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Esteri

Il nuovo ordine mondiale di Joe Biden

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In pochi giorni Joe Biden ha riscritto e delineato i confini e le regole di un nuovo ordine mondiale, costruito a sua immagine e somiglianza. Dalle suggestive scogliere della Cornovaglia fino a villa La Grange a Ginevra, passando da Bruxelles, il presidente Usa ha chiarito i punti centrali della nuova politica estera americana coinvolgendo e arruolando il G7, l’Ue, la Nato in chiave anticinese e riavviando, con un colpo da maestro, un nuovo dialogo con la Russia del ‘killer’ Vladimir Putin, pur non risparmiando a Mosca critiche e richiami, a cominciare dal caso Navalny. I parametri e le priorita’ sono chiari: rispetto profondo dei diritti umani e dei valori delle democrazie liberali occidentali, ritorno del multilateralismo e di un forte rapporto con l’Europa, centralita’ della Nato, lotta serrata contro i cambiamenti climatici, progetti comuni contro il Covid, individuazione netta del ‘nemico’ numero uno dei prossimi anni, la Cina di Xi Jinping. Tutto questo seppellendo i quattro anni della controversa attivita’ internazionale di Donald Trump. Il nuovo ordine mondiale di Biden gira naturalmente intorno alla visione e agli interessi americani e gli alleati di Europa e Nato hanno condiviso il nuovo duro approccio di Washington contro Pechino in cambio del ritorno del dialogo transatlantico, della tregua dei dazi con l’Ue e la fine del contenzioso Boeing-Airbus, delle rassicurazioni sull’articolo 5 dello statuto dell’Alleanza Atlantica (quello della mutua difesa) che Trump aveva spedito in soffitta. La nuova ‘lega delle democrazie’ voluta da Biden ha evidentemente una forte trazione americana ed e’ tutta da verificare la capacita’ europea di gestire le diverse sensibilita’ che ha nei confronti di Pechino. I grandi Paesi Ue, a cominciare dalla Germania, hanno forti interessi economici e stretti rapporti commerciali con Pechino e si sarebbero risparmiati volentieri alcuni dei toni aspri voluti dagli Usa nei comunicati finali di G7 e Nato. L’Italia di Mario Draghi e’ sembrato il Paese piu’ vicino alla visione di Biden. Berlino e Parigi, pur convinti della necessita’ di una presa di posizione nei confronti di Pechino, hanno cercato di limare fino a dove hanno potuto. La situazione si riproduce con la Russia di Putin, basta pensare al gasdotto Nord Stream 2 e agli stretti legami commerciali di Berlino con Mosca. Detto questo, l’Europa non deve sottovalutate la novita’ dell’approccio di Biden che, contrariamente a quello che avevano fatto tutti i precedenti presidenti americani, ha scelto di avviare un dialogo con l’Ue e non coi suoi Paesi membri principali. Ne sara’ soddisfatto Henry Kissinger che, se vorra’, finalmente avra’ un numero di telefono da chiamare per parlare con l’Europa. Biden ha, in realta’, offerto agli europei una grande occasione per accelerare la loro crescita e costruire una vera Unione Europea con concrete politiche comuni a cominciare dalle questioni internazionali e di sicurezza. Nell’idea del nuovo ordine mondiale di Biden e’ chiaro chi sara’ il nemico, la Cina, ed e’ chiaro chi dovra’ essere l’alleato numero uno, l’Unione Europea. Il vero colpo di scena, il presidente Usa lo ha lasciato per l’ultimo incontro del suo articolato tour europeo, il vertice con Putin in quella Ginevra che ha fatto da testimone alla storia di grandi summit tra Washington e Mosca, a cominciare da quello tra Reagan e Gorbaciov che diede il via alla fine della Guerra Fredda. Dopo averlo chiamato ‘killer’ e aver mostrato i pugni al vertice della Nato, Biden ha fatto ripartire il dialogo con Mosca con aperture reciproche e imprevedibili qualche settimana fa su dossier scottanti. Certo Biden non ha risparmiato critiche e punture di spillo a Putin, a cominciare dalla questione Navalny e dei diritti umani. Ma questo era il minimo. Putin e’ stato al gioco. Anche lui ha bisogno di distaccarsi dal pressing cinese. Biden riparte per Washington avendo compiuto la sua missione. In Europa sono tutti contenti. A Pechino un po’ meno.

