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Morisi, Paganella, Foa e Company ovvero “la Bestia”: ora che Salvini lascerà il Viminale chi li pagherà?

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E ora la macchina propagandistica del leader della Lega chi la paga? “La Bestia” chi la alimenterà? Matteo Salvini ora che lascerà il Viminale dovrà porsi anche questo problema: trovare i soldi per pagate l’ufficio propaganda che lo ha proiettato nell’Olimpo social ed ha fatto le sue fortune politiche con la propaganda. La “Bestia” è una invenzione di Luca Morisi , capo della comunicazione digitale del “Capitano”. La Bestia è il team che orienta le parole d’ordine del leader seguendo gli impulsi del web e che inonda i suoi profili social con video, foto, dirette e dichiarazioni di cose che in quel dato momento la rete vuole. La gente vuole vedere i cani? E allora vedrete Salvini col cane della polizia. La parola d’ordine della rete è la Nutella? Salvini che mangia Nutella a sbafo. E cos via dicendo. La Bestia è stata capace di far vincere a mani basse (34% ) le Europee alla Lega.
Prima della nomina di Salvini agli Interni, Luca Morisi (nella foto con Salvini) e i suoi collaboratori venivano pagati dalla Lega con un contratto privato da 170 mila euro l’anno alla società Sistema Intranet srl. Dopo le Politiche del 4 marzo, “il Capitano” ha trasferito la Bestia al Viminale. Morisi e company somo al ministero dell’Interno: il loro stipendio, da quel che sappiamo, è a carico dello Stato.
Morisi è stato assunto come “consigliere strategico per la comunicazione” a 65 mila euro l’anno. Il  socio di Morisi, Andrea Paganella, è diventato il capo della segreteria del ministro e prende 85 mila euro. Con loro al Viminale c’è anche il figlio del presidente della Rai: Leonardo Foa , già nell’organico di Sistema Intranet dal settembre del 2017. Sono loro i tre registi della straordinaria macchina propagandistica che in due anni ha trasformato un modesto leaderino padano in un ministro dell’Interno e leader politico temutisismo.
Arrivata a Roma, a piazzale del Viminale, “la Bestia” ha dovuto fare assunzioni per curare i social. E così fanno parte della squadra  Fabio Visconti , Andrea Zanelli e Daniele Bertana  che assiemiamo a Foa guadagnano 41.600 euro l’anno. Paga sempre il Viminale. Cioè, per capirci, la comunicazione digitale di Salvini viene pagata dal ministero. Certo, ci sarebbe da obiettare che cosa abbia  di istituzionale quello che leggiamo sui profili social di Salvini. Ma non è detto che qualcuno non chieda conta di queste spese alla Corte dei Conti. E i conti sono semplici. Prima di arrivare al Viminale la “Bestia” costava 170 mila euro e li pagava la Lega. Ora che la Bestia si è trasferita a Roma e segue  Salvini ministro, la macchina propagandistica costa 316 mila euro l’anno, quasi il doppio, e li paga lo Stato.
Che cosa accadrà appena  “il Capitano” lascerà il Viminale? Trattandosi di incarico fiduciario (almeno così sembra e si spera), la Bestia trasloca con Salvini. Certo il bilancio leghista non concede grandi libertà di movimento: i famosi 49 milioni da restituire all’erario sono stati spalmati in 76 rate a interessi zero, ma pesano per 600 mila euro l’anno. L’ultimo esercizio (2018) si è chiuso con un disavanzo di 16,5 milioni.
Il problema, peraltro, non riguarda solo “la Bestia”: oltre a quelli impiegati nei social, ci sono molti altri professionisti portati da Salvini in Viminale e Palazzo Chigi (in qualità di vicepremier). C’ è soprattutto Matteo Pandini , capo ufficio stampa agli Interni (90 mila euro l’ anno) che dopo aver guidato l’ aggressiva comunicazione del leghista sui migranti, è entrato a tutti gli effetti nella squadra della comunicazione leghista, ma rischia di dover tornare al vecchio lavoro di giornalista a Libero.
Poi i vari consiglieri come Stefano Beltrame , ex console italiano a Shanghai, chiamato al Viminale per 95 mila euro, Gianandrea Gaiani (65 mila euro), esperto di Difesa e volto dei salotti televisivi, l’ex parlamentare leghista Luigi Carlo Maria Peruzzotti (41.600 euro) e il giovane Andrea Pasini (41.600 euro), blogger e imprenditore (i salumi dell’azienda di famiglia riforniscono il ristorante PaStation del figlio di Denis Verdini, il papà della fidanzata di Salvini).
A Palazzo Chigi invece Salvini ha messo a libro paga, tra gli altri, la sua storica portavoce Iva Garibaldi (120 mila euro), il sondaggista Alessandro Amadori (65 mila euro) e il consigliere Claudio D’ Amico (65 mila euro), l’uomo che si occupa degli affari russi, presente al famoso incontro del Metropol di Mosca con Salvini e Savoini.

