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Cronache

‘Mafiavirus’, clan pronti ad approfittare dell’emergenza

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Una situazione da “economica di guerra”, un tessuto fortemente provato dai mesi di lockdown prima, e di limitazioni poi, hanno favorito l’attivita’ delle mafie. Clan “pronti ad approofittare della situazione emergenziale” dovuta alla pandemia “grazie alla gigantesca disponibilita’ di denaro accumulato, al cospetto di un Paese che si va impoverendo ulteriormente”. Strategia che rappresenta “un vero e proprio attacco allo Stato”. E’ il quadro che emerge dalla Relazione sull’attivita’ delle mafie durante l’emergenza da Covid 19, svolta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali. Le mafie appaiono come “un attore presente sin dal principio dell’emergenza pandemica sullo scacchiere non solo nazionale ma anche europeo”, si afferma nel documento. Le organizzazioni criminali hanno “approfittato delle gravi difficolta’ economiche e sociali conseguite alla rapida diffusione del virus, avvenuta con modalita’ repentine e impreviste e comunque tali da cogliere del tutto impreparate strutture pubbliche, sanitarie, politiche e amministrative nonche’ cittadini e imprenditori in difficolta’ di fronte alle incertezze per il futuro e all’assenza di prospettive di miglioramento”. Il controllo del territori dei gruppi criminali in epoca di lockdown “e’ stato assicurato attraverso forme alternative di intervento, idonee a mantenere la visibilita’ del sodalizio, rafforzandone prestigio ed autorita’ anche in mancanza di presenza fisica. Per queste ragioni i clan si sono, da subito, offerti – e’ detto nella Relazione – per far fronte a tali disagi, approfittando della possibilita’ di dispensare con immediatezza la forte liquidita’ della quale hanno sempre disposto, in favore delle persone in difficolta’ e senza chiedere, almeno in un primo momento, una controo partita”. Una strategia applicata anche al gioco illegale. Nella Relazione, inoltre, si afferma che i clan agiscono “lungo due direttrici” con “una strategia conservativa volta a mantenere il controllo e rafforzare tanto la presenza nei settori economici gia’ abbondantemente infiltrati quanto il controllo sociale sui territori e i gruppi sociali con una strategia di attesa delle occasioni migliori per prendersi imprese ed esercizi commerciali in diffiocolta’”. Per le grandi organizzazioni il “riciclaggio di denaro rappresenta il principale canale di ingresso nell’economia legale in una fase emerogenziale”. La preoccupazione attuale “e’ legata alla inquietante corrispondenza fra bisogno di liquidita’ e disponibilita’ mafiosa: il rischio e’ che siano proprio questi capitali criminali a entrare nei mercati e a colmare il gap, con effetti catastrofici sull’intera economia nazionale ma anche, a livello globale, provocando vere e proprie crisi di sistema”. L’analisi effettuata dal Servizio centrale di investigazione sulla criminalita’ organizzata (Scico) della Guardia di finanza in merito alle strategie adottate dai clan in questa fase pandemica “conferma il forte interesse nel conseguimento delle indebite percezioni delle rilevanti e diversificate misure economiche di sostegno all’economia” ma anche l’interesse per “segmenti dell’approvvigionamento e dell’imporotazione di prodotti medicali falsificati, o comunque sprovvisti delle necesosarie certificazioni, di servizi e di prodotti connessi alla sanificazione”. In questo contesto appare evidente che “l’aggressione” dei clan “procede parallelamente dal punto di vista economico-finanziario e sociale, puntando a quegli asset che proprio in questa fase sono fondamentali per la ripresa del Paese: i suoi punti forti per la ricrescita, il sistema bancario e del credito, il patto sociale fra cittadini e istituzioni”. In conclusione la sfida che attende l’Italia nella lotta alla pandemia “sara’ ancora lunga e difficile” e “in maniera analoga e verosimilmente ancora piu’ duratura sara’ quella contro il ‘mafiavirus’ perche’ la longa manus mafiosa si muovera’ con sempre maggiore decisione proprio dalla fine della pandemia, quando cioe’ sara’ risolta l’emergenza sanitaria, ma rimarranno sul terreno i cocci di un tessuto socio-economico devastato”.

