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Esteri

Kamala Harris sceglie il governatore del Minnesota Tim Walz come vice

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Incassata formalmente la nomination col 99% dei 4.567 delegati dem dopo un voto virtuale durato cinque giorni, Kamala Harris ha finalmente annunciato il suo vice nella corsa alla Casa Bianca, poche ore prima di tenere insieme a lui il primo comizio di coppia a Filadelfia: Tim Walz, 60 anni, governatore del Minnesota dal 2018, dopo 12 anni come deputato al Congresso e una vita tra la Guardia nazionale, l’insegnamento e l’allenamento di squadre di football studentesco.

Un politico esperto con un’agenda progressista ma con un appeal moderato che puo’ far breccia negli elettori bianchi delle zone rurali e industriali nei vicini stati in bilico del Midwest, salvando il Blue Wall democratico necessario per vincere. “Tim è un leader collaudato che ha un incredibile curriculum di risultati per le famiglie del Minnesota. So che porterà la stessa leadership basata sui principi alla nostra campagna”, ha detto Harris dopo aver annunciato la scelta con una video chiamata a Walz. “È l’onore della vita”, ha replicato su X il governatore, scrivendo che gli ricorda “un pò il primo giorno di scuola” e lanciando l’imperativo di “unirsi per vincere”. Fuori della sua residenza a San Paul, c’era già una folla per acclamarlo.

La vicepresidente ha escluso quello che sembrava il favorito, il governatore (ebreo) della Pennsylvania Josh Shapiro, che rischiava di spaccare il partito per alcune sue posizioni: troppo filo Israele nella guerra a Gaza, poco tempestivo nel rimuovere un consigliere accusato di molestie, aperto alla scuola privata. Walz invece non ha suscitato polemiche, nè prima nè dopo, a parte quelle di Donald Trump e dei repubblicani che lo hanno dipinto subito come un “pericoloso estremista di sinistra”, al pari di Kamala, in quello che ora è “il ticket piu’ liberal della storia”.

Gli attacchi del Grand Old Party si sono concentrati sull’agenda liberal del governatore e sulla sua presunta inazione contro le proteste per la morte di George Floyd a Minneapolis, dopo le quali invece promosse la riforma della polizia statale. Dai dem invece solo un coro di lodi e apprezzamenti. Da Joe Biden (“ottima scelta”, “il ticket Harris-Walz sarà una voce potente per i lavoratori e per la classe media americana”) a Barack Obama, mentore e regista dietro le quinte della campagna di Kamala, sempre più affollata da consiglieri dell’ex presidente: “Un governatore eccezionale”, “un partner ideale” che non ha solo l’esperienza per essere vicepresidente “pronto dal primo giorno” ma anche “i valori e l’integrità per renderci orgogliosi” e la “capacità di trattare tutti con decenza e rispetto”, scrive in una nota con Michelle.

“È un democratico che incarna il cuore dell’America”, ha assicurato l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, che è stata determinante nel convincere Biden a ritirarsi e che era tra gli sponsor del suo ex deputato Walz nella corsa per il vice. Plauso anche dai sindacati, dalla sinistra dem (“scelta eccellente” per Alexandria Ocasio-Cortez, “campione della working class” per Bernie Sanders), da indipendenti come il senatore Joe Manchin (“riporterà la normalità”) e da quotidiani liberal come il Washington Post (“scelta coraggiosa e intelligente”). Walz riflette la convinzione della campagna dem che la vittoria passi dal Midwest e che Walz, pur non guidando uno stato in bilico (il Minnesota non vota un presidente repubblicano dal 1972 con Nixon), possa conquistare la working class di questa regione, contrapponendosi al senatore dell’Ohio Jd Vance, scelto come vice da Trump per lo stesso motivo. Il governatore, con la sua immagine bonaria e rassicurante dell’americano medio delle zone rurali, copre molti fianchi sul fronte politico-elettorale: ha lavorato nell’agricoltura e nel manifatturiero, come educatore e coach di football, è stato nella guardia nazionale (appeal per i veterani) ed è presidente della Democratic governors association.

Ha un volto moderato ma un’agenda progressista, dall’aborto ai diritti Lgbtq, dalla legalizzazione della marijuana al clima, dai congedi parentali retribuiti ai pasti gratis a scuola, dalla sanità alla armi (con una conversione dopo alcune sparatorie). Fino all’empatia per le proteste filo palestinesi, che può riconciliare una certa fronda dem. Infine è un ottimo comunicatore, tanto da aver coniato una definizione di successo per la coppia Trump-Vance: “Semplicemente bizzarri” “Questi continuano a parlare della classe media. Un magnate ladro dell’immobiliare e un investitore d’assalto cercano di dirci che hanno capito chi siamo? No, non sanno chi siamo”, li ha freddati in tv.

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I 5 secondi che hanno messo in ginocchio la Spagna

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Cinque secondi, il tempo di un sospiro, ma lunghissimi in termini di velocità della luce. Sono stati sufficienti per mettere in ginocchio la Spagna. E’ il lasso di tempo in cui si sono verificate “due perdite di generazione di corrente successive, che il sistema non è stato in grado di assorbire”, provocando alle 12,33 di lunedì il crollo al ‘punto zero’, il collasso totale del sistema elettrico.

La causa di quei cali di tensione, con un intervallo di appena un secondo e mezzo fra loro, seguito dopo 3,5 secondi dal collasso, è il principale nodo che si cerca di sciogliere per risalire alle origini del grande buio in cui è sprofondata ieri la penisola iberica, come ha spiegato il capo delle operazioni della Rete Elettrica Spagnola (Ree), Eduardo Prieto. “Bisognerà analizzare il perché si sono prodotte le due disconnessioni, in particolare la seconda che ha portato al collasso del sistema”, ha segnalato Prieto. Si dovranno “verificare le cause, analizzare la potenza, l’ubicazione, le condizioni in cui si è prodotta la disconnessione”.

Ma ha anche riconosciuto come “molto probabile” che la fonte di generazione interessata dal calo sia quella solare, senza dare però ulteriori spiegazioni. Lunedì, in quei cinque secondi precedenti al collasso, che ha fatto “scomparire 15 gigawatt di elettricità dalla rete”, l’equivalente al 60% della domanda di energia spagnola – come aveva segnalato il premier – si era registrato un picco di produzione di energia solare nella zona del sudovest della Spagna, in Estremadura. E le rinnovabili stavano fornendo il 78% della domanda di elettricità del Paese. Il surplus di energia disponibile avrebbe provocato uno sbilanciamento della rete elettrica iberica, rendendo impossibile assicurare la stabilità del sistema, secondo quanto ha ipotizzato l’ex presidente di Rete Elettrica, Jorge Fabra, a Tve. Un primo squilibrio sarebbe stato assorbito dalla rete, mentre il secondo con un effetto domino, avrebbe superato la capacità di risposa del sistema, facendo crollare prima la rete spagnola e poi quella portoghese. E causando il distacco della interconnessione con la Francia.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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