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Cronache

Matteo Messina Denaro sempre più vicino all’arresto, preso uno dei suoi angeli custodi

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Per gli inquirenti Nicolò Clemente è«uomo di fiducia del boss latitante Matteo Messina Denaro». L’uomo è stato arrestato dalla Dia di Trapani che gli ha anche sequestrato beni per alcuni milioni di euro. Nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Palermo l’imprenditore edile è ritenuto responsabile di associazione a delinquere di stampo mafioso. Per questo motivo è stato anche emesso un provvedimento di sequestro preventivo delle società Calcestruzzi Castelvetrano s.r.l., avente ad oggetto il commercio di conglomerati cementizi, e Clemente Costruzioni s.r.l., impegnata nell’attività di movimento terra e costruzione generale di edifici, entrambe con sede in Castelvetrano e a lui riconducibili.

Il capo della mafia. Matteo Messina Denaro è l’ultimo dei boss ancora latitante inafferrabile

L’arresto di Clemente «si inserisce nell’ambito delle numerose iniziative investigative, sia preventive che giudiziarie, condotte dalla Direzione Investigativa antimafia per disarticolare la rete dei consociati mafiosi più vicini al latitante Messina Denaro, attraverso l’individuazione e l’eliminazione dal mercato delle imprese mafiose che costituiscono le principali fonti di approvvigionamento finanziario dell’organizzazione mafiosa castelvetranese».

Le attività d’indagine che hanno portato all’arresto di Clemente e al sequestro delle sue aziende, sono scaturite dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa e, in misura minore, da Giuseppe Grigoli, entrambi condannati in via definitiva quali appartenenti alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, che hanno indicato Clemente come una delle più attive espressioni imprenditoriali di quel sodalizio, «capace di infiltrare e condizionare il tessuto economico locale nei settori dell’edilizia pubblica e privata e nel commercio del conglomerato bituminoso, al fine di assicurare alla citata famiglia significative risorse finanziarie».

Matteo Messina Denato. Una foto del boss mafioso di 40 anni fa

Tratto caratteristico dell’operatività del mandamento mafioso di Castelvetrano è, infatti, «la presenza nel tessuto organizzativo della consorteria di mafiosi-imprenditori, che, all’evidenza sfruttando la forza di intimidazione promanante da un sodalizio resosi responsabile notoriamente di gravissimi fatti di sangue, hanno finito per soffocare ogni possibilità di libera esplicazione dell’iniziativa economica nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo», scrivono gli investigatori. La famiglia di Clemente «è da sempre parte dello zoccolo duro dell’associazione mafiosa attiva nella città di Castelvetrano.

Il fratello Giuseppe, associato di primissimo rango e facente parte della cerchia più ristretta e fidata degli amici di Messina Denaro, fu condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e per alcuni omicidi, commessi in concorso proprio con il citato latitante – ricorda la Dia in un corposo comunicato stampa – Pericoloso killer di cosa nostra trapanese, Clemente esercitò l’attività imprenditoriale insieme al fratello Nicolò. Dopo la condanna all’ergastolo, Giuseppe, afflitto da crisi depressive, si è suicidato in carcere nel 2008, proprio nel giorno del compleanno dell’amico Messina Denaro, scongiurando definitivamente il pericolo di poter cedere alla tentazione di collaborare con la giustizia, circostanza vissuta con grande timore dall’associazione mafiosa e dalla sua stessa famiglia».

«Le indagini hanno dimostrato che Nicolò Clemente, forte del suo rapporto diretto e privilegiato con Messina Denaro – dice la Dia – ha nel tempo sistematicamente partecipato, attraverso le due aziende oggi in sequestro, alla spartizione delle commesse nel settore delle costruzioni edili e del calcestruzzo, che avveniva all’interno di un circuito mafioso/imprenditoriale del quale facevano parte, oltre a Clemente gli imprenditori Giovanni Filardo, Giovanni Risalvato, lo stesso Lorenzo Cimarosa e Rosario Firenze (i primi tre condannati definitivamente per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e Firenze attualmente detenuto per il medesimo reato, con condanna di primo grado).

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Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Cronache

Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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