Lucia Azzolina e Gaetano Manfredi, indicati dal premier come ministri di Scuola e Ricerca, sono “due nomi che ci riempiono d’orgoglio”, scrive Luigi Di Maio, leader M5S, su Fb. “Due ministeri, per ascoltare due mondi complessi – aggiunge -. L’ennesimo segnale che questo governo vuole dare, a dimostrazione del fatto che per noi scuola, università e ricerca rimangono al centro della nostra azione politica. Il Movimento e’ pienamente soddisfatto”.
“Oggi il presidente Conte ha indicato i due nuovi ministri che dopo la nomina ufficiale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella potranno entrare a far parte del governo”, ha ricordato il ministro degli Esteri. “La nostra Lucia Azzolina sara’ la nuova ministra della Scuola. Prima ancora di diventare portavoce alla Camera, Lucia ha sempre avuto a cuore le tematiche della scuola e con il suo nuovo incarico sapra’ parlare nel migliore dei modi al mondo della scuola, conoscendo concretamente tutte le problematiche – ha scritto nel post -. I complimenti a lei da tutto il MoVimento, a dimostrazione del fatto che con impegno si possono raggiungere importanti traguardi. Con lei la scuola avra’ un punto di riferimento chiaro e sempre presente”. “I nostri complimenti vanno anche a Gaetano Manfredi, Rettore dell’Universita’ degli Studi di Napoli Federico II, che sara’ il nuovo ministro dell’Universita’ e della Ricerca – prosegue -. Si tratta di una persona di indiscussa professionalita’ che conosce il mondo dell’Universita’ avendolo vissuto per anni sempre con grande impegno. Una scelta che ci rende felici anche per un altro motivo: finalmente arriva un riconoscimento alle universita’ del Sud. Lo avevamo chiesto con forza, perche’ il Sud ha tutte le potenzialita’ per rilanciarsi. Sono certo che Gaetano Manfredi sapra’ fare molto bene”.
Ecco chi sono i due nuovi ministri che si occuperanno di ricerca e scuola.
Per Gaetano Manfredi, rettore della Federico II e fratello dell’ex parlamentare del Pd Massimiliano Manfredi, quello di Conte è un bel regalo di compleanno. L’annuncio che sara’ il nuovo ministro per l’Universita’ e la Ricerca e’ arrivato a Gaetano Manfredi a poco piu’ di una settimana dal suo 56/o compleanno. A rendere la sorpresa ancora piu’ importante c’e’ il fatto che guidera’ un ministero dedicato a Universita’ e Ricerca, separato dall’Istruzione dopo un un periodo di 20 anni, interrotto solo da una breve pausa fra il 2006 e il 2008. Nato il 4 gennaio 1964 a Ottaviano, in provincia di Napoli, Manfredi si e’ laureato in Ingegneria nel 1988 nell’Universita’ Federico II. La Tecnica delle costruzioni, ingegneria civile e rischio sismico sono le sue specializzazioni. Dal 2000 ha una cattedra in Tecnica delle costruzioni nell’universita’ Federico II, della quale e’ diventato rettore nel 2014. Dal 2015 e’ presidente della Conferenza dei Rettori (Crui) e in questa veste si e’ sempre battuto a difesa dell’universita’ e della ricerca. Dopo un primo mandato di tre anni, nel 2018 e’ stato confermato nel suo ruolo.
Una preside alla guida del Miur. Lucia Azzolina, indicata come ministro dell’Istruzione, gia’ sottosegretario, ha infatti vinto il concorso per dirigente scolastico nell’estate scorsa. Ha 37 anni, e’ siciliana, vanta due lauree, in filosofia e diritto, ed e’ stata una delle artefici del Decreto scuola: come sottosegretaria alla Scuola ha infatti rappresentato il governo in Aula e in Commissione alla Camera durante la sua approvazione. E per questo, denuncio’ all’epoca, fu oggetto su Facebook di attacchi, insulti e minacce. In quell’occasione il suo predecessore e collega di partito Lorenzo Fioramonti le espresse la sua solidarieta’ ammettendo che aveva dato “un enorme contributo al Decreto Scuola”. Durante il suo incarico di sottosegretaria si e’ spesso espressa a favore dello Ius Culturae sostenendo che “non regala la cittadinanza, ma la integra” e ritenendo necessario aprire “un sano dibattito nel paese”: “dobbiamo integrare i bimbi che lo meritano, bisogna parlarne e capire anche cosa ne pensi il mondo della scuola direttamente interessato”. Lucia Azzolina ha insegnato a lungo in alcuni licei. Per anni e’ stata attiva presso il sindacato Anief, prima in Piemonte, poi in Lombardia per oltre un anno e mezzo. Una delle sue principali battaglie e’ stata quella contro “le classi pollaio” presentando a questo proposito anche un disegno di legge. Ha svolto, dopo la seconda laurea in Giurisprudenza, la pratica forense occupandosi di diritto scolastico. La parlamentare ha anche una specializzazione per insegnare Storia e filosofia e un’abilitazione all’insegnamento per gli studenti diversamente abili.
Bersani e politica che si fa con l’orecchio a terra: dallo sciopero delle prostitute ai rimpianti sullo ius soli
Pier Luigi Bersani, in un’intervista al Corriere della Sera, ripercorre episodi della sua vita politica e personale: dalle liberalizzazioni allo sciopero delle prostitute, passando per il rimpianto sullo ius soli.
