Esce domani, venerdì 30 settembre, in radio, negli store e sulle piattaforme digitali, il nuovo singolo di Antonio Marino, artista poliedrico che si divide tra tv, teatro e live in giro per l’Italia. Alla soglia dei 40 anni, Antonio torna alle origini cantando, dopo 20 anni dal debutto del musical “C’era una volta… Scugnizzi”, di nuovo in napoletano”. Il brano, “Io e te (together )” è stato scritto e composto da Antonio Marino, Francesco Silvestri e Nicola Ferro, che ha anche curato gli arrangiamenti e la produzione artistica. Registrato al NirFoN Studio di Cava de’ Tirreni e masterizzato a Loud Mastering Studio in Inghilterra,
Antonio Marino, classe 1982, nasce a Pozzuoli da padre infermiere e madre impiegata e già da bambino mostra una spiccata propensione per l’arte. Nel 2002 viene notato da Claudio Mattone, che lo sceglie per il musical “C’era una volta scugnizzi”, ed è così che la sua passione per la musica diventa la sua professione.
Nel 2008 partecipa alla prima edizione del talent show X Factor, successivamente al quale per quasi 10 anni si dedica al teatro, dividendosi tra musical e spettacoli di prosa. Nel 2018 partecipa ad un altro programma televisivo,The voice of Italy, arrivando in finale, e due anni dopo, nel 2020, è finalista anche del programma tv All together now. Antonio, raccontaci se e sotto quale aspetto ti senti cambiato dalla tua prima esperienza artistica.
La mia vita artistica e la mia vita di essere umano hanno sempre viaggiato di pari passo, ci sono stati degli step lavorativi, come quelli da te prima citati, che hanno segnato soprattutto la mia vita personale. “C’era una volta scugnizzi”, il mio debutto, rappresenta la fase dell’ingenuità, la purezza di un ragazzo che sognava di fare questo mestiere e che ogni sera, per 399 repliche, ha vissuto quel sogno senza mai risparmiarsi un solo istante. Eravamo tutti protetti da Claudio Mattone, eravamo una grande famiglia, poi ho scoperto quanto fosse difficile non tanto iniziare a fare questo lavoro, ma riuscire a continuare, che è molto diverso.
Poi è arrivato il talent…
X Factor capitò per caso: non volevo fare televisione, non mi era mai piaciuta, venivo dal teatro, dalla fatica, dallo studio. E soprattutto non ero pronto psicologicamente perchà la vita mi aveva dato, a 24 anni, la prima sberla. Mio padre morì pochi mesi prima che io facessi la trasmissione ed ero pieno di rabbia. Nella mia testa ero convinto che più note riuscivo a fare, più in alto erano quelle note, più affermavo la mia bravura. In realtà il era solo un grido d’aiuto, il mio modo per esprimere una sofferenza inimmaginabile. La prima volta che cantavo in tv, la prima occasione che poteva cambiarmi la vita e lui, papà, non era lì. Se ripenso al me ventiquattrenne provo adesso tanta tenerezza, vorrei abbracciare semplicemente quel ragazzo, dirgli: andrà tutto bene e diventerai l’uomo che tuo padre sperava diventassi. Terminata quell’esperienza decisi che non sarei più tornato in tv e per 10 anni mantenni la promessa. Mi dedicai allo studio, al teatro ed iniziai la mia attività di vocal coach, che continua con grande passione anche oggi. Furono alcuni miei allievi che mi iscrissero di nascosto ai casting di The voice of Italy, e fui selezionato. Ero molto emozionato, dopo tanti anni fuori dalla tv, e poco prima dell’esordio ebbi uno strano calo di voce che attribuii probabilmente alla stanchezza dovuta ai ritmi serrati del programma. Non sapevo che invece il mio corpo mi stava avvisando di qualcosa che mai mi sarei aspettato.
Così hai scoperto di avere un carcinoma tiroideo molto esteso e che immagino ti abbia creato successivamente diverse difficoltà. Come l’hai scoperto e come soprattutto hai vissuto quel momento?
Avevo deciso di punto in bianco di sottopormi ad un intervento di chirurgia per perdere peso, e così mi rivolsi a uno specialista che mi fece fare un ricovero preparatorio per svolgere una serie di esami. Una volta effettuati, fui messo in dimissione. Entrai in ascensore e sbagliai a premere il pulsante per l’uscita, ritrovandomi al piano dove avevamo fatto tutti gli accertamenti. In quel momento sentii una persona che stava facendo il mio stesso percorso parlare dell’ecografia alla tiroide, che a me però non era stata fatta. E così andai a bussare alla stanza dove facevano le ecografie. La diagnosi fu immediata e mi fu consigliato di operarmi il prima possibile. E così feci. Ho affrontato quasi 9 ore di intervento e successivamente la radioterapia, poi arrivò la paura.
