Collegati con noi

Politica

Meno tasse, proroga del Superbonus e lavoro: 22 miliardi per la manovra

Pubblicato

del

Un anticipo di taglio delle tasse, che potrebbe essere anche piuttosto sostanzioso, in attesa della delega fiscale che avra’ tempi piu’ lunghi. E poi proroga del Superbonus e degli incentivi 4.0 per le imprese e riforma degli ammortizzatori sociali per accompagnare la ripresa e riportare l’Italia non solo agli stessi livelli di Pil ma anche al pieno recupero dei posti di lavoro persi durante la pandemia. Sara’ tutta espansiva la prima manovra del governo Draghi, forte degli spazi di bilancio aperti da una crescita 2021 al 6% e potra’ contare su circa 22 miliardi di extradeficit e su un ‘tesoretto’ da 4,3 miliardi, frutto della lotta all’evasione, che sara’ iscritto nel Fondo speciale per il taglio delle tasse. Nessun accenno, per ora al dopo Quota 100 anche se il tema dello scalone da ammorbidire dovrebbe rientrare tra quelli per la manovra. Mentre non dovrebbe arrivare, almeno per il momento, il salario minimo, che non compare tra i ddl collegati.

Con il via libera alla Nota di aggiornamento al Def il governo disegna un nuovo quadro macroeconomico che lascia margini di azione insperati solo qualche mese fa: restrizioni anti-Covid via via ridotte, campagna vaccinale e robusta ripresa dell’attivita’ economica consegnano conti in ordine molto piu’ di quanto immaginato ad aprile, con il deficit che si ferma al 9,4% (dall’11,8% stimato) e ridotto di quasi 6 punti, sotto il livello del 2020, al 153,5% nel 2021 e che scendera’ sotto il 150% gia’ a partire dal prossimo anno, complice anche l’aumento dell’inflazione. Un nuovo scenario che consente di prendersi oltre un punto di Pil all’anno di extradeficit per i prossimi tre anni e rimandare al 2024 una nuova tornata di spending review che, insieme alla stabilizzazione dei ritmi di crescita, porti il debito gradualmente a livelli pre-pandemia nel 2030. Nel frattempo per il prossimo anno ci saranno circa 20-22 miliardi a disposizione per nuovi interventi, indicati nel documento e specificati dal ministro dell’Economia Daniele Franco: andranno gestiti ancora gli effetti della pandemia, sia finanziando l’acquisto di farmaci e vaccini contro il virus, sia sostenendo i settori in difficolta’ perche’ “non tutte le categorie, dal primo gennaio prossimo saranno uscite dalla fase che stiamo vivendo”.

Ci saranno poi “i fondi garanzia, gli incentivi per l’efficientamento energetico degli edifici, gli incentivi per investimenti innovativi”, tutte misure rivendicate dal M5S e dal ministro Stefano Patuanelli. E arriveranno anche, annuncia Mara Carfagna, i livelli essenziali di assistenza per alcuni servizi cruciali: “asili nido per il 33% dei bambini in ogni Comune; un assistente sociale ogni 6.500 abitanti; potenziamento del servizio di trasporto per gli studenti disabili”. Fin qui le misure su cui c’e’ sostanziale accordo in maggioranza. Anche se gia’ sul Superbonus potrebbero registrarsi le prime frizioni visto che non e’ escluso, come dice anche il ministro Enrico Giovannini, che ci potranno essere delle modifiche, “magari migliorandolo”.

E un duello si scatenera’ anche sulle tasse, che pure avranno a disposizione in partenza circa 6 miliardi, tra il tesoretto dalla tax compliance e i fondi gia’ a bilancio per la riforma del fisco e l’assegno unico che, conferma il governo con la Nadef, dal 2022 entrera’ a regime. Se ridurre prima l’Irpef per il ceto medio, l’Irap per le imprese o tagliare il cuneo si decidera’ ai tavoli della manovra, dove andra’ affrontato anche il nodo una eventuale revisione del Reddito di cittadinanza e del superamento di Quota 100. “Oggi e’ prematuro” parlare di pensioni, ha tagliato corto Mario Draghi che nel suo discorso al termine del Cdm ha piu’ volte sottolineato che le misure andranno selezionate in base al loro impatto sulla crescita.

Advertisement

Politica

Mattarella: Resistenza non è feticcio ma responsabilità

Pubblicato

del

Le associazioni combattentistiche “sono l’anima perenne della memoria”: la loro opera è “preziosa” perchè voi trasmettete “il senso di quello che è avvenuto, la custodia della memoria senza farne un feticcio consegnato al solo ricordo, ma facendola vivere come consapevolezza civile, come educazione alla responsabilità. Un ponte ideale tra generazioni nell’attualità dei valori”. Sergio Mattarella chiude le celebrazioni per il 25 aprile con un ennesimo appello a non dimenticare quanto accaduto con la Resistenza e la Liberazione ma soprattutto con un invito a far si che questa data non diventi uno sterile appuntamento ma una spinta ad agire nel nome di quei valori. Ricevendo al Quirinale le associazioni combattentistiche e d’arma, il cui incontro era programmato per il 23 aprile, il presidente della Repubblica è tornato a sottolineare l’importanza della festa della Liberazione.

