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Politica

La Tav si fa, Toninelli se ne va, il M5S forse non esploderà se…

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La Tav si farà. Con il voto contrario in Parlamento del M5S e con l’uscita di scena del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. Non perchè lo cacciano, non perchè sia l’agnello sacrificale del Movimento sull’altare di un’opera avversata e poi subita quando sono arrivati al Governo. No, Toninelli lascerà perchè non è stato un buon ministro (non sempre si è adatti al ruolo cui si viene chiamati) e perchè ora ha la scusante di andarsene lui. Potrà dire “me ne vado perchè sono in disaccordo con l’opera che si farà”. Meglio uscire così che messo alla porta in un rimpasto autunnale, quando questo esecutivo farà un tagliando e andrà avanti per quel che resta di quel contratto di Governo stipulato o deciderà di chiudere questa esperienza e restituire il cerino in mano al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Quanti oggi ironizzano sulla sconfitta del M5S, fingono di non sapere che la Tav si sarebbe fatta anche se l’intero gruppo parlamentare grillino si fosse steso a terra all’ingresso del cantiere di Chiomonte dove i lavori non si sono mai fermati. Perchè il Parlamento eletto, unica assemblea sovrana che può decidere sulla prosecuzione o sullo stop alla Tav, è nella stragrande maggioranza favorevole all’opera, ad una infrastruttura che a leggere i vari studi commissionati è “indispensabile” oppure “inutile”. Ovviamente l’utilità della Tav dipende da chi ha commissionato lo studio. Certo è un opera che costa miliardi di euro. Certo è un opera per la quale sono stati già spesi miliardi di euro. Certo è un opera che collegherà Torino-Lione facendoci risparmiare 2o minuti rispetto agli attuali tempi di percorrenza. Certo è difficile trovare la quadra. Che si faccia o che si blocchi, la Tav è un terreno di scontro. E farà molto male qualunque sarà la decisione. Dire però che Luigi Di Maio e company hanno ammainato una bandiera è un eccesso critico. Forse sono stati costretti ad una ritirata strategica. Quando le forze avversarie sono preponderanti, andare avanti a testa bassa e farsi impallinare significa non essere una forza politica ma semplicemente un gruppuscolo di kamikaze che si fanno uccidere per procurare un piccolo danno all’avversario. Una cosa è certa. La Tav è la fine della fanciullezza del M5S. È su questa decisione che si misurerà la capacità di tenuta e di riavvio di una politica del Movimento o il suo squagliamento.

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Europee, Meloni si candida: scrivete Giorgia sulla scheda, sono una del popolo

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“Ho deciso di scendere in campo per guidare le liste di fratelli d’italia in tutte le circoscrizioni elettorali, se sopravvivo”. Era la notizia che tutti aspettavano e Giorgia Meloni l’ha pronunciata dal palco di Fdi a Pescara.

“Chiedo agli italiani di scrivere il mio nome, ma il mio nome di battesimo” alle europee. “Sono fiera che la maggior parte dei cittadini che si rivolge a me mi chiami Giorgia. Io sono stata derisa per anni per le mie radici popolari, mi hanno chiamata pesciarola, borgatara…perché loro sono colti….Ma io sono fiera di essere una persona del popolo” ha detto la premier e leader di FdI Meloni. “Se volete dirmi che ancora credete in me scrivete sulla scheda Giorgia, perchè io sono e sarò sempre una di voi. Il potere non mi cambierà, il palazzo non mi isolerà. Io ho bisogno di sapere ancora una volta che ne vale la pena”.

“Io sarò sempre una persona a cui dare del tu, senza formalismi, senza distanza”, ha aggiunto. “Faccio quello che faccio solo ed esclusivamente per gli italiani. Non c’è altra ragione sostenibile per fare questa vita, ve lo garantisco”, ha detto la premier. “Mi interessa solo il giudizio dei cittadini, che rispetto e rispetterò sempre”, ha concluso.

“Quando noi diciamo ‘mai con la sinistra’ non stiamo utilizzando uno slogan buono da campagna elettorale ma da buttare il giorno dopo, parliamo di qualcosa che è nel nostro dna. Vale a Roma e vale a Bruxelles, non ci interessa stare con tutti o dove stanno tutti”. Così Giorgia Meloni dal palco di Fdi di Pescara.

“In queste settimane c’è chi sta confondendo i piani tra la maggioranza in parlamento europeo e la commissione” per “insinuare una sorta di nostra presunta disponibilità ad allearci con i socialisti”, ha premesso Meloni. “Non ci interessa stare con tutti, staremo solo dove le nostre idee si possono realizzare”, ha aggiunto.

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Fitto: dal 2020 sprecati 300 miliardi in bonus e superbonus

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“Cosa è stato fatto dal 2020 ad oggi con la sospensione del patto di stabilità?” che ha permesso di aumentare la spesa pubblica. Nel 2019 l’Italia ha speso 810 miliardi, nel 2022, fuori dal Patto di stabilità ne ha spesi 1.084 miliardi. “Sono circa 300 miliardi di euro in più. Dove sono andati? Cosa è stato fatto? Si sono fatti investimenti strutturali? Intelligenti? Che hanno cambiato la prospettiva del nostro Paese?. No sono andati tutti in bonus e superbonus che hanno aumentato il debito e che non hanno inciso in nessun modo sullo sviluppo e la crescita del Paese”. Lo ha detto il Ministro degli Affari Europei, del Sud, della Coesione e del Pnrr Raffaele Fitto alla Conferenza Programmatica di Fdi a Pescara.

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Unirai, anche oggi circo mediatico-politico-sindacale

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”Pochi giorni fa qualcuno si stracciava le vesti rilanciando le fake news sull’imminente addio alla Rai da parte di Ranucci e Sciarelli per essere clamorosamente smentito dopo meno 24 ore. A seguire la “bufera” sulla presunta censura a Scurati, smontata anche quella come emerge oggi su alcuni quotidiani di opposti orientamenti. Poi la democrazia in pericolo e l’allarme fascismo, liquidato ieri con poche parole dal portavoce Ue Christian Wigand”.

Lo afferma in una nota il sindacato Unirai, liberi giornalisti Rai. ”Nel menù di oggi dell’ormai ben noto e sempre meno credibile circo mediatico-politico-sindacale spunta il premio di risultato per i giornalisti Rai cancellato e il martire sindacalista e dirigente reo di aver fatto solo delle ironie via social, il tutto condito da una spruzzata di dichiarazioni nel tentativo ridicolo di delegittimare una nuova voce libera presente dentro la Rai. Avviso ai naviganti: Unirai ha tutte le carte in regola per far sentire la sua voce e il suo peso. È stato riconosciuto dall’azienda – ripetiamo – come sindacato significativamente rappresentativo a livello nazionale dei giornalisti Rai. Leggere, studiare, documentarsi. Fare un respiro profondo.

Accettare la realtà. Si fa anche una figura più dignitosa. Per quanto riguarda il premio di risultato l’azienda ha disdetto un accordo siglato nel 1993 con l’intento di sostituirlo con strumenti più vantaggiosi, come già fatto per tutti gli altri dipendenti, sul piano della tassazione. Come abbiamo già detto – concludono – vigileremo perché nessuno sia penalizzato dal nuovo accordo, ma certamente non ci metteremo su questo a fare terrorismo. Sulla questione relativa all’utilizzo dei social, e al rispetto che bisogna avere tra colleghi, infine invitiamo alla lettura della legge sulla professione, del codice etico e del regolamento di disciplina aziendale”.

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