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La Procura cerca prove sulla carneficina di Genova, sull’ipotesi bomba i pm dicono: una scemenza

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Fra tutta la documentazione che Autostrade a fine 2017 mandò alla Commissione tecnica del Provveditorato della Liguria che doveva esprimersi sul progetto di rinforzo dei tiranti del viadotto Polcevera, ne mancava uno importante. Non c’era la relazione del 1981 con cui il progettista dell’opera, Riccardo Morandi, segnalava alcune forti criticità in relazione alla corrosione del cemento in un luogo così in alto, a poca distanza dal mare e in una zona spesso interessata da forti piogge. A tacere, ovviamente, dell’usura normale del passare del tempo. L’inchiesta della procura di Genova sulla carneficina del ponte Morandi va avanti. Tra mille problemi ma con certosina pazienza da parte degli inquirenti che vogliono fare sì in fretta ma bene. Sono già partite, su impulso dei pm, le analisi sui telefonini sequestrati. Gli inquirenti vogliono concentrare  l’attenzione su sms e chat scambiate dal 14 agosto fra tecnici e dirigenti sia di Autostrade, del Provveditorato e del Ministero. Non è materiale probatorio dell’inchiesta tecnica ma una indagine che serve a capire se c’è qualcosa che è stato nascosto o che si intendeva nascondere ai pm dopo la tragedia del crollo del ponte e le 43 vittime. 

Procuratore di Genova. Francesco Cozzi

La scoperta dell’assenza della relazione Morandi dagli atti consegnati al Provveditorato è stata fatta in queste ore dagli stessi membri relatori del Comitato tecnico che sono stati sentiti come persone informate dei fatti dalla procura. “Si tratta di un’omissione di non poco conto che avrebbe potuto avere una sua rilevanza per il nostro lavoro” spiega uno dei membri del Comitato insediato dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli che a fine lavoro consegnare la relazione anche alla procura.

Pare ci fosse una scarsa e difficile comunicazione fra concessionario e concedente, tra Autostrade e settore del ministero che si occupa delle Concessioni autostradali. Le perquisizioni della Guardia di finanza di queste ore al Ministero a Roma e a Genova, avrebbero fatto emergere una particolare circostanza. Secondo i funzionari del ministero dal 1999, anno della privatizzazione, Autostrade non avrebbe mai segnalato criticità al viadotto Polcevera e non avrebbe mai risposto a esplicite richieste di informazioni circa lo stato dei ponti liguri. Ma tutto questo – nell’impostazione della Procura – non esime un concedente come lo Stato italiano da poteri di verifica diretta. Tanto più che studi, articoli, libri sulle criticità del ponte erano diffusissimi e non solo nella comunità scientifica. Insomma siamo nella fase dello scandaglio delle responsabilità. Sul fronte dell’inchiesta una delega d’indagine è stata affidata alla squadra mobile per capire le ragioni del blackout delle telecamere di Autostrade posizionate ai due imbocchi del viadotto. Ufficialmente sarebbe legato al cedimento ma ci sono ancora alcuni aspetti da chiarire. Esistono però altri video molto chiari del crollo provenienti da sistemi di sicurezza di aziende di Cornigliano. Quanto ad una voce del senno fuggita circa una bomba o bombe per far crollare il ponte, la risposta più chiara arriva da ambienti della procura: una scemenza. 

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La piccola orsa trovata in Molise ha completato lo svezzamento

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L’orsetta Nina, trovata a maggio da sola nei pressi di Pizzone (Isernia) è stata trasferita in un ambiente più simile alle condizioni naturali in cui dovrà vivere una volta libera. Lo ha reso noto il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con un post sui canali social. “Nina era stata trovata nei pressi di Pizzone (Isernia) all’inizio di maggio – si legge nel post – allevata con l’obiettivo di essere reintrodotta in natura non appena le condizioni lo permetteranno. Sabato scorso, i tecnici del Parco, biologi e veterinari, hanno provveduto a trasferire Nina in una nuova struttura.