Pier Luigi Bersani (foto Imagoeconomica in evidenza), ex segretario del Pd, si racconta in un’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera, ripercorrendo episodi personali e politici che hanno segnato la sua vita e l’Italia contemporanea.
Nel suo nuovo libro “Chiedimi chi erano i Beatles” (Rizzoli), Bersani intreccia la politica, le battaglie sociali e i ricordi personali, come l’episodio curioso dello sciopero delle prostitute a Piacenza negli anni Settanta e la protesta dei commercianti sotto casa dei suoi genitori a Bettola, quando da ministro avviò le famose liberalizzazioni.
L’episodio delle prostitute e la lezione sulla politica
Durante la pedonalizzazione di un tratto della via Emilia, le prostitute protestarono. Il giovane Bersani, allora responsabile cultura del Pci locale, seguì l’episodio da vicino: «Un amministratore deve avere a cuore i problemi di tutti, anche quelli più difficili», ricorda.
Le liberalizzazioni e il pullman a Bettola
Nel 1996, da ministro, la sua “lenzuolata” per liberalizzare il commercio suscitò la rabbia dei commercianti. Una delegazione arrivò addirittura sotto casa dei suoi genitori. Ma l’accoglienza calorosa dei suoi — ciambelle e vino bianco — trasformò la protesta in una festa, segnando un inatteso boomerang per i contestatori.
La sfida canora con Umberto Eco
Bersani racconta anche della famosa sfida canora al convegno di Gargonza nel 1997, quando sconfisse Umberto Ecointonando canti religiosi: «Da noi era obbligatorio fare i chierichetti, non iscriversi subito alla Fgci».
Il rimpianto dello ius soli
Se fosse diventato premier nel 2013, Bersani avrebbe voluto introdurre lo ius soli con un decreto legge già alla prima seduta del Consiglio dei Ministri. Un rimpianto che ancora oggi pesa: «Se parti dagli ultimi, migliori la società per tutti».
I 101 e la caduta di Prodi
Bersani ammette di conoscere l’identità di circa «71-72» dei famosi 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodinella corsa al Quirinale. «C’erano renziani e non solo. Alcuni mi confessarono la verità piangendo».
Il rapporto con la morte
Dopo un grave problema di salute nel 2014, Bersani parla della morte con una serenità disarmante: «È più semplice di quanto pensassi. È la vita che si riassume in quell’istante». La sua fede è ora una ricerca continua: «Chi ha già trovato dovrebbe continuare a cercare».
Giorgia Meloni: Italia protagonista nel mondo, ma serve concretezza e prudenza
In un’intervista al Corriere della Sera, Giorgia Meloni racconta i suoi impegni internazionali, il rapporto con Trump e annuncia nuove misure per la sicurezza dei lavoratori.
In una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha raccontato i quindici giorni intensi che l’hanno vista protagonista sulla scena mondiale: dall’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump fino alla gestione dell’imponente cerimonia dei funerali di Papa Francesco a Roma.
Meloni ha sottolineato la perfetta riuscita organizzativa dei funerali, apprezzata da tutti i leader internazionali presenti: “È stato un grande lavoro corale, fatto di tante mani preziose”, ha detto, mantenendo però un approccio umile: “Io non sono mai soddisfatta, penso sempre che si possa e si debba fare di meglio”.
Nessun vertice politico ai funerali del Papa
Meloni ha precisato di non aver voluto trasformare il funerale del Papa in un’occasione di vertici politici: “Non avrei mai voluto distrarre l’attenzione da un evento così solenne”. Tuttavia, ha definito “bellissimo” il faccia a faccia spontaneo tra Trump e Zelensky a San Pietro, considerandolo “forse l’ultimo regalo di Papa Francesco”.
La sfida: riavvicinare Usa ed Europa
Nell’intervista, Meloni ha ribadito la necessità di rinsaldare l’alleanza atlantica e riavvicinare Stati Uniti ed Europa: “Il mondo cambia a una velocità vertiginosa, servono dialogo, studio e preparazione”, ha detto. Ha anche confermato che sono in corso contatti per un possibile incontro tra Trump e i vertici europei, anche se i tempi non sono ancora maturi: “Non importa se sarà a Roma o altrove, l’importante è ottenere un risultato concreto”.
L’amicizia con Trump e l’interesse nazionale
Meloni ha respinto le critiche di chi le rimprovera un rapporto troppo stretto con Trump: “Noi non siamo filoamericani, siamo parte dell’Occidente. Difendiamo il nostro interesse nazionale, indipendentemente da chi governa negli altri Paesi”.
Sul futuro, la premier ha affermato: “La sfida americana può essere un’opportunità anche per l’Europa, per tornare a crescere e innovare”.
L’Italia sulla pace in Ucraina
Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’Ucraina e all’ipotesi di un cessate il fuoco incondizionato: “Siamo contenti che Zelensky si sia mostrato disponibile, ora è la Russia che deve dimostrare volontà di pace”. Ha inoltre ricordato la proposta italiana di un modello di garanzia ispirato all’articolo 5 del Trattato Nato, anche al di fuori del perimetro Nato.
Nuove misure per la sicurezza sul lavoro
In vista del Primo Maggio, Meloni ha annunciato nuove iniziative concrete per migliorare la sicurezza dei lavoratori: “Stiamo lavorando a un piano importante, in dialogo con sindacati e associazioni datoriali, per combattere il dramma quotidiano delle morti sul lavoro”.
I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.
“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.
“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.
Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.