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Politica

Migranti e riforma, lo scontro infinito con i giudici

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Un rapporto da sempre difficile, che dopo l’ultimo incontro a Palazzo Chigi sembrava aver avuto qualche chiarimento, ormai già annullato dalle nuove polemiche. Si riaccende lo scontro tra la magistratura e il governo Meloni, dopo la sentenza con cui la Cassazione ha accolto il ricorso dei migranti della nave Diciotti. Fin dal suo insediamento l’Esecutivo e le toghe hanno avuto un rapporto teso, cominciato con l’annuncio di provvedimenti osteggiati dalla magistratura come la cancellazione dell’abuso d’ufficio contenuto nel cosiddetto ddl Nordio, che è stato poi approvato dal Parlamento. In merito all’abrogazione della norma, l’Anm ha parlato di “ulteriore inceppamento della macchina delle giustizia”.

Anche le misure sulle limitazioni all’utilizzo delle intercettazioni hanno creato malumori ma il terreno principale di scontro resta la riforma della Giustizia, che prevede la separazione delle carriere dei magistrati, l’Alta Corte disciplinare, due Csm e il sorteggio per l’elezione dei suoi membri per evitare il correntismo. Per il governo si tratta della “madre delle riforme” mentre l’80% dei magistrati, questo è il numero degli aderenti allo sciopero dello scorso 27 febbraio, protesta paventando la “sottomissione del pm all’Esecutivo”, nel caso passi il provvedimento. Indagini e sentenze giudiziarie hanno poi gettato benzina sul fuoco del confronto tra i due poteri. Una delle prime polemiche scoppiò con il caso Apostolico, la giudice che non convalidò il trattenimento di quattro tunisini, disapplicando il decreto Cutro.

La premier Giorgia Meloni si disse “preoccupata” dalla “difesa corporativa” dei magistrati che avevano fatto quadrato intorno alla loro collega. Poche settimane dopo il ministro Crosetto sostenne che il governo può essere messo a rischio solo dall’ “opposizione giudiziaria”. Poi le inchieste come quella di Genova, che lo scorso anno portò agli arresti domiciliari del governatore Toti. “Ho riletto la fenomenologia dello spirito di Hegel e sono riuscito a capirla. Ho letto quest’ordinanza di arresto e non ho capito nulla”, commentò in proposito il Guardasigilli Nordio. Ad infiammare il dibattito è stato anche il processo Open Arms, che aveva visto poi assolto il ministro Salvini, sempre critico nei confronti delle toghe. Dopo la requisitoria con cui i magistrati avevano chiesto sei anni di condanna per il vicepremier, la premier scrisse: “trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo”.

Un clima incandescente si è creato anche con le sentenze che hanno bocciato il trattenimento dei migranti portati nel centro italiano in Albania. Silvia Albano, giudice della sezione immigrazione del tribunale di Roma, che per questi motivi ricevette minacce da ignoti, parlò di “campagna che nei fatti si è tradotta in un’intimidazione”, rimandando al mittente le critiche del vicepremier Salvini sulle toghe rosse. In questo clima un’altra miccia fu accesa dalla vicenda del sostituto procuratore della Cassazione Patarnello, il magistrato che inviò una mail nella piattaforma dell’Anm diventata un caso politico e rilanciata, in parte, dalla premier attraverso i social: “la situazione non era così neppure ai tempi di Berlusconi. L’azione di Meloni è anche molto più pericolosa”, scriveva Patarnello in un passaggio della sua mail.

È più recente il caso del rilascio del cittadino libico Almasri, che ha provocato la reazione della Corte penale internazionale, che ne chiedeva la cattura, fino all’invio di un’informazione di garanzia da parte del procuratore di Roma Lo Voi ai vertici di governo, tra cui la presidente del Consiglio, che sventolando il documento ricevuto in un video ha detto: “Sono indagata, ma non sono ricattabile”. Infine, nelle ultime settimane commentando la condanna in primo grado sulla vicenda Cospito e la rivelazione di segreto d’ufficio, il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, ha parlato di “sentenza politica” annunciando il prosieguo delle riforme “per consegnare ai nostri figli una giustizia diversa”.

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Politica

Mattarella: Resistenza non è feticcio ma responsabilità

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Le associazioni combattentistiche “sono l’anima perenne della memoria”: la loro opera è “preziosa” perchè voi trasmettete “il senso di quello che è avvenuto, la custodia della memoria senza farne un feticcio consegnato al solo ricordo, ma facendola vivere come consapevolezza civile, come educazione alla responsabilità. Un ponte ideale tra generazioni nell’attualità dei valori”. Sergio Mattarella chiude le celebrazioni per il 25 aprile con un ennesimo appello a non dimenticare quanto accaduto con la Resistenza e la Liberazione ma soprattutto con un invito a far si che questa data non diventi uno sterile appuntamento ma una spinta ad agire nel nome di quei valori. Ricevendo al Quirinale le associazioni combattentistiche e d’arma, il cui incontro era programmato per il 23 aprile, il presidente della Repubblica è tornato a sottolineare l’importanza della festa della Liberazione.