L’orsetta ha completato con successo lo svezzamento, seguendo il protocollo sviluppato con il supporto di esperti internazionali, sia europei sia nordamericani. Ora può vivere in un ambiente più adatto alle sue esigenze attuali, molto più simile a ciò che incontrerà una volta tornata libera. Si tratta di un ampio recinto immerso nella natura, dove potrà continuare a crescere e prendere peso”. Nel post si ricorda anche che il nome dato all’orsetta “è stato selezionato dopo il concorso lanciato in occasione della seconda edizione della giornata dedicata all’orsa Amarena. Abbiamo deciso di accogliere la proposta degli studenti dell’Istituto Comprensivo “Gesuè” di San Felice a Cancello (Caserta), che hanno suggerito proprio il nome Nina”.

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Omicidio Giulia Tramontano, legali di Impagnatiello: nessun agguato, fu un errore dettato dal narcisismo

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Non un agguato pianificato, ma un delitto “maldestro”, frutto di “errori” e di una personalità narcisistica incapace di sopportare il crollo della propria immagine. È questa la linea della difesa di Alessandro Impagnatiello, l’ex barista dell’Armani Café condannato all’ergastolo per l’omicidio della compagna Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, assassinata a Senago il 27 maggio 2023.

Mercoledì si apre il processo d’appello davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano. L’avvocata Giulia Geradini, che difende l’imputato, chiederà di riformare la sentenza di primo grado, sostenendo che l’omicidio non fu premeditato ma la conseguenza tragica di una relazione doppia che Impagnatiello “avrebbe voluto interrompere”, ma che non è riuscito a gestire, sopraffatto dalla necessità di preservare un’immagine pubblica costruita con cura.

Le richieste della difesa: escludere le aggravanti

La difesa punta a escludere le aggravanti della premeditazione e della crudeltà, non riconosciute dal gip Angela Laura Minerva già nella convalida del fermo, e chiederà il riconoscimento delle attenuanti generiche. Se accolte, queste richieste potrebbero ridurre la condanna a 30 anni.

Secondo l’avvocata, non ci sarebbe “alcuna prova” di un omicidio studiato nei dettagli: la dinamica sarebbe invece “grossolana e maldestra”, come dimostrerebbe il modo in cui Impagnatiello ha cercato di disfarsi del cadavere — bruciandolo con alcol e benzina — e di simulare la scomparsa della 29enne per quattro giorni, spostandone il corpo tra il box, la cantina e l’auto prima di abbandonarlo in un’intercapedine.

L’accusa: 37 coltellate e un corpo dato alle fiamme

La ricostruzione fatta dalla Corte in primo grado parla di 37 coltellate inferte tra le 19.05 e le 19.30 del 27 maggio. Un gesto di violenza estrema, seguito dal tentativo di cancellare ogni traccia, mentre il corpo della giovane, scopertasi poco prima tradita da una collega del compagno, veniva occultato per giorni.

A sostenere l’accusa in aula sarà la sostituta procuratrice generale Maria Pia Gualtieri, che si opporrà alla richiesta della difesa e chiederà la conferma dell’ergastolo.

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Attentati a commissariato e caserma CC per vendetta, un arresto

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Arrestato il presunto autore degli attentati incendiari avvenuti a febbraio scorso nelle sedi della compagnia carabinieri di Castel Gandolfo e del commissariato di polizia di Albano Laziale, vicino Roma. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Frascati, del ROS, e gli agenti della Digos di Roma hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Velletri su richiesta della Procura, nei confronti di un 34enne di origine egiziana, regolare sul territorio nazionale e con precedenti di polizia. E’ accusato di strage politica, ovvero commessa allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato. Il movente sarebbe legato a un rancore profondo e persistente nei confronti delle forze dell’ordine locali, maturato nell’ambito di vicende personali.

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