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Cronache

Juventus, i pm: crisi conti frutto di scelte aziendali

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“Quando il nostro giocatore peggiore guadagna come il migliore dell’Atalanta …”. Quella del direttore sportivo Federico Cherubini potrebbe essere una battuta, ma è una fotografia abbastanza nitida, secondo i magistrati che indagano sui conti della Juventus, delle origini della crisi finanziaria della società bianconera: acquisti e stipendi che, per citare l’aggettivo adoperato da un dirigente intercettato, Stefano Bertola, sono “scriteriati”. Una crescita dei costi che è frutto di “una ben precisa scelta aziendale”, come sostenevano i pm torinesi.

Quanto alle plusvalenze, hanno procurato benefici e breve termine ma hanno comportato “ammortamenti pesanti futuri”, generando una “bolla” che “si è autoalimentata nel corso del tempo”. La procura di Torino, nel documento in cui a giugno chiese al tribunale (senza esito) una raffica di misure cautelari e interdittive, parla di “situazione allarmante”. La pandemia ha inciso, naturalmente, ma con “effetti di limitato aggravamento in ordine a una situazione già compromessa”.

Del resto già il 3 settembre 2021 le microspie della guardia di finanza avevano captato Andrea Agnelli mentre ammetteva che “non era solo il Covid, perché da un lato abbiamo il Covid, dall’altro abbiamo ingolfato la macchina con ammortamenti … e soprattutto la merda, la merda che sta sotto e non si può dire”. Tanto è vero che, secondo gli inquirenti, espedienti come la ‘manovra stipendi’ erano stati pianificati “ben prima della sospensione delle partite” per l’emergenza sanitaria.

Il 15 settembre 2021, conversando con Andrea Agnelli, Cherubini afferma che ‘il progetto fatto quando abbiamo cercato di alzare il livello da Higuain in poi … era legato al fatto, mi ricordo le valutazioni, abbiamo una rosa che sta tendendo a invecchiare, o facciamo un all-in in due/tre anni oppure questa rosa non reggerà”. Cosa fu questo all-in, questa grande scommessa, i magistrati lo chiarirono il 27 settembre successivo ascoltando un’intercettazione che aveva per protagonista il manager Stefano Cerrato: “Abbiamo fatto un all-in nella stagione 18-19 con Ronaldo, De Ligt e tutto il resto. Subito dopo è arrivato il Covid. E’ stata una situazione in cui si sono presi oggettivamente dei rischi”.

Ma il 5 agosto 2021, con un’altra persona, Cherubini aveva spiegato che ‘purtroppo negli ultimi anni e’ un po’ colpa nostra. In questo Fabio ha drogato il mercato: Kulusevski o Chiesa sono ottimi giocatori ma quando li abbiamo comprati noi li abbiamo pagati troppo”. Marco Giovanni Re, nello staff dirigenziale fino al 2020, il 16 luglio 2021 chiama in causa l’operazione Arthur-Pjanic. “Ma tu pensa se uno come Arthur, che per farti la plusvalenza Pjanic hai pagato 75 milioni, adesso ti vale … ti deve andare sotto i ferri, cioè era palese, no? che non fosse uno di quella cifra lì. Adesso lo paghi”.

Bertola, mentre il 1/o agosto 2021 chiacchiera con una dipendente, se la prende con il rinnovo del contratto a Giorgio Chiellini: “se tu vedi il totale della cifra che gli abbiamo pagato tra stipendi, premi e altro, è spaventosa: no, non c’e’ criterio nel modo in cui spendiamo i soldi. Non c’e’ da stupirsi se in due anni abbiamo chiesto 700 milioni agli azionisti’.

Eppure tutto questo “non conta un cazzo”. Parola di Marco Storari, dirigente Juve, (non indagato) descritto dagli inquirenti come persona di fiducia di Agnelli: “Adesso – dice in una telefonata intercettata il 1 settembre 2021 – stiamo ripulendo tutto, tutto il marcio che c’era. Il problema è che alla Juventus non conta un cazzo … Perché se tu al presidente gli vai a dire ‘ma io ho cercato di ripulire tutto’ sì, va bene, ma dobbiamo vincere … Questa, cioè, è la filosofia della Juventus”.

