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Il ponte Morandi crolla e fa strage, Genova conta oltre 40 morti sotto i piloni di cemento armato

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Erano le 11.36. Di martedì. Vigilia di ferragosto. Gente in marcia verso le vacanze. Sotto una pioggia intensa. Chi passa sul Ponte Morandi non si accorge di nulla. Nessuno segnale premonitore che sta per venire giù tutto. Il ponte crolla. Alla Protezione civile spiegano che il cedimento è strutturale. Non avviene dal basso, dal pilastro centrale, ma dal punto più alto, dagli stralli. I grandi sostegni laterali che ai genovesi suscitavano paragoni orgogliosi con il ponte di Brooklyn sono quelli che hanno ceduto e fatto crollare il ponte. Cade una campata e poi a domino vieni giù tutto. Quansi 200 metri di carreggiata a centro metri di altezza. Ad avvisare i soccorsi sono i residenti che abitano nei palazzi sotto il ponte. Alcuni di loro vedono il crollo in presa diretta. Sotto quella massa enorme di cemento armato sono rimaste sepolte auto, furgoni, camion, intere famiglie. Quasi tutti morti schiacciati. Il bilancio provvisorio dopo meno di 24 ore è di 42 morti. Ma non è detto che non ce ne siano altri. Come non è detto che non possa esserci sotto il cemento armato ancora qualcuno in vita. 

In mezzo a quei blocchi giganteschi di cemento armato e ferro si intravedono auto accartocciate che renderanno difficile non tanto la identificazione quanto la ricomposizione dei corpi.
Ponte Morandi era una sorta di tangenziale di Genova. Legava il nord al sud della città. Collegava più quartieri. Era molto più di un cavalcavia, era l’identità di Genova. Avrebbe compiuto 51 anni il prossimo 4 settembre. Nel 1967 lo inaugurò il presidente Saragat, tagliando un nastro piazzato all’altezza del pilone centrale, quello che adesso non c’è più. Il ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini lo definì un simbolo dell’ Italia che avanzava, “opera imponente e moderna che merita riconoscimento unanime per le sue caratteristiche ardite”. Un’opera troppo ardita. “Il ponte Morandi è un fallimento dell’ingegneria” aveva denunciato due anni fa Antonio Brencich, docente di Costruzioni in cemento armato presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova. In un’intervista rilasciata all’emittente Primocanale aveva detto. «Quel ponte è sbagliato. Prima o poi dovrà essere sostituito. Non so quando. Ma ci sarà un momento in cui il costo della manutenzione sarà superiore a quello della sostituzione. Alla fine degli anni Novanta erano già oltre l’80 per cento del costo della costruzione».

