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Cronache

La Procura di Patti chiede di archiviare: Gioele ucciso dalla madre dj che poi si è suicidata

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Viviana Parisi avrebbe ucciso il figlio Gioele Mondello e poi si sarebbe suicidata. E’ la tesi che la Procura di Patti, a conclusione delle indagini, ritiene “piu’ probabile e fondata” per la morte della Dj torinese di 43 anni e del bambino di quattro, i cui corpi sono stati trovati nell’agosto del 2020 nelle campagne di Caronia, nel Messinese. La magistratura non esclude altre ipotesi legate a un “evento accidentale”, ma le ritiene “residuali”. Per il procuratore Angelo Cavallo l’inchiesta, che si avvia a concludere con la richiesta di archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti, ha portato pero’ a una lettura univoca e certa: “Viviana, senza ombra di dubbio si e’ volontariamente lanciata dal traliccio dell’alta tensione, con chiaro ed innegabile intento suicidario”. Una ricostruzione contestata dalla famiglia Mondello, tramite il criminologo Salvatore Lavorino, che “critica profondamente il lavoro degli inquirenti e dei loro consulenti” ed “esclude categoricamente l’ipotesi ‘omicidio-suicidio'”. “Madre e figlio – e’ l’ipotesi del criminologo – sono precipitati in un invaso profondo circa 5 metri con acqua sul fondo e li’ hanno trovato la morte. Una combinazione criminale, dopo qualche ora, ha estratto i corpi e li ha traslati, la madre sotto il traliccio, sperando che gli inquirenti cadessero nella trappola”. Per il procuratore Cavallo l’autopsia ha escluso, tra l’altro, il decesso per avvelenamento o per asfissia da annegamento e il cadavere di Viviana non e’ stato spostato e non c’e’ stato l’intervento di terze persone. Il magistrato fornisce un movente alla tragedia che, secondo quanto emerso “da indagini a 360 gradi”, e’ da collegare “al precario stato di salute mentale” della donna che, scrive in un comunicato, “purtroppo non e’ stato compreso fino in fondo, in primo luogo dai suoi familiari piu’ stretti”. Un disagio che, ricorda il Pm, aveva portato il 18 marzo del 2020 la donna in ospedale con richiesta di assistenza sanitaria obbligatoria in paziente con “riferita agitazione psicomotoria e con delirio mistico e di persecuzione” e ricondotta il 28 giugno successivo per “riferita ingestione volontaria di farmaci”. Viviana avrebbe avuto “manie di persecuzioni e timori vari, come quelli di essere controllata da sconosciuti, anche attraverso la televisione e il cellulare, e di essere pedinata da auto di grossa cilindrata”. Ci sarebbe il suo stato di salute, per la Procura, dietro alla sua ‘fuga’ nelle campagne il 3 agosto del 2020 dopo che con l’auto che guidava ha avuto un incidente con un furgone sull’autostrada Messina-Palermo vicino alla galleria Pizzo Turda. “Viviana – ricostruisce la Procura – esce dalla vettura, recupera Gioele e si allontana volontariamente, nascondendosi tra la fitta vegetazione e non risponde ai richiami delle persone che la cercavano”.

Giallo di Caronia. Nella foto Daniele Mondello, Viviana Parisi ed il piccolo Gioele prima della tragedia

Perche’ non si fa aiutare? Per la Procura la risposta e’ nelle paure della donna che vuole “scappare da inesistenti aggressori o che temeva il marito potesse toglierle la potesta’ genitoriale”. Divergenze di vedute con il coniuge emergono in alcune registrazioni fatte di nascosto da Daniele Mondello, agli atti dell’inchiesta, in cui Viviana gli chiede “chi deve morire qua? Deve morire qualcuno”. Il marito le manda messaggi sul cellulare scrivendo ” prendi le pillole se ami tuo figlio” e “curati!”. Secondo le perizie medico-legali disposte dalla Procura di Patti, Gioiele sarebbe morto lo stesso giorno della scomparsa. Ma cosa e’ accaduto a madre e figlio? Per il Pm sono “due gli scenari plausibili, in sintonia con quanto sostenuto in sede di autopsia psicologica”. Secondo la prima, Viviana, una volta rifugiatasi nel bosco di Pizzo Turda, ha visto che Gioele era morto e, “in preda a un’insopportabile angoscia, si e’ tolta la vita”. Il Pm “non esclude a priori che Gioele, durante il suo vagare per le campagne assieme alla madre abbia subito un incidente di tipo traumatico che abbia comportato una possibile lesione ad un organo interno da determinarne, poco tempo dopo, il decesso”, ne’ che il bambino “possa aver subito un arresto cardio-circolatorio semplicemente dovuto a affaticamento eccessivo, stress emotivo, colpo di calore, sete”. Ma lo scenario maggiormente credibile, per la Procura di Patti, e’ che la donna “ha commesso un figlicidio di tipo psicotico o altruistico, ponendo fine alla stessa alla vita del figlio mediante strangolamento o soffocamento”. Per il Pm e’ “sintomatico il fatto che l’unico materiale rinvenuto sotto le unghie delle mani di Viviana sia stato il profilo genetico di Gioele”. Per questo ha chiesto al Gip di archiviare l’inchiesta e ha emesso il nulla osta al seppellimento dei due corpi.