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Cronache

Scioglimento dei Comuni per mafia: 401 casi dal 1991, la Campania tra le regioni più colpite

Il rapporto di Avviso Pubblico presentato a Napoli: il 96% dei provvedimenti concentrato in Calabria, Campania, Sicilia e Puglia. Elezioni e lavoro le leve del potere criminale.

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In Italia, dal 1991 al 19 aprile 2025, sono stati 401 i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. In media, uno al mese per oltre trent’anni. È quanto emerge dal nuovo rapporto di Avviso Pubblico, presentato oggi a Napoli, che traccia un quadro preciso e allarmante della penetrazione delle organizzazioni criminali nelle amministrazioni locali.

Quattro regioni nel mirino: il 96% degli scioglimenti

Il fenomeno si concentra quasi interamente in quattro regioni: Calabria, Campania, Sicilia e Puglia, dove si registra il 96% degli scioglimenti totali. La maggior parte dei Comuni colpiti ha meno di 20.000 abitanti: il 72% dei casi, a dimostrazione di come le mafie puntino alle realtà più piccole e vulnerabili per costruire consenso e controllo del territorio.

Campagne elettorali sotto scacco

In quasi tutte le relazioni analizzate, si evidenzia il coinvolgimento diretto dei clan nelle campagne elettorali. Le modalità sono molteplici:

  • Intimidazioni contro altri candidati

  • Liste sottoscritte da soggetti contigui alle mafie

  • Richieste di appoggio ai clan da parte di candidati stessi

  • Scambi di favori legati ad assunzioni e occasioni lavorative

L’obiettivo delle organizzazioni è chiaro: assicurarsi rapporti privilegiati con chi andrà ad amministrare, per ottenere vantaggi economici e controllo sociale.

La Campania: 124 scioglimenti, 6 solo negli ultimi due anni

La Campania è la seconda regione per numero di scioglimenti, con 124 Comuni commissariati dal 1991 a oggi. Solo nel 2025 sono già due i casi registrati: Poggiomarino e Caserta. Nel 2024 furono quattro:

  • Quindici e Monteforte Irpino (provincia di Avellino)

  • Calvi Risorta (Caserta)

  • Melito (Napoli)

Particolarmente significativo è il caso del Comune di Quindici, sciolto quattro volte per infiltrazioni camorristiche dal 1983 a oggi: un record che evidenzia la fragilità istituzionale e il radicamento del potere criminale.

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Cultura

Bocconi prima università italiana ad adottare l’AI di OpenAI: via alla trasformazione digitale

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Un assistente AI per studenti e professori, strumenti evoluti per la ricerca e la didattica, applicazioni intelligenti nel cuore delle scienze sociali. L’Università Bocconi di Milano è la prima università italiana ad adottare le soluzioni di intelligenza artificiale di OpenAI, avviando una trasformazione profonda nel modo di studiare, insegnare e fare ricerca.

L’annuncio arriva in seguito alla firma di un accordo strategico con OpenAI, la società statunitense leader globale nel settore. L’intesa prevede un accesso equo e sicuro alle tecnologie di AI più avanzate per tutti i membri della comunità Bocconi, composta da oltre 17.000 persone.

AI per la didattica e la formazione personalizzata

«Abbiamo già da tempo investito sull’intelligenza artificiale», spiega il rettore Francesco Billari (foto Imagoeconomica in evidenza). «Negli ultimi cinque anni abbiamo lanciato nuovi corsi e laboratori dedicati. L’alleanza con OpenAI ci consente ora di alzare l’asticella nell’applicazione quotidiana dell’AI a didattica e ricerca».

Tra le prime novità, l’introduzione di un AI Assistant per aiutare gli studenti nella raccolta di fonti, nella sintesi degli appunti, nella preparazione delle lezioni e nello studio individuale. Uno strumento pensato per rendere l’apprendimento più interattivo, autonomo e profondo.

Ricerca potenziata e agenti intelligenti

Sul fronte della ricerca, l’obiettivo è ambizioso: sviluppare e applicare sistemi AI agentici, capaci di raggiungere autonomamente obiettivi specifici, simulare comportamenti, condurre esperimenti, generare dati e costruire modelli teorici. Un vero salto di paradigma per le scienze economiche, giuridiche, manageriali e di policy.

Una delle frontiere più interessanti sarà la misurazione concettuale da dati non strutturati: testi, video e altri contenuti verranno analizzati per quantificare concetti astratti, come tratti psicologici, stili comunicativi o narrazioni collettive. «È una fusione tra dati qualitativi e quantitativi resa possibile dall’AI», precisa Billari. «Un’evoluzione che promette di accelerare radicalmente i tempi di analisi».

Un nuovo prorettore per la transizione digitale

Per guidare questa trasformazione, l’ateneo ha nominato il professor Dirk Hovy – esperto in linguaggio naturale e scienze computazionali – prorettore per la Trasformazione digitale e l’Intelligenza artificiale. Sarà lui a coordinare l’implementazione delle tecnologie in tutte le aree dell’università.

