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Esteri

Johnson vuole un accordo senza backstop, ma l’Ue chiude

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E’ ancora la questione del confine irlandese il nodo per un possibile accordo tra Londra e Bruxelles sulla Brexit, con il premier britannico Boris Johnson che, in una lettera indirizzata al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, apre a una possibile intesa sull’uscita britannica dall’Unione ma solo con un passo indietro dell’Ue sul “backstop” – il protocollo di salvaguardia per evitare un confine fisico tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord – considerato da Londra “antidemocratico e in contrasto con la sovranita’” del Regno Unito. Ma Tusk ha risposto a Downing Street chiudendo su qualunque cambiamento del meccanismo, che per l’Ue rappresenta “una garanzia” contro la reintroduzione di una frontiera. Intanto la Gran Bretagna continua il suo processo di allontanamento dall’Unione, con i ministri di Sua Maesta’ che da settembre non parteciperanno ad alcune riunioni Ue e il premier Johnson che discute con il presidente americano Donald Trump dell’accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Regno Unito. “Grande discussione con Johnson. Abbiamo parlato della Brexit e di come procedere rapidamente con un accordo di libero scambio. Non vedo l’ora di incontrarmi con Boris questa fine settimana al G7 in Francia”, ha twittato Trump. Nella lettera indirizzata a Tusk, Johnson garantisce il suo “personale impegno” sul fatto che il suo governo “lavorera’ con energia e determinazione per raggiungere un accordo” sulla Brexit entro il 31 ottobre, ma esclude che tale accordo possa comprendere il backstop.

Il primo ministro ha anche affermato che il suo sostegno rischierebbe di compromettere il processo di pace nell’Irlanda del Nord. E la paura sembra essere concreta, dopo che due uomini sono stati arrestati a Dublino nell’ambito delle indagini relative alla recente scoperta di una bomba piazzata sotto un’auto della polizia nordirlandese a Belfast. Al documento di 4 pagine di Johnson, Tusk risponde con un rapido tweet, nel quale sottolinea che “il backstop sta a garanzia che una frontiera fisica sara’ evitata sull’isola di Irlanda, a meno che e fino a quando venga trovata un’alternativa. Chi e’ contro il backstop e non propone alternative realistiche, nei fatti, sostiene la reintroduzione di una frontiera. Anche se non lo ammette”. Una dichiarazione che ha trovato il sostegno della Commissione Europea, che da’ “il benvenuto all’impegno britannico per un divorzio ordinato, che e’ nel migliore interesse sia dell’Ue che del Regno Unito”, sottolineando pero’ che “non e’ stata proposta una soluzione legale per evitare frontiere fisiche sull’isola di Irlanda”. Inoltre, secondo Bruxelles, la lettera di Johnson contiene affermazioni “non corrette” e “fuorvianti”, affermando che l’attuale intesa sulla Brexit “rispetta in pieno l’Accordo del Venerdi’ Santo, lo status costituzionale dell’Irlanda del Nord e l’integrita’ territoriale del Regno Unito”. Londra tuttavia rimane ferma sulla sua posizione: “Se non sara’ riaperto l’accordo sul ritiro, con l’abolizione del backstop, non ci sono prospettive per un accordo”, ha spiegato Downing Street, sottolineando che “siamo sempre stati chiari sul fatto che non intendiamo mettere infrastrutture, verifiche o controlli al confine” tra Eire ed Irlanda del Nord.

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Esteri

Germania, bufera in Afd per il viaggio in Russia: sospetti del Cremlino e tensioni interne nel partito di estrema destra

Il viaggio di alcuni esponenti di AfD a Soci, in Russia, fa esplodere tensioni nel partito. Der Spiegel parla di un’operazione del Cremlino per accrescere la sua influenza in Occidente.

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Secondo un’inchiesta del settimanale tedesco Der Spiegel, il viaggio annunciato da alcuni politici di Alternative für Deutschland (AfD) a Soci, nella Russia meridionale, farebbe parte di un’operazione del Cremlino per estendere la propria influenza nel mondo occidentale.
La rivista tedesca ha rivelato che per evitare imbarazzi legati a un invito ufficiale da parte delle istituzioni russe, Mosca avrebbe utilizzato un’organizzazione con sede in India come intermediario.

