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La guerra minaccia anche aiuti a Siria, pressing su Mosca

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Si unisce anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan all’intenso pressing occidentale sulla Russia perche’ conceda il rinnovo del meccanismo Onu, scaduto solo 24 ore fa, che consente l’invio di aiuti umanitari a piu’ di 4 milioni di civili intrappolati nelle regioni nord-occidentali della martoriata Siria. La questione e’ direttamente legata alla guerra in Ucraina e alle forti ripercussioni politiche, diplomatiche e alimentari che il conflitto in Europa orientale sta generando in tutto il Mediterraneo orientale e Medio Oriente. Tanto che Erdogan si e’ rivolto direttamente al collega russo Vladimir Putin perche’ accetti la proposta di risoluzione, avanzata nei giorni scorsi da Irlanda e Norvegia, per un rinnovo di un anno del meccanismo umanitario. Come fanno sapere in queste ore accreditate fonti diplomatiche occidentali all’Onu, e’ probabile che si raggiunga un accordo di compromesso, con un rinnovo semestrale e non annuale. Proprio come da anni vuole la stessa Russia, il cui interesse strategico e’ spingere i paesi occidentali a riconoscere il governo di Damasco, incarnato dal contestato presidente Bashar al Assad, come unico interlocutore umanitario e, dunque, politico. Il meccanismo di invio di aiuti umanitari trans-frontalieri e’ in vigore dal 2014, tre anni dopo lo scoppio delle violenze armate in Siria. Allora la situazione sul campo di battaglia siriana era molto diversa. E gli aiuti venivano anche dall’Iraq e dalla Giordania. Il meccanismo di cui si discute in queste ore non si occupa degli aiuti umanitari destinati ad altri milioni di siriani che a stento sopravvivono anch’essi, alla luce di gravi carenze sanitarie e alimentari, nelle zone governative e del nord-est. Come emerge dal dibattito di queste ore in seno al Consiglio di sicurezza, la guerra in Ucraina e le conseguenti tensioni tra Stati Uniti e Russia rischiano di avere un impatto disastroso sulle condizioni di piu’ di quattro milioni di persone della regione siriana di Idlib. Secondo l’Onu, questi civili sopravvivono da anni in estreme condizioni umanitarie in un’area fuori dal controllo del governo centrale di Damasco, sostenuto da Mosca. L’area di Idlib e i distretti a nord di Aleppo rientrano ormai nello spazio egemonico turco. Il meccanismo umanitario approvato dall’Onu garantisce infatti il mantenimento di un ruolo chiave della Turchia: che e’, al tempo stesso, partner e rivale della Russia, ma che e’ anche membro della Nato ed e’ coinvolta direttamente nella questione ucraina. La Turchia beneficia infatti di enormi profitti derivanti dalle commissioni che le agenzie internazionali pagano per portare gli aiuti in Siria dal territorio turco. Tra questi aiuti c’e’ anche il grano proveniente dalle regioni del Mar Nero, coinvolte direttamente nella guerra in Ucraina. Il ruolo della Turchia e’ diventato ancor piu’ centrale quando la Russia ha imposto, negli anni scorsi, che l’unico valico trans-frontaliero da usare per l’invio di aiuti umanitari fosse quello tra la regione turca di Hatay e Idlib, eliminando gli accessi dall’Iraq e dalla Giordania. Cosi’ facendo la Russia ha tentato di ridurre la capacita’ di attori concorrenti di esercitare le loro rispettive influenze sulla questione siriana. Tra questi spiccano gli Stati Uniti, presenti militarmente nel nord-est della Siria e alleati della coalizione curdo-araba guidata dal Partito dei lavoratori curdi (Pkk), ostile alla Turchia.

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Inferno di fiamme a Gerusalemme, è emergenza nazionale

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Un incendio gigantesco sta divorando le colline intorno a Gerusalemme, spinto da venti violenti e temperature estreme. Con il rischio, ha messo in guardia il premier Benjamyn Netanyahu, che raggiunga la città. Proprio nella ricorrenza per i caduti e l’inizio del Giorno dell’Indipendenza, sono stati cancellati tutti gli eventi e Israele ha dichiarato lo stato d’emergenza. “Stiamo affrontando forse il più grande incendio mai scoppiato nel Paese. Non abbiamo idea di cosa l’abbia causato. Posso dire che dopo i primi roghi, diversi incendi dolosi sono stati appiccati in altre località”, ha dichiarato in tv il comandante dei vigili del fuoco della Città Santa Shmulik Friedman.