Bocconi tiene anche a chiarire che la proprietà intellettuale dei dati resta all’ateneo, a tutela del lavoro di studenti, ricercatori e docenti.

Una scelta strategica per l’internazionalizzazione

La partnership con OpenAI rappresenta un ulteriore tassello della strategia di crescita e internazionalizzazione dell’università: «Nel 2025 contiamo di chiudere con circa il 60% delle domande di iscrizione provenienti dall’estero», conclude il rettore Billari. «L’intelligenza artificiale rafforza il nostro ruolo come polo di innovazione accademica nelle scienze sociali a livello globale».

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Livio Macchia dei Camaleonti e il rock da giullari: ma ora invecchiare è un altro mestiere

L’intervista al Corriere della Sera del fondatore dei Camaleonti: aneddoti, Sanremo, Battisti, Lennon, e la musica che non è più quella di una volta.

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«Invecchiare non è facile, ma che bella avventura è stata». Parla così Livio Macchia, 83 anni, fondatore e anima dei Camaleonti, in una lunga e affettuosa intervista rilasciata al Corriere della Sera. Una chiacchierata a cuore aperto, che ripercorre 60 anni di carriera, tra concerti surreali sotto la neve, Sanremo dimenticati, successi da milioni di copie e ricordi indelebili di amici che non ci sono più.

Gli inizi tra scuola, rock e Teocoli

«Siamo partiti come tanti. Andavamo a scuola insieme, amavamo la musica. Poi abbiamo capito che potevamo farne una cosa seria», racconta Macchia. All’epoca c’erano Riki Maiocchi e Paolo De Ceglie, ma anche un giovane Teo Teocoli:

«Voleva cantare a tutti i costi. Per lui abbiamo adattato canzoni napoletane in chiave rock. Era un matto, un giullare, ma ha trovato la sua strada».

Il Clan Celentano, Battisti e Mogol

I Camaleonti orbitavano attorno al Clan Celentano:

«Adriano era divertente. Poi, come Battisti, è cambiato quando ha conosciuto la moglie».
Lucio Battisti, invece, era un amico di serate, cene e cinema, e regalò loro “Mamma mia”:
«È stato e sarà sempre il numero uno. Mogol cercava di cantare i testi per spiegarceli, ma non ci riusciva mai».

Sanremo, Eternità e i giudizi taglienti

Nel 1970 salirono sul palco di Sanremo con Ornella Vanoni:

«Simpatica e matta come una campana. Prima di entrare sul palco ci disse: “me la sto facendo addosso”».
In un’altra edizione, con i Dik Dik e Maurizio Mandelli, portarono “Come passa il tempo”:
«Baudo era convinto che avremmo vinto. Una giornalista stronza scrisse che facevamo “pop giurassico”. Ma non aveva capito nulla nemmeno lei».

Da “L’ora dell’amore” a St. Moritz con John Lennon

L’apice fu “L’ora dell’amore”, 2 milioni di copie vendute.

«Oggi con sei milioni di streaming ti compri un cartone di uova».
Ricorda concerti sotto la neve, richieste folli come quella del miliardario Niarchos che li voleva suonare a 4.000 metri a Capodanno, e perfino John Lennon:
«Ballava quei balli cretini in cui ti buttavi a terra all’improvviso».

I Camaleonti, una band di trasformisti

Il nome del gruppo nasceva dalla capacità di adattarsi:

«Suonavamo Villa, rock, soft, liscio. Eravamo ragazzi, non ce ne fregava niente e di nessuno».
Nel 1973 vinsero Un Disco per l’Estate con “Perché ti amo”, nonostante la casa discografica non credesse più in loro.
«Appena abbiamo vinto, si sono ricreduti e ci hanno pure pagato».

I ricordi: Maiocchi, De Ceglie, Cripezzi

Parla con affetto dei suoi compagni:
Riki Maiocchi: «Un pazzo scatenato, un ribelle. Una sera ci ha detto “esco un attimo” e l’abbiamo rivisto un anno dopo».
Paolo De Ceglie: «Un simpaticone, faceva scherzi. E amava le donne, ovviamente».
Tonino Cripezzi: «Rompipalle e spendaccione, ma un amico vero. È morto tre anni fa, mi manca tantissimo».

La musica di oggi? Vasco sì, Ligabue no

Il Festival di Sanremo di oggi?

«Non me ne faccia parlare. Si contano solo le visualizzazioni. E certi over 50 che cantano “Cuoricini cuoricini”? Ma vai allo Zecchino d’Oro».
Su Ligabue è tranchant:
«Fa canzoni tutte uguali. Mille volte meglio Vasco Rossi: non canta, ma parla, almeno è vero».

Invecchiare e restare sul palco

A 83 anni, Macchia non si nasconde:

«A questa età abbiamo meno futuro e più passato. Ma amo ancora stare sul palco, mi mancano le luci, la piazza, persino i selfie della gente, anche se sono una rottura di palle».
E sul suo destino non ha dubbi:
«Spero nel Paradiso. Sono stato troppo bravo, mi vogliono tutti bene. Abbiamo vissuto una vita meravigliosa».

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