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Maradona, nuove rivelazioni dal processo: «Luque vietò l’ingresso ai medici chiamati dalle figlie»

Il chirurgo che seguì Diego negli ultimi giorni avrebbe impedito le valutazioni cliniche dopo l’intervento alla testa.

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Durante il processo per la morte di Diego Armando Maradona, il dottor Fernando Villarejo, capo del reparto di terapia intensiva della clinica Olivos, ha rilasciato dichiarazioni importanti e potenzialmente decisive. Secondo il medico, Leopoldo Luque, il neurochirurgo a capo del team che seguì Maradona negli ultimi giorni, avrebbe impedito l’accessoad altri specialisti che volevano visitare l’ex campione dopo l’intervento alla testa del 3 novembre 2020.

Medici bloccati all’ingresso: «Chiamati dalle figlie»

Villarejo ha precisato che i medici esclusi erano stati convocati dalle figlie di Maradona, tra cui il dottor Mario Schitere una psichiatra. Il loro compito era valutare la possibilità di un trasferimento del paziente in una struttura di riabilitazione, data la complessità della sua condizione clinica.

«Luque ha vietato l’ingresso ai medici che dovevano valutare Maradona», ha dichiarato Villarejo in aula, definendo il divieto «strano e intempestivo».

Cartella clinica: «Pluripatologie di difficile controllo»

Nonostante il divieto, il dottor Villarejo è riuscito comunque a consultare la cartella clinica di Maradona, dalla quale ha tratto conclusioni preoccupanti: il paziente era ancora in condizioni critiche, affetto da patologie complesse e difficili da gestire.

«Era un paziente molto complesso», ha spiegato, «e necessitava di un monitoraggio costante e di interventi mirati, che forse non gli sono stati garantiti».

Un processo che riaccende i riflettori sulla gestione medica

Le parole di Villarejo si inseriscono in un processo delicato, che mira a chiarire eventuali responsabilità e negligenzenella gestione sanitaria del più grande calciatore argentino. Il comportamento di Luque e le decisioni prese nei giorni successivi all’intervento chirurgico saranno al centro dell’analisi dei giudici.

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La crociata di Ursula contro ‘i populisti filo-Putin’

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Lontano dalle suggestioni populiste, fermamente contro gli “estremisti di destra e di sinistra che non sono a favore della pace ma sono amici di Putin”, per usare le parole di Ursula Von der Leyen. E’ il Partito popolare europeo che si è ritrovato al Congresso di Valencia forte di una stagione di successi elettorali, a trazione sempre più tedesca, convinto di essere il motore propulsore di un’Europa che vuole rilanciarsi ed essere sempre più protagonista anche fuori dai confini dei 27. L’Europa disegnata dai popolari è un’entità politica capace di difendere i propri interessi nei confronti dell’alleato tradizionale, gli Usa, ma anche in grado di aprirsi nei confronti dei mercati emergenti, dalla Cina all’India, dall’Australia ai Paesi del Mercosur. Impegnata a voltare pagina sul fronte della difesa comune, della crescita e della lotta ai clandestini. L’asse formato da Ursula Von der Leyen, l’applauditissimo cancelliere in pectore Merz e il neo eletto presidente del partito, Manfred Weber tiene banco e dà la linea. “L’Europa è la nostra casa. E la nostra prima missione è proteggere il luogo che tutti chiamiamo casa”, ha sintetizzato Ursula Von der Leyen.