Che cosa successe?
Durante la prima seduta di logopedia mi paralizzai, il mio suono era sparito, i miei muscoli erano rigidi, la mia cicatrice molto estesa tirava come se qualcuno volesse zittirmi. È stato un percorso lungo, quasi un anno di riabilitazione muscolare e vocale, durante il quale decisi di iniziare anche una terapia psicologica per elaborare tutto ed accettare la mia nuova voce. Mi chiedevo all’inizio: perchè proprio a me? Perché ad un cantante un tumore alla gola? Poi la domanda è cambiata: cosa posso trarre da questa esperienza?
Qual è la risposta che ti sei dato
Oggi ringrazio la vita per quel cancro. So che possono sembrare parole forti, ma se non mi fossi ammalato, se non avessi capito che in quel cancro c’era anche una fortissima componente psicosomatica, oggi non sarei un uomo centrato. Un uomo che non pretende più dalla musica solo perchè essendo nato con un talento gli è dovuto avere qualcosa. Io do alla musica tanto quanto prendo. La mia esigenza comunicativa ora combacia perfettamente con il modo vocale nel quale la esprimo. Ho imparato e non senza fatica ad amarmi, il resto è venuto da se.
Ascoltando la tua voce e le tue performance sia televisive che live potremmo definirti un cantante di quelli che cantano ancora, lontano dalle mode del momento. Come si riflette tutto ciò nella tua scrittura? Ti sei adattato alla moda musicale del momento o sei rimasto fedele a te stesso? “Io e te,together” è il tuo nuovo singolo, cosa racconti di te attraverso questa canzone?
Passato un anno dall’intervento è iniziato un momento di scrittura molto creativo per me che fortunatamente continua. È cambiato qualcosa ma senza nemmeno che ci facessi caso: la penna, perchè io scrivo ancora con penna su carta, andava da sola. Ho dovuto sicuramente riadattare la mia scrittura ad una nuova vocalità, ma il senso di serenità e di leggerezza che provavo tutti i giorni mi faceva scrivere canzoni positive, e questo è continuato anche durante la pandemia che per me è stato un altro momento molto importante di crescita personale e produttività artistica. Nel testo di Io e te, together io dico “ volesse sta for ever in a sunny way”, vorrei avere per sempre uno stato d’animo assolato, proprio ad evidenziare la serenità e la leggerezza con la quale cerco di vivere tutti i giorni. Amo molto questa canzone ed i riferimenti anche ad artisti della musica internazionale che ho inserito. Amo tantissimo che possa essere considerato un brano da viaggio, uno di quelli che ascolti mentre guidi magari da solo e che canticchi sorridendo. Amo follemente l’arrangiamento ed il trombone di Nicola Ferro che hanno conferito spessore a questa canzone. Amo aver collaborato alla scrittura di questo brano col mio manager Francesco Silvestri perché è una fonte di gioia e positività, sempre. Francesco tra l’altro è anche l’autore del videoclip del brano, girare con lui a Miami è stato troppo divertente, ma soprattutto amo che sia in lingua napoletana, perchè non c’è modo migliore per esprimere alcuni concetti. Dopo 20 anni dal mio debutto, proprio cantando in napoletano con scugnizzi, torno a farlo, come a chiudere un cerchio, perché ora sono a casa e non c’è nulla di più bello che sentirsi a casa.
Cosa possiamo aspettarci dal futuro di Antonio Marino artista e uomo?
Sembrerà scontato ma la mia prima speranza è quella di restare a vivere nella mia città’ e nella mia nazione, perchè non ci stanno rendendo la vita molto semplice. Spero di restare sempre la brava persona che ritengo di essere, di riuscire sempre ad amarmi per poter poi amare gli altri e di continuare a lavorare sempre con i ragazzi, perchè lo scambio che si crea tra me e loro è un carburante al quale non potrei rinunciare. Per quanto riguarda l’Antonio artista, posso dirvi che continuerò a pubblicare brani in lingua napoletana e che tornerò in teatro con un recital tutto mio, e se proprio posso permettermi ancora un sogno, uno di quelli che ho nel cassetto da bambino, è quello di poter cantare al Festival di Sanremo in napoletano…. Chissà.
Durante il processo per la morte di Diego Armando Maradona, il dottor Fernando Villarejo, capo del reparto di terapia intensiva della clinica Olivos, ha rilasciato dichiarazioni importanti e potenzialmente decisive. Secondo il medico, Leopoldo Luque, il neurochirurgo a capo del team che seguì Maradona negli ultimi giorni, avrebbe impedito l’accessoad altri specialisti che volevano visitare l’ex campione dopo l’intervento alla testa del 3 novembre 2020.