Hamas ha cavalcato la crisi con un messaggio incendiario su Telegram: “Palestinesi bruciate tutto ciò che potete, boschi, foreste, case dei coloni (tutti gli israeliani vengono chiamati coloni dai palestinesi). I giovani della Cisgiordania, di Gerusalemme, di Israele hanno dato fuoco alle loro auto… Gaza attende la vendetta dei liberi”, ha scritto l’organizzazione fondamentalista. Prima ancora un post del Jenin news network ha invitato i palestinesi a “bruciare i boschi vicino agli insediamenti”. Alcuni canali hanno maledetto l’Anp di Abu Mazen per aver offerto aiuto a Israele e invocato: “Eroi, questo è il vostro giorno. Sfruttate gli incendi e fateli crescere.

Benzina e una scintilla possono trasformare Israele in un inferno di fuoco”. Sul canale arabo Nablus News è stato diffuso un video di incitamento che invita a “trasformare la notte in un giorno di fuoco’”. Una fonte anonima della sicurezza israeliana ha riferito che gli inquirenti non escludono che l’ondata di incendi abbia a che fare con il terrorismo. Ma si tratta di indagini delicate, al momento non c’è alcuna prova che l’innesco sia stato volontario. Lo Shin Bet (l’intelligence interna) partecipa alle indagini, dando corpo ai timori delle autorità. La polizia ha fatto sapere solo dell’arresto di un piromane di Gerusalemme Est segnalato da testimoni e preso mentre cercava di accendere la sterpaglia, ore dopo che gli altri roghi si erano propagati. I media riportano altri due fermi.

Le fiamme si sono diffuse in sette località principali, in alcuni casi si tratta di cittadine molto popolose. L’ospedale Ein Kerem di Gerusalemme ha chiesto ai cittadini di non raggiungere la struttura se non in caso di assoluta necessità, il personale ha evacuato i pazienti che non necessitavano di ricovero e si è preparato ad accogliere le eventuali vittime degli incendi mentre si segnalano decine di intossicati dal fumo. In serata le forze di emergenza si sono preparate a evacuare l’ospedale Alin di Gerusalemme. Le fiamme hanno raggiunto strade e autostrade provocandone la chiusura, gli automobilisti sono stati costretti ad abbandonare i mezzi per mettersi in salvo. I treni tra Gerusalemme e Tel Aviv e i collegamenti con altre cittadine sono stati sospesi per oltre sette ore, in alcuni casi i viaggiatori sono stati recuperati con autobus e mezzi di soccorso.

Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha chiesto assistenza internazionale e parlato con gli omologhi di Italia, Regno Unito, Francia, Repubblica Ceca, Svezia, Argentina, Spagna, Macedonia del Nord e Azerbaigian. Ed ha sentito anche Antonio Tajani che ha confermato di aver immediatamente attivato il nostro Dipartimento di Protezione Civile. Netanyahu, che segue personalmente lo sviluppo degli eventi dall’unità di crisi, ha fatto sapere che due Canadair sono attesi a stretto giro dall’Italia e uno dalla Croazia. All’enorme operazione di spegnimento delle fiamme sta prendendo parte oltre a un centinaio di squadre dei vigili del fuoco, anche l’esercito con i suoi mezzi e aerei. Per la prima volta nella storia del Paese, l’emittente più seguita, Channel 12, ha annunciato in diretta che lo studio stava per essere evacuato e le trasmissioni sarebbero state “consegnate” a una struttura alternativa poiché il fuoco ha raggiunto la sede di Neve Ilan durante la trasmissione del telegiornale.

