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La Corte suprema Usa vuole abolire il diritto all’aborto

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Si infiamma nuovamente negli Usa la battaglia sul diritto all’aborto, con effetti politici e sociali dirompenti destinati a segnare la campagna elettorale non solo di Midterm ma anche delle prossime presidenziali nel 2024: i dem, con Joe Biden in testa, e i repubblicani sono gia’ sulle barricate mentre montano le prime proteste di piazza. A scatenarla uno scoop di Politico, che ha pubblicato una prima bozza delle motivazioni con cui cinque dei nove giudici della Corte suprema si apprestano a cancellare la ‘Roe v. Wade’, la storica sentenza della stessa corte che nel 1973 sanci’ il diritto all’interruzione di gravidanza per tutte le donne americane, senza tuttavia che sia mai diventata una legge. Una fuga di notizie senza precedenti che ha causato un terremoto politico e sulla quale il presidente del massimo organismo giudiziario Usa, John Roberts, ha ordinato un’inchiesta, definendola una “violazione di fiducia unica ed eclatante” e “un affronto alla corte”. Pur confermando l’autenticita’ del documento, Roberts ha voluto precisare che esso “non rappresenta una decisione della Corte o la sua posizione finale e quella definitiva dei suoi membri sul caso”. Ma l’orientamento della maggioranza dei saggi sembra chiaro e c’e’ gia’ stato anche un primo voto dopo l’udienza di dicembre sul ricorso contro la legge del Mississippi che vieta l’aborto a partire dalla quindicesima settimana di gravidanza. A favore della cancellazione della ‘Roe v. Wade’ Clarence Thomas, nominato da Bush padre, Samuel Alito, scelto da Bush figlio, e i tre candidati di Donald Trump, cioe’ Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. I tre giudici insediati da presidenti democratici – Stephen Breyer, Sonia Sotomayor e Elena Kagan – stanno lavorando invece ad una nota di dissenso, mentre non si sa come si schierera’ Roberts (indicato da Bush figlio), ma a questo punto sarebbe ininfluente. E’ l’effetto delle tre nomine fatte dal tycoon, ma anche dell’errore fatale della venerata icona liberal Ruth Ginsburg, che non dimettendosi quando Barack Obama era presidente ha consentito al suo successore di mutare radicalmente gli equilibri della Corte. Nella bozza di 98 pagine, Alito stronca la Roe vs Wade scrivendo che e’ “incredibilmente sbagliata sin dall’inizio: la sua argomentazione e’ eccezionalmente debole e la decisione ha avuto conseguenze dannose”. “E’ tempo di ascoltare la Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti dal popolo”, aggiunge, sostenendo che nella carta non c’e’ questo diritto e che il 14esimo emendamento sulla liberta’ personale e’ stato invocato in modo infondato. Se passasse questa opinione, l’aborto diventerebbe illegale in tutto il Paese e spetterebbe ai singoli Stati decidere se consentirlo o limitarlo fortemente, come stanno facendo 26 Stati repubblicani, dal Texas all’Oklahoma. Con una situazione che sta diventando a macchia di leopardo, come per la pena di morte o l’uso delle armi, e inevitabili viaggi da uno Stato all’altro. Alito ha scritto anche che si tratta di un problema razziale, perche’ la maggioranza delle interruzioni di gravidanza avviene tra i neri, e quindi chi le favorisce aveva in realta’ fin dal principio l’obiettivo di limitare la popolazione afroamericana. Joe Biden ha sollecitato il Congresso ad approvare una legge che codifichi il diritto all’aborto stabilito dalla Roe v. Wade appellandosi agli elettori affinche’ votino parlamentari pro scelta a Midterm, nella speranza che questa battaglia mobiliti l’elettorato democratico e indipendente. Il presidente ha ricordato anche gli sforzi della sua amministrazione per difendere la storica sentenza chiedendo che non sia ribaltata dopo quasi 50 anni e ammonendo che una decisione cosi’ radicale “metterebbe in discussione ogni decisione nella nostra vita privata” e “tutta una serie di diritti fondamentali”. Sulla stessa linea i vertici del suo partito, che accusano i saggi di fare carta straccia della costituzione e di aver mentito al Senato quando dissero che avrebbero rispettato la sentenza come precedente ormai consolidato. Posizione condivisa anche da alcuni repubblicani moderati. I leader del Grand Old Party invece criticano l’attacco dem all’indipendenza della corte suprema ed evocano una campagna coordinata per intimidire e ostacolare i giudici. In ogni caso l’impatto della sentenza, in un senso o nell’altro, sara’ epocale e rafforzera’ le divisioni di un Paese da tempo fortemente polarizzato, dove sono gia’ cominciate le prime proteste. A partire da quelle davanti alla stessa Corte suprema.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