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Vincenzo Nibali: «Ero un carusu dannificu. La bici mi ha salvato dalla strada»

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Messina, la Sicilia, la fatica, la gloria. Vincenzo Nibali si racconta al Corriere della Sera, tra ricordi di un’infanzia ribelle, il riscatto sulla bicicletta e la consapevolezza maturata solo dopo il ritiro. Un’intervista intensa, autentica, a cuore aperto.

Una giovinezza a rischio: «Compagni con la pistola nello zaino»

«Ero un carusu dannificu», dice Nibali, usando l’espressione siciliana per “bambino disastroso”. Uno che attirava guai: sassate alle vetrate, petardi nelle cassette postali, motorini lanciati contro i muri. Una giovinezza vissuta in un quartiere difficile di Messina, dove alcuni compagni portavano la pistola a scuola. Nessuna mafia organizzata, ma il pizzo sì: «Colpì anche la cartoleria dei miei genitori».

La salvezza arriva su due ruote: «Sempre in salita, come da Messina»

La svolta arriva con la bici, a 12 anni, grazie al padre e ai suoi amici cicloturisti. Le prime gare, l’ammiraglia della Cicli Molonia, il traghetto per Villa San Giovanni che diventava un passaggio simbolico verso il sogno. A 15 anni vince a Siena e non torna più: «Mai avuto nostalgia. I miei genitori mi dissero: se ti impongono cose sbagliate torna, qui avrai sempre un lavoro. Mi ha aiutato a non cedere al doping».

L’ascesa, la gloria, il peso della vittoria

Nibali è uno dei pochi ciclisti ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri. Il Tour de France del 2014 è stato l’apice, ma anche l’inizio di un incubo: «Non potevamo camminare con la carrozzina di nostra figlia senza essere assaliti. Solo adesso che ho smesso, vivo davvero». E confessa: «Mai provato e mai pensato di doparmi. Ma ho pagato il sospetto solo perché vincevo ed ero italiano».

La caduta che fa crescere: l’Olimpiade sfumata

Nel 2016 era lanciato verso l’oro olimpico, ma cadde in curva. «Scelsi io di rischiare, e sbagliai. Nessuna scusa». Parla anche del secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, “scippato” da un dopato, ma senza rancore: «Non mi chiedo mai quanto ho perso per colpa del doping».

Il ritorno da turista: «Messina è ‘u megghiu postu nto munnu’»

Oggi Nibali è ambasciatore del Giro e padre presente. Ha visitato la Sicilia con le figlie per farla conoscere da turista: «Antonello da Messina, i templi di Agrigento, i boschi dei Peloritani… È il posto più bello del mondo». Un campione che, a distanza di anni, può guardarsi indietro con orgoglio: «A testa alta, sempre».

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Guerra dei cassonetti ai Parioli: scompaiono i bidoni davanti a casa Castellitto

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Nel quartiere elegante e silenzioso dei Parioli esplode una singolare guerra urbana, fatta di strisce gialle, rifiuti e cortili privati. Oggetto del contendere: un set di cassonetti della raccolta differenziata, misteriosamente spariti dalla carreggiata davanti alla villa dell’attore Sergio Castellitto.

I cassonetti finiscono nel cortile dell’attore

La miccia si accende nella notte tra il 20 e il 21 aprile. I bidoni che servivano i residenti della zona vengono spostati oltre il cancello della villa in cui vive Castellitto, allineati ordinatamente nel cortile. Una rimozione anomala che di fatto priva della raccolta l’intero isolato. Le strisce gialle, predisposte per accogliere i cassonetti, rimangono desolatamente vuote.

Secondo indiscrezioni, l’attore avrebbe più volte manifestato il suo malcontento per la presenza dei contenitori davanti all’ingresso della sua abitazione, considerandoli poco decorosi. I vicini, al contrario, li ritengono un servizio essenziale, invocandone semmai una manutenzione più frequente.

Denuncia in arrivo e reazione dei residenti

A seguito dell’episodio, il quartiere insorge. I residenti, costretti a girovagare per il quartiere con buste e cartoni, scattano foto e si interrogano sul destino dei contenitori. Tra loro anche il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, recentemente trasferitosi nella zona.