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Vicina la svolta sui minerali, Mosca frena sulla pace

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Il Cremlino frena l’impazienza di Donald Trump per raggiungere un accordo sull’Ucraina, affermando che “le cause del conflitto sono troppo complesse per essere risolte in un giorno”. Ma da Kiev arrivano segnali che potrebbe esserci una svolta per la soluzione di una delle questioni legate ai negoziati, l’accordo con Washington sui minerali: secondo il governo ucraino l’intesa potrebbe essere firmata nelle prossime ore.

“Non appena tutti i dettagli saranno definiti, nel prossimo futuro, spero entro le prossime 24 ore, l’accordo sarà firmato”, ha affermato il premier ucraino Denys Shmyhal. Il governo ha già concordato i punti principali e sono state ricevute tutte le approvazioni necessarie dai ministeri chiave, ha aggiunto il premier. Secondo la Bbc, che fa sapere di avere visto il testo, l’intesa prevede anche impegni americani per investimenti in “settori critici dell’economia ucraina”, ma non garanzie precise per la sicurezza di Kiev.

Poche ore prima il presidente americano era tornato a commentare la posizione di Vladimir Putin, al quale nei giorni scorsi aveva riservato qualche stoccata mettendo in dubbio la sua volontà di arrivare a una soluzione pacifica del conflitto. Trump ha detto di “pensare” che il presidente russo voglia la pace in Ucraina. “Il suo sogno era prendere tutto il Paese ma non lo farà, mi rispetta”, ha assicurato. Ma i tempi giudicati necessari da Mosca non sembrano essere veloci come quelli auspicati a Washington. La Russia capisce che gli Usa vogliono “un successo rapido” nei negoziati, ha commentato il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, secondo il quale però questa fretta si scontra con la complessità delle questioni in gioco, in particolare relativamente alle “cause di fondo” del conflitto.

“Ci sono molte sfumature che devono essere tenute in considerazione”, ha aggiunto Peskov. Sempre secondo il portavoce, la Russia ha il “dovere di vincere” per “raggiungere gli obiettivi stabiliti all’inizio dell’operazione militare speciale”, perché deve salvaguardare i suoi “interessi nazionali”. Tuttavia sarebbe “preferibile” raggiungere questi obiettivi per vie pacifiche e quindi Putin “rimane aperto a metodi politici e diplomatici per risolvere il conflitto”, ma finora non c’è stata “nessuna reazione da Kiev”. Lo stesso Putin, tra l’altro, ha annunciato a sorpresa che ci sono “cittadini francesi che combattono fianco a fianco” con i militari di Mosca perché “condividono i principi e i valori russi”. E questi francesi “hanno chiamato la loro unità, come i loro nonni e bisnonni, ‘Normandie-Niemen'”.

Vale a dire come un reparto da caccia dell’aeronautica militare della Francia libera che a partire dal 1944 operò sul fronte orientale affiancato alle forze dell’Unione Sovietica contro gli invasori nazifascisti. Finora Mosca aveva ammesso ufficialmente solo la partecipazione di truppe nordcoreane alle operazioni per respingere le forze ucraine penetrate nella regione russa di Kursk dall’agosto dello scorso anno. Secondo fonti parlamentari sudcoreane, sarebbero circa 600 i soldati di Pyongyang uccisi nell’operazione, e oltre 4.000 i feriti. Un deputato ed esperto di intelligence di Seul, Lee Seong-kweun, ha detto che i corpi dei soldati deceduti sono stati cremati in Russia e le loro ceneri sono state rimpatriate.

Nel frattempo le agenzie di Mosca hanno annunciato che Russia e Corea del Nord hanno avviato i lavori per la costruzione di un ponte stradale sul fiume Tumen per collegare i due Paesi. Un progetto che secondo il primo ministro russo, Mikhail Mishustin, “simboleggia l’aspirazione comune a rafforzare le relazioni amichevoli e di vicinato e a promuovere la cooperazione interregionale” Sul terreno, il ministero della Difesa russo ha rivendicato la conquista di un nuovo villaggio, Novoye, nella regione ucraina di Donetsk. Mentre Volodymyr Zelensky ha denunciato bombardamenti con oltre cento droni su Kharkiv, Dnipro e Dobropillya. L’agenzia Ukrinform parla di un morto a Dnipro e un altro nella regione di Donetsk, oltre a 45 feriti a Kharkiv, tra cui una donna e due bambini. Il presidente ucraino ha chiesto agli Usa e agli europei di esercitare “pressioni” sulla Russia perché ponga fine ai raid e di fornire maggiori difese aeree a Kiev.

