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L’affare dei rifiuti al Sud, il partito degli inceneritori, la A2A e quello che succede a Brescia e Acerra che…

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“Scusi ma perché lei è contro gli inceneritori? Ce li hanno ovunque. A Brescia è al centro della città. E li si vive meglio. Non capisco davvero, la sua è una posizione ideologica”.
Chi mi scrive è un lettore perbene, educato, non il solito asino tifoso che non ha  manco il coraggio del suo nome e dietro profili fasulli emette latrati o ragli su Fb.
Posto che non si può esaurire un discorso serio come l’impiantistica industriale nel settore dei rifiuti con un articolo, vorrei solo sfatare un mito che è peggio delle false notizie: l’inceneritore di Brescia che fa bene e che nessuno lo contesta.
Sono stanco di ripetere che tutto quello che gira intorno a questo inceneritore di Brescia, che si trova al centro della città, “che crea lavoro, produce ricchezza, profuma l’aria della città, scalda l’acqua dei bresciani, è un giardino dove le famigliole bresciane portano i loro bambini a respirare aria buona la domenica” sono una sequela impressionante di idiozie e falsità messe in giro ad arte (a pagamento per la verità) per convincere chi non ci crede che gli inceneritori non producono scorie, fumi, diossine e agenti inquinanti. A me spiace scriverlo, spiace demolire certezze genuine di industrialisti a tutti i costi, ma gli inceneritori sono impianti industriali impattanti sul territorio dove insistono. Quindi devono stare, se proprio servono, lontano il più possibile da luoghi abitati.
L’inceneritore di Brescia fa male. Lo dicono studi della sanità pubblica lombarda che nessuno legge e nessuno diffonde. Lo dicono le rilevazioni dell’Arpal (Agenzia per la protezione dell’ambiente della Lombardia) che nessuno ha interesse a pubblicare ma che potete leggere sul sito web istituzionale. Lo dicono numerosi studi indipendenti che sono stati eseguiti a Brescia circa la salute dei bresciani che vivono a ridosso dell’inceneritore. A Brescia, per quanto possa andare di traverso a qualche professionista della menzogna a libro paga, ci si ammala di tumore più che nel resto d’Italia. E c’è una correlazione diretta tra i Pcb e le diossine, i veleni dell’industria chimica che hanno devastato il territorio, e l’aumento delle neoplasie.  E in questi dati ha un rilievo importante l’impatto dell’inceneritore. Queste cose non le dico io, sono dati che certifica il  “Rapporto Sentieri” dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Airtum, l’Associazione italiana registri tumori”. Parliamo di istituzioni scientifiche e sanitarie pubbliche che oltre a confermare l’eccesso di tumori nella popolazione di  Brescia rispetto al resto del nord Italia, smentiscono anche le autorità sanitarie locali bresciane che notoriamente risentono dell’influenza della politica e dell’industria locale.
La gente di Brescia lo vorrebbe fuori, lontano dalla città questo inceneritore. Ci sono battaglie epiche contro l’inceneritore di Brescia fatte da centinaia di persone che credono nella salute e nella salubrità dell’ambiente. Andate a Brescia. Andate a vedere questo inceneritore. Parlate con i bresciani. Poi, ma solo poi, potrete avere un giudizio più o meno consapevole. Dice: ma perché sui giornali non lo abbiamo mai letto tutto questo? E qui veniamo al dente che duole. E chi dovrebbe scriverlo tutto questo?  Anzi, su quale giornale di Brescia dovrebbero scriverlo?
A questo punto mi affido alle mie scarse doti diplomatiche e alla vostra intelligenza. Sapete di chi è l’inceneritore di Brescia? Intendo dire, sapete chi sono i proprietari? Non è il Comune di Brescia, non sono i bresciani. La società proprietaria è la A2A. È la Multiutility, quotata in Borsa, che aggrega tutte le più importanti utilities lombarde:  Milano e Brescia, con Como, Monza, Varese, Lecco e Sondrio.
Questa società per azioni del Nord fattura 6 miliardi di euro ogni anno, fa utili ante imposte per  500 milioni di euro circa ogni anno e al nord ha costruito quasi tutta l’impiantistica industriale sulla monnezza. Ora stanno sbarcando al Sud. Vogliono costruire inceneritori, termovalorizzatori anche al Sud. Basta un bel piano di un bel governo che finanzia il tutto, e si fanno. A proposito, l’inceneritore di Acerra, quello che tante polemiche ha suscitato, costruito con i soldi dei contribuenti campani, sapete di chi è, sapete chi lo gestisce? Sempre la A2A. La società per azioni che ha sede a Milano e gestisce la monnezza che bruciano ad Acerra.
Dice: ma perchè queste cose non le leggiamo da nessuna parte? E qui torniamo a quello che dicono Di Maio e Di Battista sui giornali, sul giornalismo e sulla libertà di stampa.
Ultimo, ma non per ultimo. Il fatto che Matteo Salvini, leader della Lega che in questi ultimi giorni parla solo di inceneritori e sostiene un sacco di luoghi comuni su impianti industriali dove “si gioca a golf, si portano i bambini a giocare dentro” ed altro, è una cosa che preoccupa molto più del fatto che  possa avere azioni della A2A.  Perchè non mi scandalizzano gli eventuali investimenti di Salvini sul futuro di un’azienda ma il fatto che possa spingere su una politica, quella dell’incenerimento dei rifiuti che è sbagliato. E poi, con tutti il rispetto, la Campania ospita il secondo inceneritore più grande d’Europa. Ad Acerra. E può bastare.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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