Ebbene quel ponte malato ogni giorno vedeva passavare 75 mila veicoli. Era lo snodo per tutta la viabilità del Nordovest. E da tempo si discuteva della sua inadeguatezza, sulla sua usura. La Società Autostrade aveva assegnato un appalto da 20 milioni di euro per interventi urgenti proprio in quel tratto del ponte Morandi, ed è facile prevedere che l’inevitabile inchiesta della procura partirà proprio da qui, dall’ultimo di una serie infinita di rattoppi. Forse non c’era bisogno di rattoppi, quand’anche costosi, ma di abbatterlo e ripensare un’altra viabilità, un altro collegamento.
Le voci sotto le macerie si spengono presto. Sono quelle degli automobilisti che percorrevano la strada più in basso. Una parte del ponte si abbatte su un capannone dell’ Amiu, l’azienda di raccolta dei rifiuti. Due suoi dipendenti sono appena saliti sul loro furgone per entrare in servizio. Quando li ritrovano, le luci della vettura sono ancora accese. Non hanno fatto in tempo a mettere in moto. Sono loro le prime due vittime. Ne seguiranno altre 29, il bilancio ufficiale si ferma a quota 42. Ma sono numeri ancora provvisori. Il bilancio di sangue è destinato a salire. L’enormità di quel che è accaduto è evidente da subito, le immagini che fanno il giro del mondo lasciano senza parole, o almeno dovrebbero. La diocesi di Genova apre le porte agli sfollati, una ventina di abitanti del quartiere si rifugia nella chiesa più vicina mentre gli altri raggiungono il centro sportivo di Sampierdarena, a un chilometro di distanza, messo a disposizione dal Comune. Le amministrazioni di Milano, Torino, Firenze, Napoli chiamano per offrire aiuto, mentre la circolazione intorno a Genova impazzisce. Sul luogo della tragedia ci sono i soccorsi. Una macchina sempre generosa, quasi perfetta quando si tratta di emergenze. Ci sono tutti a scavare, a raccogliere morti, mettere in sicurezza l’area, evacuare palazzi (almeno 11) sotto quel che resta del ponte Morandi. 
Marco Bucci, sindaco di Genova, è in prima linea nei soccorsi. E pensa a come far funzionare la città senza il Ponte Morandi. Anche quella è un tragedia. “Ho pensato che fosse crollato un cornicione del ponte” ma poi quando Bucci ha visto le immagini del pilone crollato che gli arrivavano sul telefonino , ha confessato “di avere pensato alle Torri Gemelle”. Un attentato. Vengono fatte chiudere le utenze di gas e elettricità nel raggio di due chilometri, gli uffici della Protezione civile regionale diventano il punto di smistamento dei soccorsi che arrivano da mezza Italia. Ma il sindaco manager non è uomo da lacrime. “Bisogna pensare a ricostruire subito, senza parlare di attese lunghe anni. Onoreremo le vittime, certo. Ma non vogliamo dire che la città è in ginocchio e non dobbiamo cedere all’autocompatimento, a pensare che siamo disgraziati.
Dobbiamo fare le infrastrutture, presto e bene, perché l’ ultimo metro di autostrada a Genova è stato fatto nel 1977. Dobbiamo pensare al futuro, senza piangerci addosso”.
I vigili del fuoco hanno scavato un cunicolo che corre ai piedi del monolite alto trenta metri caduto dal cielo. A percorrerlo, guardando travi di cemento spesse quattro metri spezzate a metà, dalle quali spuntano rondini d’acciaio contorte, una scena dove ogni maceria è fuori scala, viene davvero da chiedersi come sia potuto accadere. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si guarda intorno incredulo. Gli indicano il pezzo di ponte lungo venti metri crollato tra i binari e un capannone per fortuna deserto. Lì sotto c’è il cratere, ancora irraggiungibile, dove son sepolte ancora tante auto.

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Legambiente, eventi meteo estremi raddoppiati in Italia

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E’ allarme eventi meteo estremi in Italia. A lanciarlo è Legambiente che ha calcolato dall’inizio del 2023 un aumento del 135% rispetto a quelli di inizio 2022: da gennaio a maggio, sono stati 122 contro i 52 dello stesso periodo dell’anno scorso. Secondo un’indagine commissionata da Greenpeace, 4 italiani su 10 hanno paura dei cambiamenti climatici. E se la scienza ricorda che all’origine ci sono i gas serra, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto ha espresso “l’auspicio di abbandonare il carbone entro il 2024 se i prezzi del gas tengono”, comunque l’intenzione è di non usarlo più dal 2025. Poi sarà la volta del petrolio e del gas che deve accompagnare i fossili verso la discesa. E per aiutare l’Ambiente bisogna partire dalle città da cui proviene il 70% delle emissioni nocive, bisogna “eliminare velocemente auto euro 1 e euro 2, se pensiamo che una euro 2 inquina 28 volte una euro 6”. Nella Giornata mondiale dell’Ambiente, la 50/a quest’anno, dedicata dall’Onu alla lotta alla plastica, il Wwf ricorda che oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica invadono ogni anno terra e mare e che l’Italia è tra i peggiori Paesi inquinatori che si affacciano sul Mediterraneo.

In casa nostra si cerca di prevenire tanti disastri naturali. Quest’anno, ricorda Legambiente “gli allagamenti da piogge intense sono la tipologia” di eventi estremi che si è verificata con più frequenza con 30 episodi contro i 16 dei primi 5 mesi del 2022, segnando un +87,5%. Le regioni più colpite sono Emilia Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia e Toscana. “Bisogna invertire al più presto la rotta” avverte il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, commentando i dati dell’Osservatorio Città Clima e chiedendo “al governo Meloni un’assunzione di responsabilità perché per affrontare il tema della crisi climatica serve una decisa volontà politica con interventi concreti per riparare gli errori del passato come ad esempio tombare i fiumi, costruire in aree non idonee o in prossimità dei corsi d’acqua.