La divisione interna nel partito

La notizia ha provocato forti tensioni all’interno di AfD, partito di estrema destra già al centro di polemiche per le sue posizioni filorusse. La leader Alice Weidel ha preso le distanze dal viaggio, dichiarando: “Non riesco a capire cosa si debba fare lì. Io non avrei agito così”.
Dopo le sue pressioni, uno dei due parlamentari coinvolti, Rainer Rothfuß, ha deciso di rinunciare alla partecipazione.

Il caso Rothfuß e l’incontro con Medvedev

A spingere Weidel a intervenire è stato soprattutto il fatto che Rothfuß avrebbe dovuto incontrare a Soci l’ex presidente russo Dmitrij Medvedev, senza averne informato i vertici del partito al momento della richiesta di partecipazione.
La leader di AfD ha parlato di “mancanza di trasparenza” e annunciato possibili misure disciplinari, insieme a nuove regole più rigide per i viaggi all’estero dei membri del gruppo parlamentare.

Chi parteciperà al viaggio

Nonostante il passo indietro di Rothfuß, il viaggio a Soci dovrebbe comunque avere luogo. A partecipare saranno Steffen Kotré, parlamentare federale di AfD, Joerg Urban, capo del partito in Sassonia, e Hans Neuhoff, parlamentare europeo.
L’obiettivo dichiarato è quello di partecipare a un incontro “per la cooperazione internazionale”, ma secondo Der Spiegel l’iniziativa si inserirebbe in un più ampio disegno di soft power russo volto a legittimare la politica estera del Cremlino attraverso il dialogo con movimenti e partiti occidentali critici verso l’Unione Europea e la Nato.

Un nuovo fronte di tensione nella politica tedesca

Il caso rischia ora di trasformarsi in un nuovo terreno di scontro nel panorama politico tedesco. AfD, già sorvegliata dai servizi di sicurezza interni per sospetti legami con ambienti estremisti, vede aggravarsi la sua crisi interna e reputazionale, mentre l’opinione pubblica si interroga sulle strategie di influenza russa nei partiti europei più radicali.

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Trump scrive a Herzog: “Concedi la grazia a Netanyahu”. Israele diviso sulla richiesta dell’ex presidente Usa

Donald Trump chiede ufficialmente al presidente israeliano Herzog la grazia per Netanyahu, definendo “ingiustificato” il suo processo. Israele si divide tra sostenitori e oppositori del premier.

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Donald Trump torna a scuotere la politica internazionale. L’ex presidente degli Stati Uniti ha inviato una lettera ufficiale al presidente israeliano Isaac Herzog chiedendo di concedere la grazia a Benjamin Netanyahu, attualmente sotto processo per corruzione, frode e abuso di fiducia in tre distinti procedimenti.
Nel documento su carta intestata della Casa Bianca, Trump definisce Netanyahu “un primo ministro formidabile e decisivo in tempo di guerra, che ora guida Israele in tempo di pace”, sostenendo che il processo in corso sia “ingiustificato e politico”.

“Mettiamo fine a questa guerra legale”

L’ex presidente americano, che ha spesso paragonato le proprie vicende giudiziarie a una “caccia alle streghe”, ha invitato Herzog a “porre fine una volta per tutte a questa guerra legale”, ricordando che Israele “ha ottenuto successi senza precedenti e tiene Hamas sotto controllo”.
Trump, che da sempre mantiene un legame politico e personale con Netanyahu, torna così a inserirsi nel dibattito israeliano, proprio mentre il Paese cerca di consolidare una fragile tregua con Hamas dopo mesi di conflitto.

La risposta ferma del presidente Herzog

La replica di Isaac Herzog non si è fatta attendere. Il presidente israeliano, pur ringraziando Trump per “il suo incrollabile sostegno a Israele”, ha ricordato che “chiunque chieda la grazia deve presentare una richiesta formale secondo le procedure stabilite dalla legge”.
Herzog ha evitato qualsiasi commento sul merito del processo, sottolineando la necessità di rispettare la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura israeliana.