“Abbiamo vinto le ultime europee – ha detto Manfred Weber – grazie all’allargamento della famiglia del Ppe: non sono più conservatori o liberali ma stanno con noi. Il Ppe è il partito dell’Europa, dello stato di diritto. Viktor Orban se ne andrà in pensione e la nuova Ungheria sarà popolare”, ha aggiunto Weber tra gli applausi. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha concordato sulla necessità per l’Unione europea di “voltare pagina”, a partire dalla lotta contro l’eccesiva burocratizzazione legislativa. E soprattutto chiudendo quanto prima la stagione del Green Deal, lasciandosi alle spalle “quella visione di Timmermans e di Greta Thunberg che – ha osservato il leader azzurro – aveva creato una sorta di dea natura, una forma di panteismo che non teneva conto della presenza dell’uomo, facendo perdere decine se non centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Dalla pace in Ucraina, alla tensione con Trump sui dazi, dalla lotta contro l’immigrazione clandestina alla partita sulla crescita, il Ppe serra le file sulla responsabilità della leadership europea, consapevole che l’Unione, con i suoi valori e la sua storia, è destinata ad avere un ruolo centrale, in prima fila, nel mondo del futuro. L’Europa a guida popolare lancia poi un monito a Trump: “I mercati globali – ha ammonito Von der Leyen – sono scossi dall’imprevedibile politica tariffaria dell’amministrazione Usa. I loro dazi sul resto del mondo sono ai massimi da un secolo a questa parte. Le tariffe sono come le tasse. Fanno male sia ai consumatori che alle imprese. Non possiamo e non dobbiamo permettere che questo accada”.

Un partito popolare e una Commissione europea che oggi può incassare la discesa in campo di una sua nuova e fondamentale supporter, la Germania a guida Merz, il cui intervento è stato quello più applaudito nella sede della Fiera di Valencia. “Se altri Paesi mettono in discussione la legittimità della difesa dei confini e della sovranità – ha ammonito Merz – noi lotteremo ancora più forte a favore di questi valori”. Molto determinato anche sul dossier difesa: “Dobbiamo lavorare insieme come mai prima, con una sola voce, soprattutto sulla difesa: dobbiamo essere pragmatici nel nuovo progetto. Tutto deve avvenire nella cornice Nato ma dobbiamo essere capaci di difenderci meglio che nel passato”, ha concluso tra gli applausi.

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Tre morti in una sparatoria in Svezia, caccia al killer

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Una sparatoria davanti a un barbiere in pieno centro, tre morti a terra, l’aggressore in fuga. La città universitaria di Uppsala, in Svezia, è sotto shock. Alle 17:04 è scattato l’allarme con molte segnalazioni di spari uditi nel centro abitato a 70 km a nord di Stoccolma. Sul posto sono intervenuti i soccorritori e la polizia e, secondo diverse testimonianze, tre ambulanze si sono allontanate a sirene spiegate. Attorno alle 19:30 la polizia ha dichiarato che le vittime sono tre e di non averle ancora indentificate. “Si indaga per omicidio”, si legge sul sito internet della polizia. Un testimone ha detto al quotidiano Aftonbladet di aver visto un uomo su un monopattino elettrico pochi istanti prima della sparatoria: poi ha sentito gli spari e si è rifugiato in un locale nelle vicinanze.

“Stiamo lavorando a pieno ritmo e abbiamo molto lavoro da fare”, ha dichiarato il portavoce della polizia Magnus Jansson Klarin. Gli agenti confermano che sono giunte segnalazioni di un uomo con una maschera che si è allontanato dalla scena a bordo di un monopattino e che stanno cercando una o più persone. Una grossa area attorno alla scena del crimine è stata transennata mentre in serata era ancora in corso una maxi caccia all’uomo con l’ausilio di un elicottero, droni e diverse unità cinofile. Le ricerche sono ancora più complesse dalla vigilia di Valpurgis, una festività svedese particolarmente sentita nella città universitaria di Uppsala che annualmente si trasforma in un enorme festival studentesco.

Per le strade ci sono dunque più persone del solito ma per la polizia non sarebbero in pericolo: “In questo momento non riteniamo che ci sia un pericolo per il pubblico. Ci tengo a sottolinearlo visto che molte persone sono in giro per i festeggiamenti”, ha aggiunto Jansson Klarin, citato da Aftonbladet. “Questo è avvenuto mentre Uppsala stava iniziando i festeggiamenti di Valborg”, ha dichiarato il ministro della giustizia svedese, Gunnar Strömmer. “Ciò che è successo è estremamente grave. Il ministero di giustizia tiene uno stretto contatto con la polizia e segue con attenzione gli sviluppi” ha aggiunto Strömmer, citato dalla radio pubblica Sveriges Radio. Il quartiere dove è avvenuta la sparatoria è molto tranquillo, un misto di zona residenziale e negozi a poca distanza dalla stazione ferroviaria e non è nota per episodi violenti in passato.

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