Medici bloccati all’ingresso: «Chiamati dalle figlie»
Villarejo ha precisato che i medici esclusi erano stati convocati dalle figlie di Maradona, tra cui il dottor Mario Schitere una psichiatra. Il loro compito era valutare la possibilità di un trasferimento del paziente in una struttura di riabilitazione, data la complessità della sua condizione clinica.
«Luque ha vietato l’ingresso ai medici che dovevano valutare Maradona», ha dichiarato Villarejo in aula, definendo il divieto «strano e intempestivo».
Cartella clinica: «Pluripatologie di difficile controllo»
Nonostante il divieto, il dottor Villarejo è riuscito comunque a consultare la cartella clinica di Maradona, dalla quale ha tratto conclusioni preoccupanti: il paziente era ancora in condizioni critiche, affetto da patologie complesse e difficili da gestire.
«Era un paziente molto complesso», ha spiegato, «e necessitava di un monitoraggio costante e di interventi mirati, che forse non gli sono stati garantiti».
Un processo che riaccende i riflettori sulla gestione medica
Le parole di Villarejo si inseriscono in un processo delicato, che mira a chiarire eventuali responsabilità e negligenzenella gestione sanitaria del più grande calciatore argentino. Il comportamento di Luque e le decisioni prese nei giorni successivi all’intervento chirurgico saranno al centro dell’analisi dei giudici.
Lontano dalle suggestioni populiste, fermamente contro gli “estremisti di destra e di sinistra che non sono a favore della pace ma sono amici di Putin”, per usare le parole di Ursula Von der Leyen. E’ il Partito popolare europeo che si è ritrovato al Congresso di Valencia forte di una stagione di successi elettorali, a trazione sempre più tedesca, convinto di essere il motore propulsore di un’Europa che vuole rilanciarsi ed essere sempre più protagonista anche fuori dai confini dei 27. L’Europa disegnata dai popolari è un’entità politica capace di difendere i propri interessi nei confronti dell’alleato tradizionale, gli Usa, ma anche in grado di aprirsi nei confronti dei mercati emergenti, dalla Cina all’India, dall’Australia ai Paesi del Mercosur. Impegnata a voltare pagina sul fronte della difesa comune, della crescita e della lotta ai clandestini. L’asse formato da Ursula Von der Leyen, l’applauditissimo cancelliere in pectore Merz e il neo eletto presidente del partito, Manfred Weber tiene banco e dà la linea. “L’Europa è la nostra casa. E la nostra prima missione è proteggere il luogo che tutti chiamiamo casa”, ha sintetizzato Ursula Von der Leyen.
“Abbiamo vinto le ultime europee – ha detto Manfred Weber – grazie all’allargamento della famiglia del Ppe: non sono più conservatori o liberali ma stanno con noi. Il Ppe è il partito dell’Europa, dello stato di diritto. Viktor Orban se ne andrà in pensione e la nuova Ungheria sarà popolare”, ha aggiunto Weber tra gli applausi. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha concordato sulla necessità per l’Unione europea di “voltare pagina”, a partire dalla lotta contro l’eccesiva burocratizzazione legislativa. E soprattutto chiudendo quanto prima la stagione del Green Deal, lasciandosi alle spalle “quella visione di Timmermans e di Greta Thunberg che – ha osservato il leader azzurro – aveva creato una sorta di dea natura, una forma di panteismo che non teneva conto della presenza dell’uomo, facendo perdere decine se non centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Dalla pace in Ucraina, alla tensione con Trump sui dazi, dalla lotta contro l’immigrazione clandestina alla partita sulla crescita, il Ppe serra le file sulla responsabilità della leadership europea, consapevole che l’Unione, con i suoi valori e la sua storia, è destinata ad avere un ruolo centrale, in prima fila, nel mondo del futuro. L’Europa a guida popolare lancia poi un monito a Trump: “I mercati globali – ha ammonito Von der Leyen – sono scossi dall’imprevedibile politica tariffaria dell’amministrazione Usa. I loro dazi sul resto del mondo sono ai massimi da un secolo a questa parte. Le tariffe sono come le tasse. Fanno male sia ai consumatori che alle imprese. Non possiamo e non dobbiamo permettere che questo accada”.
Un partito popolare e una Commissione europea che oggi può incassare la discesa in campo di una sua nuova e fondamentale supporter, la Germania a guida Merz, il cui intervento è stato quello più applaudito nella sede della Fiera di Valencia. “Se altri Paesi mettono in discussione la legittimità della difesa dei confini e della sovranità – ha ammonito Merz – noi lotteremo ancora più forte a favore di questi valori”. Molto determinato anche sul dossier difesa: “Dobbiamo lavorare insieme come mai prima, con una sola voce, soprattutto sulla difesa: dobbiamo essere pragmatici nel nuovo progetto. Tutto deve avvenire nella cornice Nato ma dobbiamo essere capaci di difenderci meglio che nel passato”, ha concluso tra gli applausi.