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Ha guidato due banche centrali ma non era mai stato eletto. Il primo ministro canadese Mark Carney, che ha vinto le elezioni generali di lunedi’, e’ abituato a navigare nella tempesta. Con la vittoria del suo partito alle elezioni legislative, dovra’ rapidamente mettersi alla prova contro Donald Trump. Una sfida che dice di poter vincere: “Sono piu’ utile nei momenti di crisi.

Non sono molto bravo in tempo di pace”, ha detto di recente, in tono divertito, a un piccolo pubblico in un bar dell’Ontario. In poche settimane, questo sessantenne novizio della politica e’ riuscito a convincere i canadesi che la sua competenza in materia economica e finanziaria lo rende l’uomo giusto per guidare il paese immerso in una crisi senza precedenti. In effetti, la recessione minaccia questa nazione del G7, la nona economia piu’ grande del mondo, dopo l’imposizione dei dazi doganali da parte di Trump, che continua a ripetere che il destino del Canada e’ quello di diventare uno stato americano.

Nato a Fort Smith, nell’estremo nord, ma cresciuto a Edmonton, in questo West canadese piuttosto rurale e conservatore, Mark Carney e’ padre di quattro figlie e appassionato di hockey. Ha studiato ad Harvard e Oxford, prima di fare fortuna come banchiere d’investimento presso Goldman Sachs, a New York, Londra, Tokyo e Toronto. Nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, e’ stato nominato governatore della Banca del Canada dal primo ministro conservatore Stephen Harper. Cinque anni dopo, e’ stato scelto dal primo ministro britannico David Cameron per dirigere la Banca d’Inghilterra, diventando il primo straniero a dirigere l’istituto. Poco dopo, si trovera’ di fronte alle turbolenze causate dal voto sulla Brexit. Un compito svolto con “convinzione, rigore e intelligenza”, secondo l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Sajid Javid.

Da anni circolavano voci sul suo ingresso in politica. Ma e’ stato solo all’inizio di gennaio, dopo le dimissioni di Justin Trudeau, di cui era stato consigliere economico, che ha deciso di buttarsi nell’arena. Dopo aver conquistato il Partito Liberale all’inizio di marzo, e’ diventato primo ministro e ha indetto le elezioni in seguito, dicendo che aveva bisogno di un “mandato forte” per affrontare le minacce di Trump, che ha cercato di “spezzare” il Canada.

Una vera e propria scommessa per questo ex portiere di hockey che non aveva mai fatto campagna elettorale e che ha preso le redini di un partito al suo punto piu’ basso nei sondaggi, appesantito dall’impopolarita’ di Justin Trudeau alla fine del suo mandato. E molti analisti hanno messo in dubbio la sua capacita’ di ribaltare la situazione su molti canadesi, mentre molti canadesi hanno incolpato i liberali per l’alta inflazione e la crisi immobiliare nel paese. Poco carismatico, in contrasto con l’immagine sgargiante di Justin Trudeau nei suoi primi giorni, sembra che siano proprio la sua serieta’ e il suo curriculum ad aver finalmente convinto la maggioranza dei canadesi.

“E’ un po’ un tecnocrate noioso, che soppesa ogni parola che dice”, dice Daniel Be’land della McGill University di Montreal. Ma anche “uno specialista in politiche pubbliche che padroneggia molto bene i suoi dossier”. “Questo profilo e’ rassicurante e soddisfa le aspettative dei canadesi per gestire questa crisi”, aggiunge Genevie’ve Tellier. Il suo principale avversario durante la campagna, il conservatore Pierre Poilievre, lo ha descritto come un membro dell'”e’lite che non capisce cosa sta passando la gente comune”, ha detto Lori Turnbull, professoressa alla Dalhousie University. Resta un argomento che sembra fargli perdere la flemma: la questione dei suoi beni. Secondo Bloomberg, a dicembre aveva stock option per un valore di diversi milioni di dollari. E i suoi rari scambi di tensione con i giornalisti durante la campagna elettorale riguardavano questa fortuna personale.

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