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Incidente nel Ragusano, conducente muore nel rogo dell’auto

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Un grave incidente stradale si è verificato nel pomeriggio nei pressi di Playa Grande, lungo la circonvallazione di Donnalucata, frazione di Scicli, nel Ragusano. Una delle due auto coinvolte ha preso fuoco e il conducente, rimasto incastrato tra le lamiere, è morto carbonizzato nonostante i tempestivi soccorsi. Sono intervenute due squadre dei vigili del fuoco, ambulanze del 118 e gli agenti della polizia municipale di Scicli. Le operazioni di messa in sicurezza e rilievi sono in corso.

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Cronache

Vigili del fuoco morti: salme recuperate dopo 50 ore

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“L’amministrazione comunale di Pennapiedimonte comunica che, dopo quasi 70 ore dall’avvio delle ricerche e a oltre 50 ore dall’individuazione dei corpi dei due vigili del del fuoco Nico Civitella ed Emanuele Capone, si sono appena concluse le operazioni di recupero delle loro salme che verranno ora trasferite all’obitorio dell’Ospedale Civile di Chieti”. A renderlo noto la sindaca Rosalina Di Giorgio in un post sulla pagina Facebook del Comune.

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Cronache

Vincenzo Nibali: «Ero un carusu dannificu. La bici mi ha salvato dalla strada»

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Messina, la Sicilia, la fatica, la gloria. Vincenzo Nibali si racconta al Corriere della Sera, tra ricordi di un’infanzia ribelle, il riscatto sulla bicicletta e la consapevolezza maturata solo dopo il ritiro. Un’intervista intensa, autentica, a cuore aperto.

Una giovinezza a rischio: «Compagni con la pistola nello zaino»

«Ero un carusu dannificu», dice Nibali, usando l’espressione siciliana per “bambino disastroso”. Uno che attirava guai: sassate alle vetrate, petardi nelle cassette postali, motorini lanciati contro i muri. Una giovinezza vissuta in un quartiere difficile di Messina, dove alcuni compagni portavano la pistola a scuola. Nessuna mafia organizzata, ma il pizzo sì: «Colpì anche la cartoleria dei miei genitori».

La salvezza arriva su due ruote: «Sempre in salita, come da Messina»

La svolta arriva con la bici, a 12 anni, grazie al padre e ai suoi amici cicloturisti. Le prime gare, l’ammiraglia della Cicli Molonia, il traghetto per Villa San Giovanni che diventava un passaggio simbolico verso il sogno. A 15 anni vince a Siena e non torna più: «Mai avuto nostalgia. I miei genitori mi dissero: se ti impongono cose sbagliate torna, qui avrai sempre un lavoro. Mi ha aiutato a non cedere al doping».

L’ascesa, la gloria, il peso della vittoria

Nibali è uno dei pochi ciclisti ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri. Il Tour de France del 2014 è stato l’apice, ma anche l’inizio di un incubo: «Non potevamo camminare con la carrozzina di nostra figlia senza essere assaliti. Solo adesso che ho smesso, vivo davvero». E confessa: «Mai provato e mai pensato di doparmi. Ma ho pagato il sospetto solo perché vincevo ed ero italiano».

La caduta che fa crescere: l’Olimpiade sfumata

Nel 2016 era lanciato verso l’oro olimpico, ma cadde in curva. «Scelsi io di rischiare, e sbagliai. Nessuna scusa». Parla anche del secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, “scippato” da un dopato, ma senza rancore: «Non mi chiedo mai quanto ho perso per colpa del doping».

Il ritorno da turista: «Messina è ‘u megghiu postu nto munnu’»

Oggi Nibali è ambasciatore del Giro e padre presente. Ha visitato la Sicilia con le figlie per farla conoscere da turista: «Antonello da Messina, i templi di Agrigento, i boschi dei Peloritani… È il posto più bello del mondo». Un campione che, a distanza di anni, può guardarsi indietro con orgoglio: «A testa alta, sempre».

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