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Strage del Ponte Morandi, gli ispettori: “Autostrade spendeva 23 mila euro annui per la sicurezza”

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Sulla strage del Ponte Morandi c’è una cosa che in tanti non riescono a digerire. Non è mai esistita una relazione circa la valutazione della sicurezza del viadotto Polcevera. La Commissione ispettiva istituita dal Ministero delle Infrastrutture l’aveva chiesta subito, appena insediatasi. Mai ricevuta. La richiesta era stata reiterata il 31 agosto, 17 giorni dopo la carneficina, e anche stavolta non c’è stata risposta da parte della società Concessionaria del tratto autostradale crollato. Perché questo comportamento? Semplice “questo documento non esiste” scrivono i commissari. Non solo. C’è di peggio. Soprattutto sul fronte delle risorse stanziate ed usate da Autostrade per la sicurezza del viadotto di cui si conosceva  lo stato di degrado della struttura. Secondo quanto riportato nella relazione consegnata al ministro Danilo Toninelli, per Ponte Morandi sarebbero stati spesi davvero pochi spiccioli a fronte di entrare milionarie per Autostrade. Dalla relazione della commissione ispettiva si legge: “Si riportano i costi dei lavori per interventi strutturali sull’intero viadotto Polcevera, di lunghezza pari a oltre 1 km, dal 1982 a oggi, sulla base dei dati forniti a questa commissione da Aspi”. Ebbene, si entra nei dettagli economici. Scrivono i commissari:”All’interno dell’importo totale dei lavori strutturali, pari a 24.610.500 euro, si nota che il 98 per cento dell’importo è stato speso prima del 1999 (anno della privatizzazione di Autostrade); dopo il 1999 è stato speso solo il 2 per cento di questo importo; l’investimento medio annuo è stato pari a 1,3 milioni di euro nel periodo 1982-1999″.

Il che equivale a dire che

“l’investimento medio annuo è stato invece pari a 23 mila euro circa nel periodo 1999-agosto 2018”. Per i commissari “emerge una irresponsabile minimizzazione dei necessari interventi da parte delle strutture tecniche di Aspi, perfino anche di manutenzione ordinaria. Da ciò una considerazione: non fare oggi semplice manutenzione ordinaria significa voler fare domani molta manutenzione straordinaria a costi certamente più alti”.

Che significa? Che si  la Concessionaria scaricava tutti i costi a carico dello Stato, come da Convenzione, e a carico degli automobilisti con i pedaggi.

“Ne discende, come logico corollario, una massimizzazione dei profitti utilizzando a proprio esclusivo tornaconto le clausole contrattuali” scrivono sempre i commissari nella relazione che il ministro metterà a disposizione della magistratura per i suoi approfondimenti.

Questi sono i lavori della Commissione ispettiva. A 40 e passa giorni dal crollo del Ponte Morandi e nonostante l’urgenza assicurata dal governo, il decreto Genova che dovrebbe portare alla nomina del Commissario straordinario, le coperture economiche ed all’assegnazione dei lavori per la ricostruzione.
“Con il Decreto Genova individuiamo il super commissario alla ricostruzione, che avrà tutti i poteri per iniziare a fare subito il nuovo ponte”, ha assicurato Di Maio, ricordando che “i tempi della concessione avrebbero ritardato la ricostruzione all’infinito” e che “Autostrade metterà i soldi, ma la ricostruzione dovrà farla un’azienda di Stato”.

Si dischiude ancora sul decreto Genova. Occorrono limature ai poteri del commissario straordinario,   uno stop ad Autostrade per la ricostruzione del viadotto dopo il crollo di ponte Morandi e impegni di spesa seri per la ricostruzione. Il decreto, comunque, dovrebbe essere in dirittura di arrivo.
“Non so a che punto sia il Decreto. Un giorno più o in meno non importa, conta quello che c’è dentro”, ha detto il commissario per l’emergenza e presidente della Regione Liguria Giovanni Toti oggi a Genova. “Stiamo aspettando il decreto da un tempo ormai imbarazzante. Prima o poi ci auguriamo che arrivi al Quirinale perché prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non è scontato e non è banale il passaggio dal Colle, che dovrà verificarne i contenuti ed esprimere il proprio parere. Ieri Mattarella ha detto che non si perderà neppure un minuto al Colle.Non posso che ribadire quello che ho detto al governo fin dalle prime ore: siamo laici, qualsiasi strada ci va bene purché non si ritardi un’ora”, ha aggiunto Toti.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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