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L’Spd dice sì al governo Merz, Klingbeil vicecancelliere

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Il suo lungo, lunghissimo cammino verso la cancelleria non ha più ostacoli: i socialdemocratici tedeschi hanno approvato il contratto di coalizione con l’Unione e Friedrich Merz sarà eletto il 6 maggio alla guida della Germania, succedendo ad Olaf Scholz. L’esito del referendum dei compagni, non proprio scontato, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Berlino, dove alla Willy Brandt Haus è stata ufficializzata anche un’altra decisione di indiscusso rilievo: il 47enne Lars Klingbeil, presidente dell’SPD dal 2021, sarà vicecancelliere e ministro delle Finanze, diventando il vero cavallo di punta del partito sconfitto alle urne il 24 febbraio scorso. Sarà lui, l’uomo che nella notte del disastro elettorale fece uno scatto in avanti invece di dimettersi, a prendere in mano le sorti della socialdemocrazia tedesca che langue da tempo ben sotto la soglia del 20% (al 16). Affiancando il leader conservatore di un Paese che versa in una profonda crisi, fra sfide e incognite obiettivamente inedite.

La base dell’SPD ha approvato il patto di coalizione elaborato con i conservatori dell’Unione in una consultazione digitale durata dieci giorni che ha visto un 84,6% di consensi, ma una partecipazione bassa, che si è fermata al 56%. È questo il dato che fa discutere in queste ore, mostrando un partito scisso, che ha deciso di non sabotare il futuro governo – pena uno scenario pericolosamente incerto anche nella politica interna – senza tuttavia rinunciare a una sorta di “silenziosa protesta” contro politiche che si annuncerebbero troppo di destra. Una lettura poco condivisa, che si è prestata a forti critiche, alla luce dei molti risultati ottenuti da Klingbeil nelle trattative: a partire da ben 7 ministeri. “Un partito esausto – lo ha definito Handelsblatt – a cui mancano teste, idee e visione”.

Mentre Klingbeil è stato in grado di affermarsi come “il maggior vincitore di una storica sconfitta, il cui responsabile è proprio lui”. Paradossi della politica, ma anche il segno della evidente abilità di questo solido ex ragazzo dell’SPD, che ha scalato tutte le posizioni, passando dalla segreteria alla presidenza, e arrivando ai vertici dopo aver congedato Scholz e bloccato Boris Pistorius, che nel prossimo esecutivo sarà riconfermato alla Difesa. Originario della Bassa Sassonia e laureato in Scienze politiche e storia, Klingbeil non ha competenze amministrative né il profilo di un esperto di finanza, ma ha già ottenuto la fiducia di alcune economisti che sulla Faz hanno frenato le perplessità in materia: ha una forte esperienza politica e potrà colmare i suoi deficit potendo fra l’altro contare sulla consulenza dell’entourage di Scholz e dello stesso ministro uscente Joerg Kukies, che subentrò al liberale Christian Lindner al momento del crollo del “semaforo”.

Nei prossimi giorni avrà anche il compito di scegliere i ministri socialdemocratici, e di risolvere il pasticcio con la sua copresidente Saskia Esken, sgradita a molti e ad un passo dal benservito. “Sono orgoglioso del partito”, ha detto il segretario generale Matthias Miersch, sottolineando il “forte appoggio” arrivato alla coalizione dai compagni. E proprio quest’ultimo potrebbe succedere a Klingbeil che si era fatto nominare capogruppo parlamentare a poche ore dagli exit poll, decretando di essere il numero uno e la vera speranza del partito. Con il suo stile oltremodo sobrio Scholz ha tenuto intanto l’ultima seduta di gabinetto: niente doni di fine missione, né lacrime, ha ironizzato il portavoce, ma 20 minuti di uno scambio di elogi sulla buona collaborazione nell’esecutivo naufragato. E lui, l’ormai ex cancelliere, il 6 maggio voterà per Merz e resterà deputato semplice.

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