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L’Onu chiede aiuti urgenti per Gaza ma non la tregua

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Una risoluzione monca. Dopo giorni di rinvii, il Consiglio di sicurezza dell’Onu è riuscito – con l’astensione degli Stati Uniti e della Russia – a far passare un testo sulla guerra a Gaza. Che però ignora la richiesta di una tregua immediata. La risoluzione – la seconda approvata in oltre due mesi di guerra – chiede dunque misure “urgenti” per consentire “un accesso immediato, sicuro e senza ostacoli di aiuti umanitari” nella Striscia e per “creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità” in un non meglio precisato futuro. La precedente formulazione della bozza – limata ed emendata per giorni per convincere gli Usa a non porre un nuovo veto – chiedeva invece “l’urgente sospensione delle ostilità”, anche se non un cessate il fuoco vero e proprio sgradito a Israele e Washington. Non è chiaro cosa sia successo tra l’una e l’altra stesura.

Il voto previsto giovedì sera è saltato all’ultimo minuto con una nota di rammarico dell’ambasciatrice americana, Linda Thomas-Greenfield. Dopo aver “lavorato duro e diligentemente nel corso della scorsa settimana” con l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sulla risoluzione per Gaza, Washington era pronta “a sostenere la bozza così com’era scritta”, aveva dichiarato la diplomatica, senza però spiegare perché il voto fosse nuovamente slittato. Poche ore dopo indiscrezioni di stampa preannunciavano che nell’ultima bozza – che l’Afp aveva visionato – era sparito il passaggio sulla “tregua immediata”. Il testo approvato deplora inoltre “ogni atto di terrorismo” così come “gli attacchi contro i civili, ed esige la liberazione “senza condizioni” di tutti gli ostaggi. Ma – punto dolente della risoluzione che lascia delusi gli Usa – non menziona alcuna condanna esplicita e univoca dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. “Israele continua a ignorare le richieste di un cessate il fuoco umanitario. Il suo assedio è inumano”, ha detto, reagendo al voto, l’ambasciatore palestinese all’Onu Riyad Mansour.

“La risoluzione è un passo nella giusta direzione – ha aggiunto riferendosi agli aiuti umanitari – ma non c’è modo di fermare il genocidio senza un cessate il fuoco’, ha insistito, quando nella Striscia il bilancio delle vittime ha superato i 20.000 morti e mezzo milione di persone, secondo le Nazioni Unite, rischiano di morire di fame. “Il vero problema è che la modalità con cui Israele conduce questa offensiva sta creando ostacoli alla distribuzione di aiuti umanitari a Gaza. Un cessate il fuoco umanitario è l’unico modo per andare incontro ai disperati bisogni della popolazione di Gaza”, ha commentato anche il segretario generale Antonio Guterres. L’ambasciatore israeliano Gilad Erdan ha tuttavia messo subito in chiaro che la decisione del Consiglio “mantiene l’autorità della sicurezza israeliana di monitorare e ispezionare gli aiuti in ingresso a Gaza”.

“Giusta la decisione del Consiglio di sicurezza che l’Onu garantisca una razionalizzazione nel trasferimento degli aiuti e che arrivino a destinazione e non ad Hamas”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Eli Cohen che però ha avvertito: “Israele continuerà la guerra fino al rilascio di tutti i rapiti e all’eliminazione di Hamas nella Striscia”. Sembrano poi non fare passare avanti nemmeno i negoziati che Israele e Hamas stanno conducendo con la mediazione di Egitto e Qatar. Dopo il no del gruppo palestinese a una proposta di una settimana di tregua contro la liberazione di 40 ostaggi, funzionari israeliani avrebbero offerto due settimane di stop delle ostilità in cambio di decine di rapiti. Hamas continua a ripetere di non voler procedere ad alcun rilascio senza “la fine dell’aggressione” su Gaza, ma fonti riportate dalla tv Kan hanno riferito che la fazione islamica starebbe “riflettendo” a questa seconda proposta.

Nell’attesa Israele continua a colpire la Striscia. Secondo fonti dell’ospedale Yussef al-Najar di Rafah, tre persone – tra cui due minori – sono morte e altre sei sono rimaste ferite nell’esplosione di un’auto nella città al confine con l’Egitto. Testimoni sul posto hanno riferito che la macchina è stata colpita da un raid aereo in quella che sembra “un’esecuzione mirata”. Secondo un’analisi della Cnn e del New York Times, inoltre, l’Idf avrebbe colpito nelle scorse settimane anche almeno tre località verso le quali aveva ordinato ai civili palestinesi di evacuare per la loro “sicurezza”. Sempre la Cnn ha fatto sapere che in oltre due mesi di conflitto Israele avrebbe sganciato centinaia di bombe da 2.000 libbre (oltre 907 kg), molte delle quali in grado di uccidere o ferire persone a più di 300 metri di distanza.