Infatti per il capo dello Stato il 25 aprile deve essere “un’eredità vissuta nel presente e trasformata in impegno per riflettere sull’attualità di quei valori, a cominciare dal rifiuto dell’indifferenza”. Ma non solo perchè, ha ricordato ancora Mattarella, la Liberazione sprigionò “energia morale” e fu “il frutto di un moto individuale delle coscienze che divenne espressione della dignità del nostro paese, del nostro popolo che non si lasciò sopraffare dalla barbarie”. La rievocazione del presidente con le associazioni combattenti è quindi giocata tutta sul valore degli ideali che portarono al 25 aprile, sulla necessità di non perdere la spinta propulsiva che generò. Infatti ha spiegato come “minacce in forme diverse che pretendono di porre in discussione i valori di democrazia, libertà e pace che furono alla base della Resistenza sono sempre presenti. Conflitti armati sempre più frequenti vicini ai confini dell’Europa.

Tensioni nei rapporti internazionali che con oblio della memoria rischiano di provocare crisi globali dalle conseguenze catastrofiche. Ecco perché – ha ripetuto – il 25 aprile non è mera occasione di formale omaggio”. Non poteva infine mancare un raccordo tra gli ideali di quei tempi e le prime visionarie idee sulla necessità di arrivare ad un Europa unita, unico vero baluardo contro i nazionalismi aggressivi di quell’epoca: “rendiamo onore ai protagonisti della Liberazione e della Resistenza che ci hanno condotto nella nuova Italia, libera, democratica e promotrice di quella che oggi è l’Unione europea, un’Italia protagonista della cooperazione internazionale”, ha concluso il presidente.

Continua a leggere

In Evidenza

Meloni, 650 milioni per la sicurezza e i salari crescono

Pubblicato

del

Di fronte alle morti sul lavoro “il cordoglio, ne siamo consapevoli, non basta”. Giorgia Meloni, in maniche di camicia, si affaccia via social dalle sale di Palazzo Chigi per annunciare un nuovo intervento per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Con un video diffuso proprio mentre i suoi ministri, compresa la titolare del Lavoro Marina Calderone, in conferenza stampa raccontano il Consiglio dei ministri appena finito, la premier prende la parola con un oramai consueto videomessaggio. E’ la vigilia del primo maggio e il governo, dopo i provvedimenti degli scorsi anni, vuole dare un segnale ma stavolta si limita alle dichiarazioni di intenti. Anche perché, prima di “agire”, ci sarà un confronto con le parti sociali. Serve una “un’alleanza tra istituzioni, sindacati, associazioni datoriali per mettere la sicurezza sul lavoro in cima alle priorità dell’Italia”, dice la presidente del Consiglio, usando quasi le stesse parole che pronuncia la nuova segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, unica a commentare accogliendo positivamente l’invito (via web) di Meloni.

La mattina dell’8 maggio ci sarà l’incontro per “raccogliere anche i suggerimenti” delle parti sociali “e rafforzare le misure che abbiamo previsto”. Sul tavolo ci potrebbe essere anche la proposta elaborata dalla commissione ad hoc del ministero della Giustizia, di riconoscere un “benefit penale” alle imprese virtuose. Era stata la stessa premier a preannunciare nuovi interventi ma non sono arrivati testi in Consiglio dei ministri. “Prima serve la concertazione”, dice anche Calderone proprio mentre scorrono i contenuti del video della premier, che annuncia ulteriori “650 milioni” che sono stati trovati “con l’Inail”, che portano la dote per la sicurezza sul lavoro a circa 1,2 miliardi. Risorse che potrebbero non bastare, tanto che si sarebbe alla ricerca di qualche centinaio di milioni in più, ma che intanto serviranno “per potenziare il sistema di incentivi e disincentivi per le imprese in base alla loro condotta in materia di sicurezza con particolare attenzione al mondo agricolo”, spiega Meloni, sottolineando l’importanza della “formazione dei lavoratori”.

Si renderà anche “strutturale” l’assicurazione Inail per studenti e docenti. Di fronte alle morti sul lavoro “non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione”, dice ancora la premier citando Sergio Mattarella. Meloni dà ragione al presidente della Repubblica, mettendo in fila quanto fatto fin qui dall’esecutivo, a partire dalla patente a punti che ora vale per l’edilizia ma, assicura Calderone, dovrebbe essere poi estesa “ad altri settori”. Le opposizioni, scettiche, puntano il dito soprattutto sul passaggio che Meloni fa sull’aumento dei salari. Quelli “reali crescono in controtendenza rispetto al passato” e c’è una dinamica che è “migliore non peggiore rispetto al resto d’Europa” dice la premier facendo un confronto tra “2013-2022” e quello che sta accadendo, da “ottobre 2023” quando la “tendenza” è cambiata”.