Dopo poche ore, i cassonetti scompaiono anche dalla visuale del villino: né davanti al cancello né sul marciapiede. Ma non vengono ricollocati nella loro sede originaria. La vicenda, lungi dal concludersi, potrebbe ora avere conseguenze legali.

Ama pronta a sporgere denuncia

La municipalizzata dei rifiuti, Ama (foto Imagoeconomica), non intende lasciar cadere il caso. I vertici dell’azienda starebbero preparando una denuncia ai carabinieri per la scomparsa dei contenitori. Anche l’assessore al Verde del Municipio, Rosario Fabiano, si è attivato per fare luce sull’accaduto.

Il comitato Le Muse: “I cassonetti tornino al loro posto”

Dal comitato di zona Le Muse l’appello è chiaro: «Speriamo che quei cassonetti tornino al più presto al loro posto. Sarebbe grave se così non fosse. Si tratta di oggetti che appartengono alla collettività, ricordiamolo».

Intanto, nel quartiere ovattato dei Parioli, il decoro urbano si trasforma in una guerra di nervi, tra privacy e servizio pubblico, in attesa che si ristabilisca un fragile equilibrio tra rifiuti e rispetto.

 

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La madre del 17enne condannato per l’omicidio di Santo Romano: «Non è lui l’autore dei post provocatori»

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Ha deciso di rivolgersi alla polizia postale la madre del 17enne condannato a 18 anni e 8 mesi per l’omicidio di Santo Romano, ucciso nella notte tra l’uno e il due novembre scorsi a San Sebastiano al Vesuvio. Lo fa per chiedere chiarezza su una vicenda che – a suo dire – rischia di danneggiare ulteriormente il figlio.

La denuncia: «Quei post non li ha scritti mio figlio»

«Mio figlio è detenuto ad Airola, non ha accesso ai social e non è stato mai segnalato per l’uso di telefoni cellulari in modo clandestino», spiega la donna, assistita dall’avvocato Luca Raviele. E chiarisce: «Non può essere lui l’autore dei messaggi comparsi in rete dopo la sentenza». Messaggi che – accompagnati da immagini del ragazzo risalenti a mesi fa – contengono frasi provocatorie e offensive, come: «Io 18 anni e 8 mesi me li faccio seduto su un cesso».

Una pioggia di messaggi offensivi

Quei post, circolati in modo virale sui social, hanno fatto riesplodere le tensioni tra i familiari delle due fazioni coinvolte nella tragica vicenda. E la madre del minore condannato prende le distanze: «Non c’entriamo nulla. Né io, né parenti o conoscenti abbiamo scritto o condiviso quei contenuti. Spero che la polizia postale indaghi per risalire ai veri responsabili».

La notte dell’omicidio: una lite per una scarpa sporca

Tutto è iniziato in piazza Capasso, cuore della movida di San Sebastiano. Un banale litigio per una scarpa pestata ha innescato lo scontro tra due gruppi di ragazzi. Dopo un primo alterco, la situazione sembrava rientrata, ma secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – anche grazie a un video – Santo Romano sarebbe tornato indietro rivolgendosi all’auto dove si trovava L.D.M. Un gesto, forse un lancio, e poi il dramma: due colpi di pistola al petto, esplosi dal 17enne. Santo muore sul colpo.

Un processo doloroso e una sentenza pesante

Martedì scorso è arrivata la condanna in primo grado: 18 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio, tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco. L’indagine è stata condotta dal pm Ettore La Ragione della Procura per i Minori. Una sentenza che ha alimentato il dolore dei familiari di Santo Romano, un ragazzo di 19 anni, portiere di una squadra di calcio, noto nel suo gruppo per essere sempre un paciere.

Il timore di nuove tensioni

I post emersi nelle ultime ore rischiano di avvelenare ulteriormente il clima. «Non voglio neanche ripetere il contenuto di certi messaggi – spiega la madre del ragazzo – sono offensivi, gratuiti, e danneggiano mio figlio. Non possiamo permettere che a una tragedia come questa si aggiungano nuove ingiustizie». Per questo è stata sporta una formale denuncia contro ignoti: sarà ora compito degli investigatori della polizia postale stabilire chi si nasconde dietro quegli account.

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