Marc Garlasco, ex analista dell’intelligence della difesa statunitense ed ex investigatore dei crimini di guerra delle Nazioni Unite, ha affermato alla tv americana che l’intensità del primo mese di bombardamenti israeliani a Gaza “non si vedeva dai tempi del Vietnam”. Sul fronte nord, l’esercito israeliano ha annunciato la morte di un soldato di 19 anni, Amit Hod Ziv, ucciso da razzi lanciati dal Libano. Ma per evitare che il conflitto si allarghi ulteriormente, riporta ancora il Nyt, l’amministrazione Biden starebbe trattando con Israele, Libano e intermediari degli Hezbollah nel tentativo di ridurre le tensioni al confine.

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Maradona, nuove rivelazioni dal processo: «Luque vietò l’ingresso ai medici chiamati dalle figlie»

Il chirurgo che seguì Diego negli ultimi giorni avrebbe impedito le valutazioni cliniche dopo l’intervento alla testa.

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Durante il processo per la morte di Diego Armando Maradona, il dottor Fernando Villarejo, capo del reparto di terapia intensiva della clinica Olivos, ha rilasciato dichiarazioni importanti e potenzialmente decisive. Secondo il medico, Leopoldo Luque, il neurochirurgo a capo del team che seguì Maradona negli ultimi giorni, avrebbe impedito l’accessoad altri specialisti che volevano visitare l’ex campione dopo l’intervento alla testa del 3 novembre 2020.

Medici bloccati all’ingresso: «Chiamati dalle figlie»

Villarejo ha precisato che i medici esclusi erano stati convocati dalle figlie di Maradona, tra cui il dottor Mario Schitere una psichiatra. Il loro compito era valutare la possibilità di un trasferimento del paziente in una struttura di riabilitazione, data la complessità della sua condizione clinica.

«Luque ha vietato l’ingresso ai medici che dovevano valutare Maradona», ha dichiarato Villarejo in aula, definendo il divieto «strano e intempestivo».

Cartella clinica: «Pluripatologie di difficile controllo»

Nonostante il divieto, il dottor Villarejo è riuscito comunque a consultare la cartella clinica di Maradona, dalla quale ha tratto conclusioni preoccupanti: il paziente era ancora in condizioni critiche, affetto da patologie complesse e difficili da gestire.

«Era un paziente molto complesso», ha spiegato, «e necessitava di un monitoraggio costante e di interventi mirati, che forse non gli sono stati garantiti».

Un processo che riaccende i riflettori sulla gestione medica

Le parole di Villarejo si inseriscono in un processo delicato, che mira a chiarire eventuali responsabilità e negligenzenella gestione sanitaria del più grande calciatore argentino. Il comportamento di Luque e le decisioni prese nei giorni successivi all’intervento chirurgico saranno al centro dell’analisi dei giudici.

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La crociata di Ursula contro ‘i populisti filo-Putin’

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Lontano dalle suggestioni populiste, fermamente contro gli “estremisti di destra e di sinistra che non sono a favore della pace ma sono amici di Putin”, per usare le parole di Ursula Von der Leyen. E’ il Partito popolare europeo che si è ritrovato al Congresso di Valencia forte di una stagione di successi elettorali, a trazione sempre più tedesca, convinto di essere il motore propulsore di un’Europa che vuole rilanciarsi ed essere sempre più protagonista anche fuori dai confini dei 27. L’Europa disegnata dai popolari è un’entità politica capace di difendere i propri interessi nei confronti dell’alleato tradizionale, gli Usa, ma anche in grado di aprirsi nei confronti dei mercati emergenti, dalla Cina all’India, dall’Australia ai Paesi del Mercosur. Impegnata a voltare pagina sul fronte della difesa comune, della crescita e della lotta ai clandestini. L’asse formato da Ursula Von der Leyen, l’applauditissimo cancelliere in pectore Merz e il neo eletto presidente del partito, Manfred Weber tiene banco e dà la linea. “L’Europa è la nostra casa. E la nostra prima missione è proteggere il luogo che tutti chiamiamo casa”, ha sintetizzato Ursula Von der Leyen.

