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Il ‘vecchio amico’ Bill Gates da Xi, dopo Musk e Cook

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Tappetto rosso a Pechino per Bill Gates, ricevuto da “vecchio amico” con tutti gli onori dal presidente Xi Jinping. E’ il suo primo viaggio in Cina dal 2019 ma è l’ultimo di una serie di visite di big dell’economia Usa, da Elon Musk a Tim Cook, dopo la revoca delle restrizioni “zero Covid” che avevano isolato il Dragone per tre anni. Un ‘pellegrinaggio’ che mira a tenere aperte le porte di uno dei mercati più grandi e promettenti al mondo nonostante le crescenti tensioni commerciali e politiche con Washington, una diplomazia del capitale che, alla vigilia dell’arrivo del segretario di Stato Antony Blinken, spiazza in parte il tentativo diplomatico dell’amministrazione Biden di riallacciare il dialogo con Pechino ma di contenerne l’ascesa. “Lei è il primo amico americano che ho incontrato a Pechino quest’anno”, ha detto Xi a Gates, secondo il Quotidiano del Popolo.

“Abbiamo sempre riposto le nostre speranze nel popolo americano e sperato in una continua amicizia tra i popoli dei due Paesi”, ha aggiunto. Il fondatore di Microsoft si è detto “molto onorato” dell’incontro ed “eccitato” dal ritorno dopo quattro anni, secondo l’emittente statale Cctv. Gates è stato ricevuto come presidente della sua omonima fondazione dopo l’impegno a versare 50 milioni di dollari per una iniziativa con l’amministrazione di Pechino e la Tsinghua University volta a combattere la malaria e la tubercolosi nei Paesi più poveri. L’arrivo di Gates segue quello di altri pezzi da novanta dell’economia americana. A fine maggio era sbarcato il patron di Tesla, Elon Musk, osservando che “gli interessi degli Stati Uniti e della Cina sono strettamente legati, come gemelli inseparabili”. In marzo era stato il turno del ceo di Apple, Tim Cook, il quale aveva sottolineato che la sua società ha una relazione “simbiotica” con il Dragone, dove c’è la più grande fabbrica al mondo di iPhone. Nelle scorse settimane aveva fatto capolino anche Jamie Dimon, il ceo di JPMorgan.

Nessuno di loro è stato ricevuto da Xi ma tutti hanno dichiarato il loro ottimismo nel vasto mercato cinese. Le loro visite arrivano mentre si aggravano le tensioni politico-commerciali con gli Usa, anche se la nuova ‘guerra fredda’ non ha impedito agli scambi bilaterali di segnare lo scorso anno un nuovo record di 691 miliardi di dollari. Ma le grandi imprese americane, soprattutto quelle hi-tech, temono un rallentamento delle esportazioni verso Pechino, che resta pur sempre il terzo partner commerciale degli Usa. Colpa del giro di vite legato alla sicurezza nazionale, che ha portato a bloccare la vendita alla Cina dei semi-conduttori più avanzati e delle attrezzature per produrli. La spinta delle aziende Usa contrasta con la linea politica della Casa Bianca – condivisa ampiamente in modo bipartisan dal Congresso – di limitare una Cina sempre più autoritaria e minacciosa dall’arrivo al potere di Xi, mantenendo però canali di dialogo diretti e una collaborazione su alcuni terreni, dall’Ucraina al clima e alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale.

E’ questa la difficile missione di Blinken, che arriverà a Pechino nel fine settimana per la prima visita di un segretario di Stato Usa in cinque anni. Una visita cui seguirà probabilmente quella della segretaria al Tesoro Janet Yellen. L’obiettivo dichiarato è “affrontare le percezioni errate ed evitare gli errori di valutazione, un’intensa concorrenza richiede una diplomazia sostenuta per garantire che la concorrenza non si trasformi in scontro o conflitto”, ha spiegato Blinken, dopo aver annullato il precedente viaggio per la crisi dei palloni spia cinesi. Ma nello stesso tempo gli Usa lavorano la Cina ai fianchi, rafforzando i legami con l’India (il 22 giugno Modi è alla Casa Bianca) e con il Giappone e i suoi vicini (ieri il consigliere per la sicurezza Jake Sullivan era a Tokyo per trilaterali con Corea del Sud e Filippine).

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I 5 secondi che hanno messo in ginocchio la Spagna

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Cinque secondi, il tempo di un sospiro, ma lunghissimi in termini di velocità della luce. Sono stati sufficienti per mettere in ginocchio la Spagna. E’ il lasso di tempo in cui si sono verificate “due perdite di generazione di corrente successive, che il sistema non è stato in grado di assorbire”, provocando alle 12,33 di lunedì il crollo al ‘punto zero’, il collasso totale del sistema elettrico.

La causa di quei cali di tensione, con un intervallo di appena un secondo e mezzo fra loro, seguito dopo 3,5 secondi dal collasso, è il principale nodo che si cerca di sciogliere per risalire alle origini del grande buio in cui è sprofondata ieri la penisola iberica, come ha spiegato il capo delle operazioni della Rete Elettrica Spagnola (Ree), Eduardo Prieto. “Bisognerà analizzare il perché si sono prodotte le due disconnessioni, in particolare la seconda che ha portato al collasso del sistema”, ha segnalato Prieto. Si dovranno “verificare le cause, analizzare la potenza, l’ubicazione, le condizioni in cui si è prodotta la disconnessione”.

Ma ha anche riconosciuto come “molto probabile” che la fonte di generazione interessata dal calo sia quella solare, senza dare però ulteriori spiegazioni. Lunedì, in quei cinque secondi precedenti al collasso, che ha fatto “scomparire 15 gigawatt di elettricità dalla rete”, l’equivalente al 60% della domanda di energia spagnola – come aveva segnalato il premier – si era registrato un picco di produzione di energia solare nella zona del sudovest della Spagna, in Estremadura. E le rinnovabili stavano fornendo il 78% della domanda di elettricità del Paese. Il surplus di energia disponibile avrebbe provocato uno sbilanciamento della rete elettrica iberica, rendendo impossibile assicurare la stabilità del sistema, secondo quanto ha ipotizzato l’ex presidente di Rete Elettrica, Jorge Fabra, a Tve. Un primo squilibrio sarebbe stato assorbito dalla rete, mentre il secondo con un effetto domino, avrebbe superato la capacità di risposa del sistema, facendo crollare prima la rete spagnola e poi quella portoghese. E causando il distacco della interconnessione con la Francia.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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