“Scopre l’acqua calda” perché ci sono stati dei rinnovi contrattuali ma con “i prezzi al consumo” saliti del “19,7%” tra “2021 e 2024” e un “aumento delle retribuzioni contrattuali dell’8,6%” il divario è “spaventoso”, fa i calcoli la responsabile Lavoro dei dem Cecilia Guerra. “La realtà è che le famiglie italiane non reggono l’aumento del costo della vita, come ha sottolineato il presidente Mattarella”, va all’attacco anche il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia mentre la segretaria, Elly Schlein accusa Meloni di raccontare “un paese che non c’è”. Basta “decreti spot” dicono i capigruppo di Camera e Senato del M5s Riccardo Ricciardi e Stefano Patuanelli, che stigmatizza l’ipotesi di “benefit penale”. Ci sono i dati Istat che mostrano stipendi ancora a “-8% sul 2021”, la incalza anche Giuseppe Conte, ricordando anche “il 9% dei lavoratori full time in povertà” rilevati da Eurostat. “Meloni – ironizza il leader M5s – è andata a vivere su Marte, forse con l’aiuto di Musk”.

Continua a leggere

Economia

A 15 anni in azienda, l’opposizione insorge

Pubblicato

del

Alla vigilia del primo maggio e nelle ore in cui anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna a puntare il dito contro la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro, spunta una norma al decreto Pnrr-Scuola, ora all’esame della Commissione Cultura del Senato, in cui si anticipa l’alternanza scuola – lavoro al primo biennio degli istituti tecnici. “Cioè quando si hanno 15 anni e si è ancora in età di obbligo formativo”, spiega la senatrice del M5S Barbara Floridia, la prima a denunciare questa misura messa a punto dal governo.

Nel decreto, esattamente nell’allegato B del provvedimento, si dice testualmente che “nel primo biennio, oltre alle attività orientative collegate al mondo del lavoro e delle professioni, è possibile realizzare, a partire dalla seconda classe, i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”, cioè i Pcto che è l’acronimo usato per definire l’alternanza Scuola-Lavoro. Il che significa, insiste Floridia, che si potranno “spedire adolescenti sui luoghi di lavoro”, potenzialmente anche “in cantieri o ambienti ad alto rischio”, quando “dovrebbero essere protetti, formati, tutelati”. Significa, insomma che l’Esecutivo intende “mettere la logica dell’impresa prima di quella dell’ istruzione, della sicurezza e dei diritti”.

E nel dir questo, cita “tragedie” come quelle che “hanno colpito proprio studenti in alternanza come Giuseppe Lenoci e Lorenzo Parelli”. Anche i sindacati, nelle varie audizioni in Commissione, hanno espresso forti perplessità nei confronti del decreto e della misura che anticipa i tirocini a 15 anni. La più dura è stata la Flc Cgil secondo la quale in questo modo “si privilegiano i raccordi con il mondo del lavoro e i contesti produttivi, mentre le attività didattiche risultano culturalmente impoverite, subordinate e funzionalizzate alle istanze formative avanzate dal contesto socioeconomico di appartenenza”. Ma non basta. Oltre a considerare gli studenti “solo in termini di braccia per lavorare” e non di persone alle quali va trasmessa una cultura e una formazione di base, come afferma il senatore di Avs, Tino Magni, la norma “esprime tutta la visione classista del governo e in primis del ministro della Scuola Valditara”, sottolinea il già ministro del Lavoro Andrea Orlando. “Anticipare il momento della scelta alla fase in cui un ragazzino è molto giovane – osserva Orlando – significa schiacciarlo nella sua dimensione di provenienza, alla sua origine sociale”.

Con buona pace della discussione sulla riforma della scuola, continua l’esponente Dem, che puntava proprio “a posticipare la scelta per evitare automatismi sociali”, cioè che il figlio dell’operaio fosse costretto a fare per forza l’operaio. Dice no ad una “professionalizzazione precoce di ragazze e ragazzi” anche la capogruppo Pd in Commissione, Cecilia D’Elia, che chiede, come Floridia, il ritiro della norma, mentre invita a investire di più “sul capitale umano, cioè su cultura e scuola”. “A 15 anni, ancora in età da obbligo formativo – insiste Magni – si deve stare a scuola e non in fabbrica o nelle aziende”. Un “ritorno” alla “scuola di classe” dove “c’era chi poteva studiare, mentre gli altri erano braccia per lavorare”, non è accettabile. “In vista del primo maggio”, è l’appello del capogruppo M5S in Commissione, Luca Pirondini, “Meloni trovi il coraggio” e “chieda al suo ministro Valditara il ritiro immediato di questa norma indecente”, perché “la scuola non è un serbatoio di forza lavoro gratuita. È il luogo in cui si formano i cittadini”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto