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Cronache

Il governo avvisa Ue, presto norme autonome su migranti

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Contro i trafficanti e la tratta di esseri umani nel Mediterraneo il governo non cambia rotta: in Italia si entra solo legalmente. Giorgia Meloni, parla anche di migranti sfogliando sui social gli appunti nella sua agenda. Ma la premier va oltre e lancia un implicito monito a Bruxelles: anche senza un’intesa europea l’esecutivo già la prossima settimana si metterà autonomamente al lavoro su nuove norme contro gli sbarchi. Notizia confermata dal sottosegretario all’Interno, Nicola Molteni: “Se l’Europa non ha consapevolezza che il tema va affrontato assieme – spiega il dirigente leghista – il governo italiano nei prossimi giorni dovrà valutare anche dei provvedimenti di carattere normativo. I numeri degli sbarchi non ce li possiamo permettere, il sistema di accoglienza è al collasso”.

Un pungolo all’Unione europea a far presto, proprio nel giorno in cui la Commissione lancia due iniziative di “Team Europe” proprio sul tema del Mediterraneo centrale. L’ obiettivo è “garantire un impegno congiunto da parte degli Stati membri e dell’Ue nell’affrontare le sfide migratorie che l’Ue e i suoi partner del Nord Africa devono affrontare a causa dell’aumento dei flussi irregolari e degli abusi delle reti di contrabbando”. Un piano che prevede la spesa di 1,13 miliardi di euro per lavorare su cinque pilastri stabiliti dal summit di Valletta del 2015 con i partner africani. Cioè: “prevenzione della migrazione irregolare, contrasto al traffico e alla tratta di esseri umani, migrazione legale e mobilità, protezione, rimpatrio, riammissione e reintegrazione sostenibile, migrazione e sviluppo”.

Una decisione salutata con favore dalla Farnesina: “Sull’immigrazione – commenta il ministro degli Esteri, Antonio Tajani – si parte finalmente con un’iniziativa forte dell’Unione Europea, con Italia, Francia e Spagna e una serie di interlocutori africani: se vogliamo rispondere al problema dell’immigrazione dobbiamo incidere sulle cause e dunque questi investimenti che verranno fatti serviranno a far crescere l’Africa: questa è una risposta operativa e l’Italia vuole essere protagonista”. Detto questo, come ricordato, l’esecutivo morde il freno. Il mantra del Viminale è che quello dei migranti è un problema globale che andrebbe risolto al livello globale. Nel frattempo, però, Roma non vuole rimanere con le mani in mano e il nodo cruciale, ora, è come governare il fenomeno delle Ong: sono allo studio le modalità giuridiche per regolamentare gli arrivi in Italia di queste organizzazioni, quali autorizzare e quali no.

Il punto fermo del governo resta il contrasto all’immigrazione irregolare, quindi a scafisti e trafficanti, e la valorizzazione di canali d’ingresso legali attraverso corridoi umanitari e decreti flussi. Il modello a cui si sta guardando è il vademecum di Minniti, mai trasformato in legge, e individuare anche le sanzioni per chi non rispetta le regole, ad esempio confische e divieti. In più, si pensa a riformare le norme sulla protezione umanitaria per evitare che si possa chiederla per “qualsiasi motivo”, sulla base di quanto già previsto nei decreti sicurezza.

Già da gennaio, dopo la manovra, si inizierà a ragionare sui dettagli, compreso il meccanismo di distribuzione e solidarietà in Europa che al momento, secondo il governo, non funziona. I rimpatri – è l’opinione dell’esecutivo – dovrebbero essere centralizzati ed europei. La proposta italiana di un meccanismo di rimpatrio comunitario attraverso accordi con paesi come Libia e Tunisia, con ingressi per quote che favorirebbero l’immigrazione regolare e sicura è sul tavolo delle trattative con l’Europa. Ma, concludono le stesse fonti, troppe volte l’Italia ha incassato dalla Ue parole, promesse e linee guida, ma poco di più.

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Vincenzo Nibali: «Ero un carusu dannificu. La bici mi ha salvato dalla strada»

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Messina, la Sicilia, la fatica, la gloria. Vincenzo Nibali si racconta al Corriere della Sera, tra ricordi di un’infanzia ribelle, il riscatto sulla bicicletta e la consapevolezza maturata solo dopo il ritiro. Un’intervista intensa, autentica, a cuore aperto.

Una giovinezza a rischio: «Compagni con la pistola nello zaino»

«Ero un carusu dannificu», dice Nibali, usando l’espressione siciliana per “bambino disastroso”. Uno che attirava guai: sassate alle vetrate, petardi nelle cassette postali, motorini lanciati contro i muri. Una giovinezza vissuta in un quartiere difficile di Messina, dove alcuni compagni portavano la pistola a scuola. Nessuna mafia organizzata, ma il pizzo sì: «Colpì anche la cartoleria dei miei genitori».

La salvezza arriva su due ruote: «Sempre in salita, come da Messina»

La svolta arriva con la bici, a 12 anni, grazie al padre e ai suoi amici cicloturisti. Le prime gare, l’ammiraglia della Cicli Molonia, il traghetto per Villa San Giovanni che diventava un passaggio simbolico verso il sogno. A 15 anni vince a Siena e non torna più: «Mai avuto nostalgia. I miei genitori mi dissero: se ti impongono cose sbagliate torna, qui avrai sempre un lavoro. Mi ha aiutato a non cedere al doping».

L’ascesa, la gloria, il peso della vittoria

Nibali è uno dei pochi ciclisti ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri. Il Tour de France del 2014 è stato l’apice, ma anche l’inizio di un incubo: «Non potevamo camminare con la carrozzina di nostra figlia senza essere assaliti. Solo adesso che ho smesso, vivo davvero». E confessa: «Mai provato e mai pensato di doparmi. Ma ho pagato il sospetto solo perché vincevo ed ero italiano».

La caduta che fa crescere: l’Olimpiade sfumata

Nel 2016 era lanciato verso l’oro olimpico, ma cadde in curva. «Scelsi io di rischiare, e sbagliai. Nessuna scusa». Parla anche del secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, “scippato” da un dopato, ma senza rancore: «Non mi chiedo mai quanto ho perso per colpa del doping».

Il ritorno da turista: «Messina è ‘u megghiu postu nto munnu’»

Oggi Nibali è ambasciatore del Giro e padre presente. Ha visitato la Sicilia con le figlie per farla conoscere da turista: «Antonello da Messina, i templi di Agrigento, i boschi dei Peloritani… È il posto più bello del mondo». Un campione che, a distanza di anni, può guardarsi indietro con orgoglio: «A testa alta, sempre».

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Guerra dei cassonetti ai Parioli: scompaiono i bidoni davanti a casa Castellitto

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Nel quartiere elegante e silenzioso dei Parioli esplode una singolare guerra urbana, fatta di strisce gialle, rifiuti e cortili privati. Oggetto del contendere: un set di cassonetti della raccolta differenziata, misteriosamente spariti dalla carreggiata davanti alla villa dell’attore Sergio Castellitto.

I cassonetti finiscono nel cortile dell’attore

La miccia si accende nella notte tra il 20 e il 21 aprile. I bidoni che servivano i residenti della zona vengono spostati oltre il cancello della villa in cui vive Castellitto, allineati ordinatamente nel cortile. Una rimozione anomala che di fatto priva della raccolta l’intero isolato. Le strisce gialle, predisposte per accogliere i cassonetti, rimangono desolatamente vuote.

Secondo indiscrezioni, l’attore avrebbe più volte manifestato il suo malcontento per la presenza dei contenitori davanti all’ingresso della sua abitazione, considerandoli poco decorosi. I vicini, al contrario, li ritengono un servizio essenziale, invocandone semmai una manutenzione più frequente.

Denuncia in arrivo e reazione dei residenti

A seguito dell’episodio, il quartiere insorge. I residenti, costretti a girovagare per il quartiere con buste e cartoni, scattano foto e si interrogano sul destino dei contenitori. Tra loro anche il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, recentemente trasferitosi nella zona.

