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Lutto nell’atletica: morta a 30 anni la maratoneta etiope Shewarge Alene

Lutto nell’atletica mondiale: la maratoneta etiope Shewarge Alene è morta a 30 anni dopo un malore in allenamento. Dodici vittorie in carriera e il trionfo a Stoccolma nel 2025.

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La maratoneta etiope Shewarge Alene è morta a soli 30 anni dopo aver accusato un malore durante un allenamento. L’atleta è stata soccorsa e portata in ospedale, ma per lei non c’è stato nulla da fare.

La notizia è stata confermata dagli organizzatori della maratona di Stoccolma, che lo scorso maggio Alene aveva vinto, firmando una delle sue affermazioni più prestigiose.

Una carriera segnata da successi

Dal 2011 al 2025, Alene ha disputato 27 maratone professionistiche, collezionando 12 vittorie e imponendosi come una delle protagoniste della corsa di lunga distanza a livello internazionale.

Il successo a Stoccolma aveva rappresentato la consacrazione della sua carriera, ma già in passato aveva ottenuto diversi piazzamenti di rilievo nelle maratone europee e africane.

L’eredità sportiva

Il decesso improvviso di Shewarge Alene lascia sotto shock il mondo dell’atletica e i tanti appassionati che avevano seguito le sue imprese. La sua carriera, interrotta nel pieno della maturità agonistica, resta testimoniata dalle numerose vittorie e dall’impegno con cui aveva portato il nome dell’Etiopia nelle competizioni internazionali.

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Canottaggio, oro mondiale per il quattro di coppia azzurro a Shanghai: vittoria dedicata a Filippo Mondelli

L’Italia del quattro di coppia trionfa ai Mondiali di Shanghai, conquistando l’oro e dedicando la vittoria al compianto Filippo Mondelli. Rambaldi: “Il nostro pensiero va a lui e alla sua famiglia”.

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Un successo netto e dal sapore speciale. Il quattro di coppia azzurro ha conquistato la medaglia d’oro ai Mondiali di canottaggio di Shanghai 2025, riportando l’Italia al trionfo iridato a sette anni di distanza dall’ultimo successo.

La barca composta da Luca Rambaldi, Andrea Panizza, Giacomo Gentili e Luca Chiumento ha dominato dall’inizio alla fine, tagliando il traguardo con quasi due secondi di vantaggio sulla Gran Bretagna e oltre tre sulla Polonia.

Una vittoria nel segno di Filippo Mondelli

Il trionfo ha assunto un significato profondo: i tre azzurri veterani di Plovdiv 2018 hanno voluto dedicare l’oro all’amico e compagno Filippo Mondelli, scomparso nel 2021 a causa di un osteosarcoma.

«Non è più con noi Filippo: a lui apparteneva la bandiera che abbiamo mostrato in premiazione. Il nostro pensiero va a lui e alla sua famiglia», ha dichiarato emozionato Luca Rambaldi.

Una tradizione che continua

Con questa vittoria, gli azzurri confermano la straordinaria tradizione del quattro di coppia italiano: oro a Plovdiv 2018, bronzo a Linz 2019, bronzo a Racice 2022, argento a Belgrado 2023 e argento olimpico a Parigi 2024.

Per Chiumento, Rambaldi, Panizza e Gentili si tratta di un percorso di crescita e consolidamento, reso possibile dalla coesione e dall’esperienza maturata negli anni.

Gli altri risultati azzurri

Nella stessa giornata, il due senza femminile di Laura Meriano e Alice Codato ha chiuso la finale al quarto posto, dopo essere state in corsa per il podio fino ai 1000 metri. Un piazzamento che conferma il valore della coppia, già protagonista della stagione con un argento europeo a Plovdiv e un oro in Coppa del Mondo.

Domani sarà invece la volta di Giacomo Perini, impegnato nella finale del singolo Pararowing PR1, dove affronterà atleti di Germania, Gran Bretagna, Australia, Ucraina e Francia.

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Jannik Sinner domina a Pechino e conferma il suo nuovo volto da campione

Jannik Sinner batte Marin Cilic all’esordio a Pechino e conferma la sua crescita tecnica e mentale dopo la finale persa agli US Open. Ora lo attende Terence Atmane.

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Jannik Sinner continua a riscrivere la storia del tennis italiano. A 24 anni, dopo una stagione straordinaria con quattro finali Slam disputate, il campione altoatesino mostra un volto più maturo e aggressivo. A Pechino, nell’esordio del torneo, ha demolito Marin Cilic con un netto 6-2 6-2, confermando la sua impressionante serie: 60 vittorie consecutive sul cemento contro giocatori fuori dalla top 10.