“Abbiamo vinto le ultime europee – ha detto Manfred Weber – grazie all’allargamento della famiglia del Ppe: non sono più conservatori o liberali ma stanno con noi. Il Ppe è il partito dell’Europa, dello stato di diritto. Viktor Orban se ne andrà in pensione e la nuova Ungheria sarà popolare”, ha aggiunto Weber tra gli applausi. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha concordato sulla necessità per l’Unione europea di “voltare pagina”, a partire dalla lotta contro l’eccesiva burocratizzazione legislativa. E soprattutto chiudendo quanto prima la stagione del Green Deal, lasciandosi alle spalle “quella visione di Timmermans e di Greta Thunberg che – ha osservato il leader azzurro – aveva creato una sorta di dea natura, una forma di panteismo che non teneva conto della presenza dell’uomo, facendo perdere decine se non centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Dalla pace in Ucraina, alla tensione con Trump sui dazi, dalla lotta contro l’immigrazione clandestina alla partita sulla crescita, il Ppe serra le file sulla responsabilità della leadership europea, consapevole che l’Unione, con i suoi valori e la sua storia, è destinata ad avere un ruolo centrale, in prima fila, nel mondo del futuro. L’Europa a guida popolare lancia poi un monito a Trump: “I mercati globali – ha ammonito Von der Leyen – sono scossi dall’imprevedibile politica tariffaria dell’amministrazione Usa. I loro dazi sul resto del mondo sono ai massimi da un secolo a questa parte. Le tariffe sono come le tasse. Fanno male sia ai consumatori che alle imprese. Non possiamo e non dobbiamo permettere che questo accada”.

Un partito popolare e una Commissione europea che oggi può incassare la discesa in campo di una sua nuova e fondamentale supporter, la Germania a guida Merz, il cui intervento è stato quello più applaudito nella sede della Fiera di Valencia. “Se altri Paesi mettono in discussione la legittimità della difesa dei confini e della sovranità – ha ammonito Merz – noi lotteremo ancora più forte a favore di questi valori”. Molto determinato anche sul dossier difesa: “Dobbiamo lavorare insieme come mai prima, con una sola voce, soprattutto sulla difesa: dobbiamo essere pragmatici nel nuovo progetto. Tutto deve avvenire nella cornice Nato ma dobbiamo essere capaci di difenderci meglio che nel passato”, ha concluso tra gli applausi.

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Tre morti in una sparatoria in Svezia, caccia al killer

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Una sparatoria davanti a un barbiere in pieno centro, tre morti a terra, l’aggressore in fuga. La città universitaria di Uppsala, in Svezia, è sotto shock. Alle 17:04 è scattato l’allarme con molte segnalazioni di spari uditi nel centro abitato a 70 km a nord di Stoccolma. Sul posto sono intervenuti i soccorritori e la polizia e, secondo diverse testimonianze, tre ambulanze si sono allontanate a sirene spiegate. Attorno alle 19:30 la polizia ha dichiarato che le vittime sono tre e di non averle ancora indentificate. “Si indaga per omicidio”, si legge sul sito internet della polizia. Un testimone ha detto al quotidiano Aftonbladet di aver visto un uomo su un monopattino elettrico pochi istanti prima della sparatoria: poi ha sentito gli spari e si è rifugiato in un locale nelle vicinanze.

“Stiamo lavorando a pieno ritmo e abbiamo molto lavoro da fare”, ha dichiarato il portavoce della polizia Magnus Jansson Klarin. Gli agenti confermano che sono giunte segnalazioni di un uomo con una maschera che si è allontanato dalla scena a bordo di un monopattino e che stanno cercando una o più persone. Una grossa area attorno alla scena del crimine è stata transennata mentre in serata era ancora in corso una maxi caccia all’uomo con l’ausilio di un elicottero, droni e diverse unità cinofile. Le ricerche sono ancora più complesse dalla vigilia di Valpurgis, una festività svedese particolarmente sentita nella città universitaria di Uppsala che annualmente si trasforma in un enorme festival studentesco.

Per le strade ci sono dunque più persone del solito ma per la polizia non sarebbero in pericolo: “In questo momento non riteniamo che ci sia un pericolo per il pubblico. Ci tengo a sottolinearlo visto che molte persone sono in giro per i festeggiamenti”, ha aggiunto Jansson Klarin, citato da Aftonbladet. “Questo è avvenuto mentre Uppsala stava iniziando i festeggiamenti di Valborg”, ha dichiarato il ministro della giustizia svedese, Gunnar Strömmer. “Ciò che è successo è estremamente grave. Il ministero di giustizia tiene uno stretto contatto con la polizia e segue con attenzione gli sviluppi” ha aggiunto Strömmer, citato dalla radio pubblica Sveriges Radio. Il quartiere dove è avvenuta la sparatoria è molto tranquillo, un misto di zona residenziale e negozi a poca distanza dalla stazione ferroviaria e non è nota per episodi violenti in passato.

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