Dopo poche ore, i cassonetti scompaiono anche dalla visuale del villino: né davanti al cancello né sul marciapiede. Ma non vengono ricollocati nella loro sede originaria. La vicenda, lungi dal concludersi, potrebbe ora avere conseguenze legali.

Ama pronta a sporgere denuncia

La municipalizzata dei rifiuti, Ama (foto Imagoeconomica), non intende lasciar cadere il caso. I vertici dell’azienda starebbero preparando una denuncia ai carabinieri per la scomparsa dei contenitori. Anche l’assessore al Verde del Municipio, Rosario Fabiano, si è attivato per fare luce sull’accaduto.

Il comitato Le Muse: “I cassonetti tornino al loro posto”

Dal comitato di zona Le Muse l’appello è chiaro: «Speriamo che quei cassonetti tornino al più presto al loro posto. Sarebbe grave se così non fosse. Si tratta di oggetti che appartengono alla collettività, ricordiamolo».

Intanto, nel quartiere ovattato dei Parioli, il decoro urbano si trasforma in una guerra di nervi, tra privacy e servizio pubblico, in attesa che si ristabilisca un fragile equilibrio tra rifiuti e rispetto.

 

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La madre del 17enne condannato per l’omicidio di Santo Romano: «Non è lui l’autore dei post provocatori»

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Ha deciso di rivolgersi alla polizia postale la madre del 17enne condannato a 18 anni e 8 mesi per l’omicidio di Santo Romano, ucciso nella notte tra l’uno e il due novembre scorsi a San Sebastiano al Vesuvio. Lo fa per chiedere chiarezza su una vicenda che – a suo dire – rischia di danneggiare ulteriormente il figlio.

La denuncia: «Quei post non li ha scritti mio figlio»

«Mio figlio è detenuto ad Airola, non ha accesso ai social e non è stato mai segnalato per l’uso di telefoni cellulari in modo clandestino», spiega la donna, assistita dall’avvocato Luca Raviele. E chiarisce: «Non può essere lui l’autore dei messaggi comparsi in rete dopo la sentenza». Messaggi che – accompagnati da immagini del ragazzo risalenti a mesi fa – contengono frasi provocatorie e offensive, come: «Io 18 anni e 8 mesi me li faccio seduto su un cesso».

Una pioggia di messaggi offensivi

Quei post, circolati in modo virale sui social, hanno fatto riesplodere le tensioni tra i familiari delle due fazioni coinvolte nella tragica vicenda. E la madre del minore condannato prende le distanze: «Non c’entriamo nulla. Né io, né parenti o conoscenti abbiamo scritto o condiviso quei contenuti. Spero che la polizia postale indaghi per risalire ai veri responsabili».

La notte dell’omicidio: una lite per una scarpa sporca

Tutto è iniziato in piazza Capasso, cuore della movida di San Sebastiano. Un banale litigio per una scarpa pestata ha innescato lo scontro tra due gruppi di ragazzi. Dopo un primo alterco, la situazione sembrava rientrata, ma secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – anche grazie a un video – Santo Romano sarebbe tornato indietro rivolgendosi all’auto dove si trovava L.D.M. Un gesto, forse un lancio, e poi il dramma: due colpi di pistola al petto, esplosi dal 17enne. Santo muore sul colpo.

Un processo doloroso e una sentenza pesante

Martedì scorso è arrivata la condanna in primo grado: 18 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio, tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco. L’indagine è stata condotta dal pm Ettore La Ragione della Procura per i Minori. Una sentenza che ha alimentato il dolore dei familiari di Santo Romano, un ragazzo di 19 anni, portiere di una squadra di calcio, noto nel suo gruppo per essere sempre un paciere.

Il timore di nuove tensioni

I post emersi nelle ultime ore rischiano di avvelenare ulteriormente il clima. «Non voglio neanche ripetere il contenuto di certi messaggi – spiega la madre del ragazzo – sono offensivi, gratuiti, e danneggiano mio figlio. Non possiamo permettere che a una tragedia come questa si aggiungano nuove ingiustizie». Per questo è stata sporta una formale denuncia contro ignoti: sarà ora compito degli investigatori della polizia postale stabilire chi si nasconde dietro quegli account.

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