Il nuovo approccio tattico è evidente: 77% di prime palle in campo, con il 75% di realizzazione e un’ottima resa in risposta sulla seconda (62%). È il frutto della promessa fatta dopo la sconfitta agli US Open contro Alcaraz: uscire dalla comfort zone, anche a costo di rischiare di più.

La calma dei forti

Sinner, al termine del match, ha raccontato le sue sensazioni: «Cerco sempre di mettere la massima concentrazione nei primi turni perché so che possono esserci imprevisti. Sono molto contento della prestazione, Marin è un giocatore tosto e strappargli subito il servizio è stato decisivo».

Dopo la pausa, il ritorno in campo è stato accompagnato da emozioni contrastanti: «Ero nervoso, i dubbi ci sono sempre. Ma ero anche felice, mi mancava la competizione. Più il match andava avanti, più mi scioglievo mentalmente e fisicamente».

Prossimo ostacolo: Atmane

Al secondo turno lo attende il francese Terence Atmane, mancino atipico, reduce dalle qualificazioni. Lo stesso che lo scorso agosto, a Cincinnati, regalò a Sinner una rara carta Pokémon per il compleanno. Atmane, con servizio potente e dritto incisivo, rappresenta una sfida diversa, che obbligherà l’azzurro a mischiare le carte tattiche.

Rivalità con Alcaraz e orizzonte Finals

Intanto, a Tokyo, Carlos Alcaraz ha vinto il suo esordio contro Baez nonostante una storta alla caviglia. La rivalità tra i due resta al centro del circuito: «Non credo che perdere il numero 1 mi tolga pressione. Sono contento di ciò che ho fatto nel 2025, ma anche i suoi titoli sono impressionanti: merita di essere lì», ha spiegato Sinner.

Sul futuro, occhi puntati sulle ATP Finals di Torino e sulla Coppa Davis a Bologna, con l’Italia campione in carica. «La Davis è una competizione diversa: giochi per il tuo Paese e la pressione è unica. Deciderò più avanti», ha dichiarato.

Il ranking va e viene, ma il nuovo Sinner ha già dimostrato che la sua forza non è più solo tecnica: è soprattutto mentale.

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Scott McTominay, dal sogno di Carrington al cuore di Napoli

La parabola di Scott McTominay: dai primi passi a Carrington con il Manchester United al presente con il Napoli, tra sacrifici, crescita e un amore ritrovato per il calcio.

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Novanta minuti: il tempo di una partita, il simbolo di una vita. È questa la distanza che unisce Lancaster, luogo di nascita di Scott McTominay, e Carrington, sede storica delle giovanili del Manchester United. Cresciuto tra la passione trasmessagli dai genitori e l’impatto folgorante con Old Trafford, McTominay aveva cinque anni quando decise che quella sarebbe stata la sua casa calcistica.

Il talento coltivato a Manchester

Sir Alex Ferguson intravide subito il legame speciale con il ragazzo di origini scozzesi, che ha imparato a farsi strada a colpi di sacrifici. Gli anni dell’adolescenza sono stati una marcia di crescita fisica e tecnica: in un anno e mezzo guadagnò quasi venti centimetri, trasformandosi da promessa incerta a centrocampista box-to-box pronto per lo United.

La consacrazione arrivò sotto José Mourinho, che lo difese e lo accompagnò nei primi mesi tra i grandi. A Hale Barns, nel cuore del “Footballer Belt” di Manchester, McTominay scelse la sua prima casa da professionista, simbolo di un futuro che sembrava scritto.

Sacrifici, musica e normalità

Nonostante il lusso, McTominay non ha mai amato i riflettori. I viaggi in auto con papà Frank, sempre con la radio accesa, hanno formato i suoi gusti musicali e la sua mentalità metodica. Appunti sugli allenamenti, studi dei movimenti, ossessione per il miglioramento: così Carrington è rimasta dentro di lui anche dopo la partenza dall’Inghilterra.

L’approdo a Napoli

Il legame con l’Italia è nato in un ristorante di Manchester, durante una cena che segnò il primo contatto con l’ambiente partenopeo. Da lì il passo verso Capodichino e la Serie A è stato breve. Oggi McTominay veste l’azzurro del Napoli, accolto da una città che lo ha già eletto a nuovo idolo, mentre a Manchester resta l’orgoglio di aver cresciuto un calciatore capace di lasciare il segno anche lontano da casa.

La parabola del ragazzo di Lancaster continua, con il cuore diviso tra Carrington e il Maradona Stadium, due luoghi distanti ma uniti dallo stesso filo: il calcio.

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