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Corona Virus

“Immunizzare gli under 50”, contro la variante Delta vaccinare i giovani

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Aumentare la copertura vaccinale completa per evitare improvvisi aumenti dei contagi – soprattutto tra le persone con meno di 50 anni – e quindi nuovi ricoveri e decessi. Contro la variante Delta parte l’allarme e la corsa all’immunizzazione delle fasce di eta’ media della popolazione. In una circolare diffusa dal ministero della Salute e firmata dal direttore della prevenzione, Gianni Rezza – che invita a vaccinare, tracciare a sequenziare – viene sottolineato che ogni allentamento durante i mesi estivi delle misure “senza un contemporaneo aumento dei livelli di vaccinazioni complete nella popolazione, potrebbe portare ad un repentino e significativo aumento dei casi Covid-19 in tutte le fasce d’eta’, soprattutto sotto i 50 anni, con un incremento associato dei ricoveri e dei decessi”. Stando alle cifre, il totale degli italiani over 12 immunizzati e’ salito al 43%. Tuttavia il gap da recuperare e’ ancora ampio: nella popolazione tra i 40 e i 49 anni solo il 31,31% e’ totalmente vaccinato e le percentuali aumentano gradualmente nelle fasce piu’ basse (21,57% nella fascia 30-39; 18,49% in quella 20-29 e 5,79% in quella 12-19). Nella fascia 50-59 anni i vaccinati sono il 52,51%, mentre in quella 60-69 anni la popolazione vaccinata e’ al 58,22%. Anche l’assessore alla Salute del Lazio, Alessio D’Amato, lancia un appello: “i casi positivi, a causa della Variante Delta, sono destinati ad aumentare, soprattutto tra chi non si e’ vaccinato o non ha ancora completato il percorso vaccinale.

La priorita’ e’ dunque vaccinarsi e mantenere alta l’attenzione sulle regole di prevenzione dal contagio, non facciamo gli stessi errori della scorsa estate”. E’ anche per questo che – secondo l’assessore – “e’ fuori luogo in questa fase parlare di nuovi richiami se non si completa prima il percorso di vaccinazione”. Il Piano ora procede ai ritmi di 500mila inoculazioni al giorno ed e’ stata raggiunta quota 57 milioni di iniezioni anti-Covid. E non sembrano esserci problemi all’orizzonte sul fronte degli approvvigionamenti. La stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha annunciato che questo fine settimana sono stati consegnati “abbastanza vaccini agli Stati membri da essere in grado di vaccinare completamente almeno il 70% degli adulti entro questo mese”.

 

Entro domani infatti saranno distribuite circa 500 milioni di dosi di vaccino in tutti Paesi dell’Unione. In Italia, tra le persone da ‘intercettare’ ci sono ancora quasi 223 mila membri del personale scolastico, i quali non hanno ricevuto neppure una dose, pari al 15,25% del totale, secondo il rapporto settimanale pubblicato sul sito del governo e aggiornato alle ore 16 di oggi. Mentre il personale sanitario e’ stato vaccinato completamente quasi al 93%. Su questo aspetto viene espressa “preoccupazione” dal sindacato infermieristico NurSind, in particolare per l’applicazione in Piemonte “della legge che prevede la sospensione per gli operatori sanitari non vaccinati”. “La domanda alla quale si deve dare una risposta politica ma nello stesso tempo anche tecnica e’: saranno sostituiti coloro i quali saranno sospesi?”, si chiede il sindacato. “Chiuderemo dei servizi per far fronte a questa importante carenza che improvvisamente e inevitabilmente si verifichera’ in un momento gia’ critico su questo fronte”. E a proposito di sospensioni, in Puglia la Regione ha stabilito che ogni Ordine professionale e tutti i datori di lavoro di strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche o private, farmacie, parafarmacie e studi professionali debbano trasmettere al dipartimento Salute regionale gli elenchi dei propri iscritti e dei dipendenti, per poter verificare quanti operatori sanitari ancora non hanno adempiuto all’obbligo di vaccinarsi contro il Covid.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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