suo catalogo per 500 milioni di dollari), frequenta gli Obama e gli Spielberg e non è più l’eroe blue collar di un tempo: la voglia di essere ancora The Boss non l’ha persa perché in fondo anche lui sa che il mondo è pieno di gente che grazie a lui ha scelto di non arrendersi. Bruce Springsteen e la E Street Band torneranno in Italia il 25 luglio all’autodromo di Monza.

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La polemica non ferma lo show, il Boss live a Ferrara

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Il tam tam polemico sui social ha scandito la vigilia, segnata dalla furia del maltempo che ha messo in ginocchio la vicina Romagna, provocando vittime, evacuazioni, danni per miliardi. Ma alla fine Bruce Springsteen sale sul palco del Parco Urbano Giorgio Bassani di Ferrara, davanti a circa 50mila fan che hanno comprato il biglietto da mesi e che arrivano da tutta Europa per assistere alla prima delle tre date italiane del Boss con la sua E Street Band. Annullate il concerto, rinviatelo, è stato l’appello lanciato da tanti utenti, per le difficoltà logistiche ma anche in segno di solidarietà con il territorio martoriato dall’alluvione. Alcuni hanno scelto di rimettere in vendita il biglietto, rinunciando al concerto, altri in queste ultime ore hanno chiesto almeno un segnale di sostegno alle aree più colpite, come il lancio di una raccolta fondi per gli sfollati. Ma la complessa macchina organizzativa non si è fermata: l’area di Ferrara – ha spiegato lo storico promoter di Springsteen, Claudio Trotta di Barley Arts – non è zona rossa, i convogli messi a disposizione da Trenitalia sono stati confermati e tutto è andato avanti “nella massima sicurezza e nel massimo rispetto delle esigenze di tutti”.

Anche il sindaco della città, Alan Fabbri, ha precisato che il concerto, “vista l’enorme complessità”, non poteva “prevedere rinvii o annullamenti dopo aver coinvolto migliaia di lavoratori” e “migliaia di turisti provenienti da ogni parte del mondo, che hanno comprato un biglietto aereo, una stanza d’albergo per diversi giorni”. “Da ex sindaco di Bondeno che ha vissuto il terremoto del 2012 in prima linea, non ho mai chiesto che l’Italia o la Regione fermassero campionati, eventi e produzione di aziende per solidarietà nei nostri confronti. Primo perché non risolve nulla, se non creare altri danni economici a territori, lavoratori e imprese che hanno investito ingenti somme per la realizzazione dell’evento, secondo perché è un livello di demagogia che non mi appartiene”, ha aggiunto il primo cittadino, consapevole delle polemiche, sottolineando che la città ha adottato “il comune di #Faenza, uno dei più colpiti, per dimostrare fattivamente tutta la nostra solidarietà”, donando 10mila euro e attivando una raccolta fondi.

Con oltre cinque ore di ritardo, per permettere alla Commissione di vigilanza i controlli sulla fruibilità del parco, dopo le piogge dei giorni scorsi, i cancelli si sono così aperti intorno all’ora di pranzo per permettere l’afflusso dei fan. Tutto è filato liscio, anche grazie al tempo buono. A vigilare, oltre 900 addetti per la sicurezza, fra cui 200 delle forze dell’ordine tra Polizia, Guardia di Finanza e vigili urbani, 150 volontari della protezione civile e 62 operatori sanitari del 118, Ausl di Ferrara e Croce Rossa. L’attesa è tutta per il Boss: e non si esclude che sappia essere idealmente vicino alle persone in difficoltà, affrontando sul palco il tema dell’emergenza. La leggenda del rock mondiale e la E Street Band sono poi attesi il 21 maggio al Circo Massimo di Roma e il 25 luglio al Prato della Gerascia all’interno dell’Autodromo di Monza, appuntamento che chiuderà il tour europeo di Springsteen.

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Marrageddon, il festival rap a Milano e Napoli

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Con il cast non ancora annunciato, erano stati venduti già 50mila biglietti per la data di Milano di Armageddon, il festival rap ideato e diretto da Marracash, che dopo il debutto il 23 settembre all’Ippodromo Snai La Maura, raddoppia all’Ippodromo di Agnano a Napoli, il 30 settembre. E anche per la data partenopea – dice Fernando Salzano di Friends and Partners – sono già andati via 20mila biglietti, sempre senza un nome in cartellone che non fosse quello di Marracash. Non solo garanzia di un nome, quello del rapper della Barona, fresco del successo del suo tour 2022 e della vittoria al Tenco, ma indice della tenuta di un genere che sempre più sta valicando i confini, con consacrazioni come San Siro (Salmo) o l’Arena di Verona (ancora Marracash), e ora il primo festival, almeno da tanti anni a questa parte.

E a Milano ci saranno tutti i big, dagli storici Salmo e Fabri Fibra ai più giovani Shiva e Paky. A Napoli i protagonisti saranno invece Lazza, Geolier, Madame, Marra + Guè in Santeria. “Mi piaceva – dice Marracash – celebrare finalmente l’hip hop, che ha assunto un posto di rilievo nel panorama musicale italiano e farlo con un festival, che manca da tantissimo. Sarà una cosa immensa, con un palco mastodontico”. Il sogno sarebbe renderlo un appuntamento fisso: “questo è il primo episodio, speriamo – aggiunge l’autore di ‘Noi, loro, gli altri’ – che il travolgente successo lo renda annuale”. Per quanto riguarda il format del festival, “non sono io con degli ospiti, non sarà il Jova Beach – anticipa il direttore artistico della rassegna – ho chiesto ai miei ospiti set corposi e personalizzati, saranno delle performance con tutti gli attributi, differenti per ogni artista”. Oltre ai nomi già annunciati, se ne aggiungeranno altri: “oltre a Madame ci saranno anche altre donne, anche in questo la scena rap ha abbattuto una frontiera”.

Riguardo alle polemiche sulla resa dal vivo del genere, Marra replica che “è vero, il rap soffre in certi contesti, come con la gente seduta, ma è per questo che è importante fare delle performance curate. Spesso si fa l’errore di pensare che il rap dal vivo abbia bisogno di altro, io voglio dimostrare che non c’è bisogno di ibridarlo”. E per dimostrarlo ha chiamato a raccolta “Fabri e Guè, compagni di viaggio di una vita, un veterano come Salmo, promettenti come Shiva, Paky e Lazza, Madame che è tra le mie preferite. E’ una scena dove ci si conosce tutti e la mia idea era richiamare tutti quanti”. Nel festival, Marracash vorrebbe portare anche dei contenuti sociali: “Stiamo lavorando – spiega la sua manager Paola Zukar – per agganciare in modo coerente alcuni temi, come la salute mentale, di cui si è fatto portavoce”. Non è solo questo argomento a stargli a cuore: ieri il rapper era nella sede di Save the Children a Torino, con ragazzi appena arrivati in Italia: “È stato bellissimo, loro sono una forza per il paese, la seconda generazione è da non sottovalutare, è importante dare loro spazio, non reprimere ma farci i conti in maniera corretta e umana ed empatica. Anche l’hip hop di seconda generazione è molto interessante, perché esprime una rabbia di strada, reale, che nasce dall’essere ignorati, del tutto diversa da quella dei ragazzini italiani”.

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