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Cronache

Omicidio di Santo Romano: rabbia, dolore e minacce dei familiari della vittima

Omicidio di Santo Romano: il minorenne condannato a 18 anni e 8 mesi. Rabbia dei familiari, ma la legge non consente pene più elevate. Accertata la piena responsabilità.

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Diciotto anni e otto mesi di reclusione: è la condanna inflitta dal Tribunale per i Minorenni di Napoli al 17enne accusato dell’omicidio di Santo Romano, avvenuto nella notte tra l’1 e il 2 novembre 2024 a San Sebastiano al Vesuvio.

Una sentenza che ha suscitato fortissime reazioni da parte della famiglia e degli amici della vittima. Il fratello di Santo, Tony, in evidente stato di agitazione emotiva, ha urlato contro l’imputato e i suoi familiari:
«Ti uccido, ti spezzo a te e la famiglia tua… hai la data di morte segnata… ti devo decapitare», tra tensioni sia in aula che all’esterno del Tribunale.

La madre di Santo, Filomena De Mare, ha duramente contestato la decisione:
«Diciotto anni e otto mesi per un ragazzo con tantissimi precedenti e altri processi alle spalle. Mio figlio ha perso tutta la vita: è una vergogna, il pm e il giudice sono una vergogna».

Anche Simona, la fidanzata di Santo, ha espresso la sua amarezza:
«Vergognoso. Cosa ho insegnato a mio figlio venendo qui? Pensavo che chi sbaglia paga, invece no. Se lasciamo fuori individui del genere, il danno continuerà. Noi non abbandoniamo la nostra battaglia».
Mariarca, zia della vittima, ha aggiunto:
«Siamo in una guerra: non sotto le bombe, ma davanti a pistole e coltelli».

La precisazione sulla pena inflitta: è il massimo previsto dalla legge

Va ribadito con fermezza che il Tribunale ha applicato la massima pena consentita dalle norme vigenti.

In Italia, l’ergastolo non è previsto per i minorenni. La pena massima per l’omicidio è di 24 anni, ridotta obbligatoriamente di un terzo per effetto del rito abbreviato scelto dall’imputato (che vincola il giudice), arrivando a 16 anni. A questi sono stati aggiunti 2 anni e 8 mesi per il reato di tentato omicidio, un aumento particolarmente elevato. Il totale di 18 anni e 8 mesi rappresenta il massimo della pena applicabile.

Qualsiasi accusa di “pena troppo bassa” o “ingiustizia” non corrisponde alla realtà giuridica, e rischia di fomentare un sentimento di odio verso la magistratura che ha semplicemente rispettato e applicato la legge.

Le parole degli avvocati: giusta la condanna, accertata la verità

Massimo De Marco, avvocato della famiglia di Santo Romano insieme a Marco De Scisciolo, ha commentato:
«È un omicidio senza alcun senso. È stata accertata, senza ombra di dubbio, la responsabilità dell’imputato. Purtroppo la legislazione minorile prevede pene contenute. Però c’è soddisfazione perché l’impianto accusatorio è stato confermato pienamente e sono stati riconosciuti i futili motivi. Leggeremo le motivazioni, ma è stata una sentenza giusta e importante».

De Marco ha sottolineato:
«Qualsiasi pena non sarebbe mai un vero risarcimento per la perdita di una vita umana».

La Procura aveva chiesto 17 anni di reclusione: la condanna a 18 anni e 8 mesi supera dunque anche la richiesta del pubblico ministero. Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro 70 giorni.

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Omicidio Santo Romano, 18 anni e 6 mesi al minorenne: applicata la pena massima prevista dalla legge

Omicidio di Santo Romano: il minorenne condannato a 18 anni e 6 mesi. Applicata la massima pena prevista dalla legge per un imputato minorenne. Chiarimenti sulla sentenza.

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Diciotto anni e sei mesi di reclusione. È questa la condanna inflitta in primo grado al ragazzo di 17 anni del quartiere napoletano di Barra, accusato dell’omicidio di Santo Romano (foto in evidenza), giovane promessa del calcio ucciso con un colpo di pistola nella notte tra il 1° e il 2 novembre 2024 a San Sebastiano al Vesuvio, al culmine di un alterco nato per una sneaker sporcata. Il processo si è svolto con rito abbreviato davanti al Tribunale per i Minorenni di Napoli.

Il giovane imputato era reo confesso. I filmati della videosorveglianza avevano immortalato la dinamica dei fatti: l’avvicinamento di Romano all’auto, una Smart intestata al padre del minorenne, un primo allontanamento e poi il ritorno, probabilmente per chiarire la situazione prima della tragedia.