Infatti per il capo dello Stato il 25 aprile deve essere “un’eredità vissuta nel presente e trasformata in impegno per riflettere sull’attualità di quei valori, a cominciare dal rifiuto dell’indifferenza”. Ma non solo perchè, ha ricordato ancora Mattarella, la Liberazione sprigionò “energia morale” e fu “il frutto di un moto individuale delle coscienze che divenne espressione della dignità del nostro paese, del nostro popolo che non si lasciò sopraffare dalla barbarie”. La rievocazione del presidente con le associazioni combattenti è quindi giocata tutta sul valore degli ideali che portarono al 25 aprile, sulla necessità di non perdere la spinta propulsiva che generò. Infatti ha spiegato come “minacce in forme diverse che pretendono di porre in discussione i valori di democrazia, libertà e pace che furono alla base della Resistenza sono sempre presenti. Conflitti armati sempre più frequenti vicini ai confini dell’Europa.

Tensioni nei rapporti internazionali che con oblio della memoria rischiano di provocare crisi globali dalle conseguenze catastrofiche. Ecco perché – ha ripetuto – il 25 aprile non è mera occasione di formale omaggio”. Non poteva infine mancare un raccordo tra gli ideali di quei tempi e le prime visionarie idee sulla necessità di arrivare ad un Europa unita, unico vero baluardo contro i nazionalismi aggressivi di quell’epoca: “rendiamo onore ai protagonisti della Liberazione e della Resistenza che ci hanno condotto nella nuova Italia, libera, democratica e promotrice di quella che oggi è l’Unione europea, un’Italia protagonista della cooperazione internazionale”, ha concluso il presidente.

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Meloni, 650 milioni per la sicurezza e i salari crescono

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Di fronte alle morti sul lavoro “il cordoglio, ne siamo consapevoli, non basta”. Giorgia Meloni, in maniche di camicia, si affaccia via social dalle sale di Palazzo Chigi per annunciare un nuovo intervento per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Con un video diffuso proprio mentre i suoi ministri, compresa la titolare del Lavoro Marina Calderone, in conferenza stampa raccontano il Consiglio dei ministri appena finito, la premier prende la parola con un oramai consueto videomessaggio. E’ la vigilia del primo maggio e il governo, dopo i provvedimenti degli scorsi anni, vuole dare un segnale ma stavolta si limita alle dichiarazioni di intenti. Anche perché, prima di “agire”, ci sarà un confronto con le parti sociali. Serve una “un’alleanza tra istituzioni, sindacati, associazioni datoriali per mettere la sicurezza sul lavoro in cima alle priorità dell’Italia”, dice la presidente del Consiglio, usando quasi le stesse parole che pronuncia la nuova segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, unica a commentare accogliendo positivamente l’invito (via web) di Meloni.

La mattina dell’8 maggio ci sarà l’incontro per “raccogliere anche i suggerimenti” delle parti sociali “e rafforzare le misure che abbiamo previsto”. Sul tavolo ci potrebbe essere anche la proposta elaborata dalla commissione ad hoc del ministero della Giustizia, di riconoscere un “benefit penale” alle imprese virtuose. Era stata la stessa premier a preannunciare nuovi interventi ma non sono arrivati testi in Consiglio dei ministri. “Prima serve la concertazione”, dice anche Calderone proprio mentre scorrono i contenuti del video della premier, che annuncia ulteriori “650 milioni” che sono stati trovati “con l’Inail”, che portano la dote per la sicurezza sul lavoro a circa 1,2 miliardi. Risorse che potrebbero non bastare, tanto che si sarebbe alla ricerca di qualche centinaio di milioni in più, ma che intanto serviranno “per potenziare il sistema di incentivi e disincentivi per le imprese in base alla loro condotta in materia di sicurezza con particolare attenzione al mondo agricolo”, spiega Meloni, sottolineando l’importanza della “formazione dei lavoratori”.

Si renderà anche “strutturale” l’assicurazione Inail per studenti e docenti. Di fronte alle morti sul lavoro “non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione”, dice ancora la premier citando Sergio Mattarella. Meloni dà ragione al presidente della Repubblica, mettendo in fila quanto fatto fin qui dall’esecutivo, a partire dalla patente a punti che ora vale per l’edilizia ma, assicura Calderone, dovrebbe essere poi estesa “ad altri settori”. Le opposizioni, scettiche, puntano il dito soprattutto sul passaggio che Meloni fa sull’aumento dei salari. Quelli “reali crescono in controtendenza rispetto al passato” e c’è una dinamica che è “migliore non peggiore rispetto al resto d’Europa” dice la premier facendo un confronto tra “2013-2022” e quello che sta accadendo, da “ottobre 2023” quando la “tendenza” è cambiata”.

