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Esteri

Kiev si consolida, ira di Mosca per il ponte distrutto

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È furente la reazione di Mosca alla distruzione del ponte di Kursk da parte delle forze armate ucraine: un evento inaspettato che ha aggravato l’ira della Russia, costretta già da qualche giorno a vivere nell’inedita condizione di Paese invaso, con forze nemiche dentro il proprio territorio. “Per la prima volta la regione – ha protestato il ministero degli esteri russo – è stata colpita da sistemi missilistici di fabbricazione occidentale, probabilmente Himars americani. L’effetto è stato la distruzione completa del ponte e i volontari che stavano assistendo l’evacuazione della popolazione civile sono stati uccisi”.

Giorni fa il Cremlino aveva già sottolineato che dietro l’avanzata degli ucraini ci fosse genericamente l’Alleanza Atlantica. Ora invece ha alzato il tiro: affermare esplicitamente che questi missili fossero di produzione statunitense non può che avere un significato geopolitico: provocare un inasprimento dei toni nei confronti di Washington. Intanto, continua violentissima la battaglia sul campo. Un confronto che prosegue senza esclusione di colpi anche sul fronte della propaganda. Dal lato di Kiev Volodymyr Zelensky ha annunciato che le posizioni ucraine in terra russa “sono state rinforzate e che il territorio controllato si sta espandendo”. Rivendicazione in qualche modo confermata dal think tank Institute for the Study of War (Isw) di Washington, secondo cui le truppe di Kiev stanno continuando ad avanzare a piccoli passi oltre Sudzha, in direzione sud-est, con gruppi di fuoco che si spingono oltre la linea del fronte.

Di contro Mosca ha proposto una visione opposta della situazione militare, facendo sapere di aver respinto l’esercito ucraino in tre località nella regione del Kursk, una cittadina e due villaggi: Korenevo, Russkoye e Cherkasskoye Porechnoye. Intanto, il Washington Post ha fatto sapere che gli ucraini, con centinaia di soldati e blindati, pochi giorni fa hanno provato a sfondare anche nella regione di Belgorod, ma in questa zona hanno trovato una “resistenza accanita” da parte delle forze russe. Che, a differenza di quanto accaduto in Kursk, erano “preparate”. Per cui gli ucraini sono stati respinti con perdite.

Sempre secondo il giornale della capitale americana Ucraina e Russia avrebbero dovuto inviare delegazioni a Doha verso la fine di agosto per negoziare un accordo storico che fermasse gli attacchi alle infrastrutture energetiche ed elettriche da entrambe le parti. Tuttavia, ha scritto il Post, l’offensiva ucraina nel Kursk ha fatto saltare questa iniziativa. Forse non a caso, il fatto che questi colloqui siano saltati, o forse solo rinviati, ha rilanciato immediatamente il rimpallo di accuse tra Mosca e Kiev su raid preparati o effettuati dal nemico contro le centrali nucleari. Un’escalation già vissuta in più occasioni nella battaglia attorno alla centrale atomica ucraina di Zaporizhzhia.

Ora tutto ciò si ripete con quella russa di Kursk: il ministero degli Esteri russo ha infatti annunciato che “l’Ucraina ha iniziato la preparazione di un attacco alla centrale nucleare” della regione. “Chiediamo alle organizzazioni internazionali, in particolare alle Nazioni Unite e all’Aiea, di condannare immediatamente le azioni provocatorie preparate dal regime di Kiev e di impedire una violazione della sicurezza nucleare e fisica della centrale nucleare di Kursk, che – ha aggiunto Mosca – potrebbe provocare un disastro su vasta scala provocato dall’uomo in Europa”. Al di là delle minacce di catastrofe nucleare, è evidente che i russi siano molto preoccupati dalla possibilità che Kiev possa occupare la centrale, considerata una delle infrastrutture più importanti della regione, in modo da bloccare i rifornimenti energetici.

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I 5 secondi che hanno messo in ginocchio la Spagna

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Cinque secondi, il tempo di un sospiro, ma lunghissimi in termini di velocità della luce. Sono stati sufficienti per mettere in ginocchio la Spagna. E’ il lasso di tempo in cui si sono verificate “due perdite di generazione di corrente successive, che il sistema non è stato in grado di assorbire”, provocando alle 12,33 di lunedì il crollo al ‘punto zero’, il collasso totale del sistema elettrico.

La causa di quei cali di tensione, con un intervallo di appena un secondo e mezzo fra loro, seguito dopo 3,5 secondi dal collasso, è il principale nodo che si cerca di sciogliere per risalire alle origini del grande buio in cui è sprofondata ieri la penisola iberica, come ha spiegato il capo delle operazioni della Rete Elettrica Spagnola (Ree), Eduardo Prieto. “Bisognerà analizzare il perché si sono prodotte le due disconnessioni, in particolare la seconda che ha portato al collasso del sistema”, ha segnalato Prieto. Si dovranno “verificare le cause, analizzare la potenza, l’ubicazione, le condizioni in cui si è prodotta la disconnessione”.

Ma ha anche riconosciuto come “molto probabile” che la fonte di generazione interessata dal calo sia quella solare, senza dare però ulteriori spiegazioni. Lunedì, in quei cinque secondi precedenti al collasso, che ha fatto “scomparire 15 gigawatt di elettricità dalla rete”, l’equivalente al 60% della domanda di energia spagnola – come aveva segnalato il premier – si era registrato un picco di produzione di energia solare nella zona del sudovest della Spagna, in Estremadura. E le rinnovabili stavano fornendo il 78% della domanda di elettricità del Paese. Il surplus di energia disponibile avrebbe provocato uno sbilanciamento della rete elettrica iberica, rendendo impossibile assicurare la stabilità del sistema, secondo quanto ha ipotizzato l’ex presidente di Rete Elettrica, Jorge Fabra, a Tve. Un primo squilibrio sarebbe stato assorbito dalla rete, mentre il secondo con un effetto domino, avrebbe superato la capacità di risposa del sistema, facendo crollare prima la rete spagnola e poi quella portoghese. E causando il distacco della interconnessione con la Francia.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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