La guerra dei dazi fa salire la tensione fra Donald Trump e Jeff Bezos. Mentre Amazon lancia la sfida a Starlink mandando in orbita il suo primo lotto di satelliti internet, la Casa Bianca critica duramente il colosso delle vendite online per essere pronto – secondo le indiscrezioni di Punchbowl – a evidenziare nei prezzi dei suoi prodotti l’impatto dei dazi. “E’ un atto politico e un atto ostile”, ha detto senza mezzi termini la portavoce Karoline Leavitt, chiedendosi come mai la società non lo abbia fatto “quando l’amministrazione Biden ha fatto salire l’inflazione ai massimi da 40 anni”.
Le pesanti critiche sono state seguite dalla smentita di Amazon. “Il team che gestisce il nostro negozio ultra low cost Amazon Haul ha preso in considerazione l’idea di indicare i costi di importazione su alcuni prodotti. Ipotesi che non è mai stata approvata e non verrà attuata”, ha detto un portavoce sottolineando l’idea “non è mai stata presa in considerazione per il sito maggiore di Amazon”. La spiegazione di Amazon, secondo quanto riportato da Cnn, sarebbe stata preceduta dalla telefonata ‘frustrata’ di Trump a Bezos, il miliardario in prima fila al giuramento del presidente insieme alla sua futura moglie Lauren Sanchez. Una telefonata confermata dal presidente: “E’ stato fantastico, ha risolto il problema molto rapidamente e ha fatto la cosa giusta. Ho apprezzato”.
I rapporti di Trump e Bezos si erano distesi con il secondo mandato presidenziale: se nei primi quattro anni alla Casa Bianca il tycoon non ha risparmiato critiche al fondatore di Amazon, soprattutto per il suo controllo del Washington Post, ora invece fra i due ci sarebbe un legame vero. Bezos è andato diverse volte a Mar-a-Lago e ha visitato più volte la West Wing della Casa Bianca per incontrare Trump, oltre ad aver messo il bavaglio alla pagina degli editoriali del quotidiano del Watergate, ordinando che si scriva soltanto di “libertà personali e libero mercato”. Per Bezos la posta in gioco è alta considerato che il ‘first buddy’ Elon Musk è il maggiore rivale nella sua corsa allo spazio. Dopo anni di ritardo, Amazon ha finalmente lanciato i suoi satelliti internet del Progetto Kuiper nel tentativo di recuperare il terreno perso con Starlink. Bezos ha investito più di 10 miliardi di dollari nel progetto e intende utilizzare questa rete di satelliti per fornire un accesso a internet ad altissima velocità da ogni angolo del mondo, comprese le aree remote e le zone di guerra o disastrate.
Un’impresa non facile visto lo strapotere spaziale di Musk che, però, rischia di pagare anche con Starlink la sua vicinanza a Trump. Lo scontro (rientrato) fra Trump e Bezos mostra, secondo molti osservatori, il pugno duro della Casa Bianca contro qualsiasi società che metta in dubbio le sue mosse. Se Amazon avesse messo in evidenza l’impatto dei dazi nei prezzi dei suoi prodotti, decine di altre aziende avrebbero seguito la stessa strada per difendere la loro reputazione dalla possibile ira dei consumatori contro i rincari, con il rischio di alimentare le critiche a Trump e minare la sua agenda. Per cercare di attenuarne l’impatto Trump ha firmato un ordine esecutivo per allentare la pressione dei dazi sulle case automobilistiche mentre la Casa Bianca lavora ad accordi commerciali.
“Penso che abbiamo un accordo con l’India”, ha detto il presidente criticando allo stesso tempo al Cina. In un’intervista a Abc di cui sono stati diffusi degli estratti, il presidente ha messo in evidenza che Pechino “merita” tariffe al 145%. “Abbiamo una cornice di intesa con la Corea del Sud. Le trattative vanno bene anche con il Giappone”, ha aggiunto il segretario al Tesoro Scott Bessent. A chi gli chiedeva di come andassero i negoziati con l’Ue, Bessent ha risposto: “Posso rifarmi alle dichiarazioni di Henry Kissinger, ovvero chi chiamo? Alcuni Paesi europei”, come la Francia e l’Italia, “hanno imposto ingiuste tasse sui servizi digitali per i nostri internet provider. Altri Paesi non le hanno. Vogliamo veder queste tasse ingiuste rimosse”.