“Scopre l’acqua calda” perché ci sono stati dei rinnovi contrattuali ma con “i prezzi al consumo” saliti del “19,7%” tra “2021 e 2024” e un “aumento delle retribuzioni contrattuali dell’8,6%” il divario è “spaventoso”, fa i calcoli la responsabile Lavoro dei dem Cecilia Guerra. “La realtà è che le famiglie italiane non reggono l’aumento del costo della vita, come ha sottolineato il presidente Mattarella”, va all’attacco anche il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia mentre la segretaria, Elly Schlein accusa Meloni di raccontare “un paese che non c’è”. Basta “decreti spot” dicono i capigruppo di Camera e Senato del M5s Riccardo Ricciardi e Stefano Patuanelli, che stigmatizza l’ipotesi di “benefit penale”. Ci sono i dati Istat che mostrano stipendi ancora a “-8% sul 2021”, la incalza anche Giuseppe Conte, ricordando anche “il 9% dei lavoratori full time in povertà” rilevati da Eurostat. “Meloni – ironizza il leader M5s – è andata a vivere su Marte, forse con l’aiuto di Musk”.

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Economia

A 15 anni in azienda, l’opposizione insorge

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Alla vigilia del primo maggio e nelle ore in cui anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna a puntare il dito contro la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro, spunta una norma al decreto Pnrr-Scuola, ora all’esame della Commissione Cultura del Senato, in cui si anticipa l’alternanza scuola – lavoro al primo biennio degli istituti tecnici. “Cioè quando si hanno 15 anni e si è ancora in età di obbligo formativo”, spiega la senatrice del M5S Barbara Floridia, la prima a denunciare questa misura messa a punto dal governo.

Nel decreto, esattamente nell’allegato B del provvedimento, si dice testualmente che “nel primo biennio, oltre alle attività orientative collegate al mondo del lavoro e delle professioni, è possibile realizzare, a partire dalla seconda classe, i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”, cioè i Pcto che è l’acronimo usato per definire l’alternanza Scuola-Lavoro. Il che significa, insiste Floridia, che si potranno “spedire adolescenti sui luoghi di lavoro”, potenzialmente anche “in cantieri o ambienti ad alto rischio”, quando “dovrebbero essere protetti, formati, tutelati”. Significa, insomma che l’Esecutivo intende “mettere la logica dell’impresa prima di quella dell’ istruzione, della sicurezza e dei diritti”.

E nel dir questo, cita “tragedie” come quelle che “hanno colpito proprio studenti in alternanza come Giuseppe Lenoci e Lorenzo Parelli”. Anche i sindacati, nelle varie audizioni in Commissione, hanno espresso forti perplessità nei confronti del decreto e della misura che anticipa i tirocini a 15 anni. La più dura è stata la Flc Cgil secondo la quale in questo modo “si privilegiano i raccordi con il mondo del lavoro e i contesti produttivi, mentre le attività didattiche risultano culturalmente impoverite, subordinate e funzionalizzate alle istanze formative avanzate dal contesto socioeconomico di appartenenza”. Ma non basta. Oltre a considerare gli studenti “solo in termini di braccia per lavorare” e non di persone alle quali va trasmessa una cultura e una formazione di base, come afferma il senatore di Avs, Tino Magni, la norma “esprime tutta la visione classista del governo e in primis del ministro della Scuola Valditara”, sottolinea il già ministro del Lavoro Andrea Orlando. “Anticipare il momento della scelta alla fase in cui un ragazzino è molto giovane – osserva Orlando – significa schiacciarlo nella sua dimensione di provenienza, alla sua origine sociale”.

Con buona pace della discussione sulla riforma della scuola, continua l’esponente Dem, che puntava proprio “a posticipare la scelta per evitare automatismi sociali”, cioè che il figlio dell’operaio fosse costretto a fare per forza l’operaio. Dice no ad una “professionalizzazione precoce di ragazze e ragazzi” anche la capogruppo Pd in Commissione, Cecilia D’Elia, che chiede, come Floridia, il ritiro della norma, mentre invita a investire di più “sul capitale umano, cioè su cultura e scuola”. “A 15 anni, ancora in età da obbligo formativo – insiste Magni – si deve stare a scuola e non in fabbrica o nelle aziende”. Un “ritorno” alla “scuola di classe” dove “c’era chi poteva studiare, mentre gli altri erano braccia per lavorare”, non è accettabile. “In vista del primo maggio”, è l’appello del capogruppo M5S in Commissione, Luca Pirondini, “Meloni trovi il coraggio” e “chieda al suo ministro Valditara il ritiro immediato di questa norma indecente”, perché “la scuola non è un serbatoio di forza lavoro gratuita. È il luogo in cui si formano i cittadini”.

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