I primi strumenti sono proprio il piano di adattamento al clima e le risorse per attuarlo, l’aggiornamento del Pniec, una legge contro il consumo di suolo”. Sul Piano nazionale e integrato per l’energia e il clima Pichetto ha assicurato che sarà pubblicato entro fine giugno. Anche il Papa si è espresso oggi sollecitando “più alleanza tra essere umano e ambiente”. E la premier Giorgia Meloni, parlando al Tink tank Futuro Italia remind, ha spiegato che “una delle sfide cruciali che abbiamo davanti è saper coniugare sostenibilità ambientale – che non può essere considerata teoria astratta – e sviluppo economico, unendo la conservazione dell’ambiente alle attività dell’uomo”. Dunque “accompagnando le famiglie, le imprese e i cittadini verso la transizione verde senza per questo consegnarci a nuove dipendenze o distruggendo intere filiere produttive”.

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Italia e Paesi Med, ‘aiuti Ue per siccità e alluvioni’

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I campi italiani passati in poco più di mese dalla siccità alle alluvioni di una delle Regioni più produttive del Paese. La Spagna e il Portogallo fiaccate da due anni senza precipitazioni. La Francia, potenza agricola del Continente, con due terzi delle acque di falda a livelli critici. E’ l’emergenza che spinge i quattro Paesi a unire le voci e chiedere all’Ue aiuti straordinari per salvare l’agricoltura in ginocchio. E, in un documento congiunto discusso a Bruxelles, le delegazioni propongono di usare la riserva della politica agricola comune e di “aumentare il livello dei tassi di pagamento anticipato ad almeno il 70% nel caso degli aiuti diretti e ad almeno l’85% per gli aiuti concessi nell’ambito dello sviluppo rurale” della Pac. “Il governo è impegnato sul piano interno e internazionale a individuare tutte le risorse disponibili per affrontare la fase emergenziale” delle alluvioni in Emilia-Romagna e “quella strutturale per la ricostruzione”, ha sottolineato il ministro italiano, Francesco Lollobrigida, a margine dei lavori durante i quali molti colleghi hanno espresso solidarietà all’Italia per le vite umane perse e per i danni.

Mentre la riunione era ancora in corso, il ministro è dovuto rientrare in Italia, e a spiegare la posizione italiana è rimasto il vice-ambasciatore presso l’Ue, Stefano Verrecchia. Roma, ha fatto sapere, chiede l’intervento Ue a sostegno in particolare di frutteti, colture in serra, vigneti e allevamenti, che necessitano di sforzi eccezionali. Nella riserva di crisi Pac, che vale circa 450 milioni l’anno, restano però solo 250 milioni, come ha specificato il commissario Ue all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski. “A giugno proporremo la distribuzione della rimanente parte della riserva di crisi per i restanti 22 Stati membri”, ha spiegato il politico polacco, indicando che Bruxelles terrà “conto dei Paesi nei quali gli agricoltori sono stati più colpiti”. La riserva è stata già usata quest’anno per oltre 17 milioni per l’emergenza aviaria in Polonia, 27,7 all’Italia per lo stesso motivo, 156 milioni impegnati per la crisi dei prezzi dei cereali innescata dalle importazioni di grano ucraino in Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Slovacchia. “Abbiamo messo in evidenza che il fondo di riserva Pac non è sufficiente se vogliamo affrontare in modo strategico le avversità climatiche”, è tuttavia il parere di Lollobrigida. Una possibile sponda potrebbe allora arrivare dalla Croazia, che ha proposto di cominciare già da ora una riflessione per migliorare gli attuali strumenti di gestione delle crisi dell’agricoltura, come parte della futura Pac. A tenere banco alla riunione dei ministri Ue è stato poi l’impatto delle nuove – e ancora tutte in discussione – norme sugli imballaggi per il settore alimentare. Per l’Italia i nodi da sciogliere sono ancora diversi, pur senza l’intenzione di respingere la proposta. “Per fare le cose bene ci vuole tempo, e – ha avvertito Lollobrigida – la fretta o i tentativi di fare bella figura con annunci e aut-aut di questi giorni, come ci è sembrato abbia fatto Timmermans, non è il metodo vincente” e per questo viene “respinto” da Roma. Un’allusione diretta alle parole rivolte dal vicepresidente della Commissione europea agli eurodeputati la scorsa settimana, quando aveva ventilato l’ipotesi di non presentare le proposte sul nuovo biotech agricolo, molto attese dal settore, se non ci saranno progressi sui dossier pesticidi e biodiversità.