Durante il procedimento, la difesa aveva chiesto una perizia psichiatrica per il ragazzo, ma la Corte ha respinto l’istanza.

Applicato il massimo della pena possibile per un minorenne

Va chiarito con precisione che il giudice ha applicato il massimo della pena prevista dall’ordinamento italiano per un imputato minorenne. Secondo la legge, l’ergastolo non è applicabile ai minorenni.

Per un omicidio consumato, la pena massima prevista è di 24 anni, ridotta obbligatoriamente di un terzo (come stabilito dal Codice di Procedura Penale) per effetto della scelta del rito abbreviato: si arriva così a 16 anni.

A questi, il giudice ha aggiunto altri 2 anni e 6 mesi per il reato di tentato omicidio collegato, applicando un aumento particolarmente significativo rispetto alla prassi.

Il risultato finale, 18 anni e 6 mesi di reclusione, rappresenta dunque la pena massima possibile secondo la legge vigente.

Contestazioni e reazioni

All’esterno del Tribunale, numerosi ragazzi con magliette e striscioni chiedevano “Giustizia per Santo”, insieme alla madre Mena De Mare e alla fidanzata Simona. Alla lettura della sentenza sono esplose le contestazioni dei familiari e degli amici della vittima, con grida di «Vergogna» e «Fate schifo».

Tuttavia, è importante sottolineare che ogni commento che denuncia la sentenza come troppo lieve o addirittura che invoca l’ergastolo per il minorenne si basa su errate interpretazioni della legge o, peggio, su strumentalizzazioni che rischiano di fomentare l’odio verso la magistratura, la quale ha semplicemente applicato correttamente la normativa vigente. E allora: vogliamo pene più severe per gli assassini? Servono norme approvate dal Parlamento (i giudici applicano le leggi, per fortuna non le fanno loro) che inaspriscono le pene per gli assassini.

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David Knezevich morto in carcere: era accusato dell’omicidio di Ana Maria Henao

David Knezevich, accusato della sparizione della ex moglie Ana Maria Henao, si è tolto la vita nel carcere di Miami. Resta il mistero sul corpo della donna scomparsa.

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David Knezevich, 37 anni, accusato del sequestro e dell’omicidio della ex moglie Ana Maria Henao, è stato trovato morto nella sua cella a Miami, in Florida. A confermare il decesso, avvenuto per suicidio secondo i media americani, è stato il suo avvocato. Knezevich era detenuto in attesa di giudizio, dopo essere stato arrestato a maggio 2024 per il presunto coinvolgimento nella misteriosa sparizione della milionaria, avvenuta a Madrid.

Il giallo internazionale e le ricerche nel Vicentino

La vicenda aveva assunto da subito i contorni di un intrigo internazionale, coinvolgendo Stati Uniti, Spagna, Serbia e Italia. L’Fbi aveva seguito le tracce del sospettato fino a Cogollo del Cengio, in provincia di Vicenza, dove si erano concentrate le ricerche del corpo di Ana Maria Henao. Gli inquirenti avevano individuato la zona grazie ai tracciamenti di un’auto noleggiata da Knezevich a Belgrado. Nonostante gli sforzi, le operazioni di perlustrazione non avevano portato al ritrovamento del cadavere.

La ricostruzione delle accuse

Secondo gli investigatori, il 29 gennaio 2024 Knezevich aveva noleggiato un’auto senza GPS a Belgrado, recandosi poi a Madrid. Dopo aver rubato una targa per camuffare il veicolo, sarebbe stato ripreso dalle telecamere mentre metteva fuori uso i sistemi di sorveglianza dell’appartamento di Ana Maria. In seguito sarebbe entrato nell’abitazione con una valigia per uscirne nove minuti dopo: l’ipotesi è che avesse nascosto il corpo della donna, minuta e dal fisico esile, nella stessa valigia.

Durante il rientro verso la Serbia, una sosta prolungata nei boschi vicentini aveva insospettito gli investigatori, che avevano concentrato lì le ricerche senza tuttavia trovare alcun risultato.

Le accuse e i procedimenti legali

Nonostante l’assenza del cadavere, nei confronti di Knezevich era stata formalizzata l’accusa federale di omicidio. Parallelamente, la famiglia di Ana Maria aveva intentato una causa civile per «morte ingiusta», trasferimenti fraudolenti e sofferenza estrema, coinvolgendo anche il fratello, la madre e un cugino dell’imprenditore serbo. Gli accusati erano sospettati di aver aiutato Knezevich nella copertura del delitto o nell’occultamento delle prove.

Con la morte di David Knezevich, il procedimento penale a suo carico si chiude definitivamente, ma restano aperte le indagini sugli eventuali complici. Il mistero della scomparsa di Ana Maria Henao, intanto, rimane senza una soluzione definitiva.

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