Il dibattito politico in Israele

La lettera di Trump ha immediatamente acceso un dibattito politico acceso a Gerusalemme.
Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha esortato Herzog ad accogliere la richiesta: “La grazia è la cosa giusta e urgente da fare”, ha scritto su X.
Sulla stessa linea il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar, che ha definito il processo a carico di Netanyahu “kafkiano”.
Di tutt’altro avviso il leader dell’opposizione Yair Lapid, che ha ricordato come “la legge israeliana prevede il riconoscimento della colpa e il pentimento come prerequisiti per la grazia”.

Le regole e i precedenti

I media israeliani sottolineano che il presidente può concedere la grazia solo dopo una condanna definitiva, e solo in casi eccezionali anche durante un procedimento, su richiesta della persona interessata o di un suo familiare stretto.
Secondo fonti vicine al premier, Sara Netanyahu, moglie del primo ministro, si sarebbe già mossa in tal senso, avviando contatti informali con l’ufficio presidenziale.

Gaza, la tregua e le tensioni in Cisgiordania

Mentre sul fronte politico si discute del futuro giudiziario del premier, a Gaza la tregua con Hamas appare sempre più fragile. L’esercito israeliano continua attacchi mirati contro obiettivi ritenuti “minacce”, e restano 150 miliziani intrappolati nei tunnel di Rafah.
Israele ha riaperto stabilmente il valico di Zikim per l’ingresso di aiuti umanitari nel nord della Striscia e mantiene operativo quello di Kerem Shalom al sud.

Tensione alta anche in Cisgiordania, dove si moltiplicano gli attacchi dei coloni contro i palestinesi, specie durante la raccolta delle olive. L’ultimo episodio, nei pressi di Tulkarem, ha visto decine di civili incappucciati incendiare un’azienda agricola e ferire quattro palestinesi.
Il capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha condannato duramente le violenze, promettendo di “agire con severità finché giustizia non sarà fatta”.

In questo quadro teso e incerto, l’intervento di Trump rischia di aggiungere un ulteriore elemento di pressione politica e diplomatica su un Paese già attraversato da divisioni interne profonde.

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Georgia, si schianta aereo militare turco: Ankara conferma la morte dei 20 soldati a bordo

Tragedia nei cieli della Georgia: Ankara conferma la morte dei 20 militari turchi a bordo del cargo C-130 precipitato. Indagini congiunte tra Turchia e Georgia sulle cause dell’incidente.

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Ankara ha confermato la morte dei venti soldati turchi che si trovavano a bordo dell’aereo cargo militare C-130precipitato ieri nell’est della Georgia.

Il Ministero della Difesa turco ha diffuso i nomi e le fotografie delle vittime, definendoli “eroici compagni d’armi diventati martiri l’11 novembre 2025”. Il comunicato, riportato dalla televisione statale TRT, non contiene riferimenti alle cause dell’incidente, sulle quali è stata aperta un’indagine congiunta tra Turchia e Georgia.


Le indagini sul disastro aereo

Secondo quanto riferito da Ankara, una squadra di esperti turchi ha iniziato i rilievi sui resti dell’aereo alle 6:30 ora locale (le 4:30 in Italia), in coordinamento con le autorità georgiane.

Le operazioni di recupero sono ancora in corso nell’area montuosa dove il velivolo si è schiantato, una zona di difficile accesso a causa delle condizioni meteorologiche avverse.


Il cordoglio della Turchia

Il governo turco ha proclamato lutto nazionale per le vittime, che saranno ricordate con cerimonie militari a Ankara e nelle rispettive città d’origine.
«Onoreremo per sempre la memoria dei nostri soldati caduti in servizio», ha dichiarato il Ministero della Difesa.

Le autorità georgiane hanno espresso cordoglio per l’incidente, offrendo piena collaborazione alle autorità turche per chiarire le cause della tragedia, che ha scosso profondamente entrambi i Paesi.

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