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Acqua verde a Venezia, si cercano le cause

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Il primo pensiero è andato a una delle ormai frequenti azioni “dimostrative” a base di vernici contro monumenti e fontane d’Italia, in nome della tutela dell’ambiente. O forse a uno dei troppi atti di vandalismo e maleducazione da parte di qualche turista. Un ennesimo sfregio alla delicata bellezza di Venezia, quello notato stamani nel cuore della città, poco sotto il Ponte di Rialto, dove in molti hanno segnalato la presenza di una chiazza color verde fluorescente, e si sono susseguite le ipotesi su cause e motivi. A segnalarla, intorno alle ore 9:30, sono stati alcuni cittadini, che hanno avvisato la Polizia locale. Ma a differenza di altri blitz ecologisti, non c’è stata alcuna rivendicazione dell’atto. La città lagunare, come ogni domenica, era presa d’assalto dai turisti, e oggi ha anche ospitato la ‘Vogalonga’, una regata non competitiva lungo la Laguna, con quasi 2.000 barche a remi che hanno attraversato anche il Canal Grande e sfiorato la ‘macchia’ fosforescente. Come per altri casi di questo genere, è scattata la caccia ai responsabili, ma soprattutto ad accertare se quel liquido potesse essere tossico o comunque dannoso per le acque lagunari.

Il Prefetto, Michele Di Bari, ha convocato una riunione urgente in Questura, con forze dell’ordine, polizia locale, vigili del fuoco e Agenzia regionale per l’ambiente, che hanno eseguito i prelievi in acqua. Dai primi dati quello versato a Rialto sarebbe una sorta di “tracciante” assolutamente innocuo, la cosiddetta ‘fluorescina’ ovvero un liquido che viene immesso nelle tubature o negli scarichi urbani in caso di una perdita d’acqua, per comprenderne il tragitto. Nessuna situazione di pericolo, dunque, per la salute della popolazione. Allarmi per una situazione del genere si erano verificati non molto tempo fa in una roggia di Rozzano (Milano), e qualche anno prima sul Lago di Como, dove si stavano svolgendo dei lavori alle fognature. In ogni caso Di Bari, d’intesa con il questore lagunare, Michele Masciopinto, ha disposto un’intensificazione della vigilanza in ambito lagunare, per monitorare eventuali criticità e prevenire ulteriori episodi analoghi. Mentre le ricerche proseguono, una nuova riunione è stata convocata per domani. La chiazza verde comparsa oggi ha fatto tornare a galla dagli archivi una provocazione artistica quasi identica, datata 1968, fatta sempre a Venezia in nome della salvaguardia dell’ambiente, nell’ambito della Biennale d’Arte.

Fu l’artista argentino Nicolas Garcia Uriburu che, a bordo di un’imbarcazione, percorse tutto il Canal Grande gettando in acqua un pigmento che rendeva fosforescenti i microrganismi presenti nell’acqua, rendendola di un color verde fosforescente. La sua arte era ispirata al movimento della ‘Land Art’, che vide come esponenti Oppenhiem e Christo. Un’operazione spettacolare, che invitava a prendersi cura dell’ambiente, usando un colore, il verde appunto, simbolo dell’ecologia universale, e che Uriburu ripetè più volte nella sua carriera fino alla sua morte, avvenuta nel 2016. Altre performance simili furono portate a termine nel 1989, quando a venire colorata in verde fu l’acqua di una delle fontane che circondano la piramide del Grand Louvre, e quella della fontana del Trocadero, a Parigi. Un esperimento che venne ripetuto nelle acque dell’East River a New York. Sul Riachuelo, un piccolo affluente del Rio della Plata a ridosso del quartiere de La Boca, a Buenos Aires, la performance venne realizzata in collaborazione con Greenpeace per la Giornata mondiale dell’acqua, nel 2010. Nel settembre 2011 gettò colorante verde sul fiume Weser a Brema (Germania).

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