Anche in situazioni atipiche, quando il corpo è un ostacolo, uomini e donne sono in cammino verso una dimensione affettiva adulta: alla ricerca della felicità tra relazione, ricerca di affetto, amicizia e sessualità. Lo racconta la serie documentaria “Il corpo dell’amore”, che rompe un vero tabù sul servizio pubblico affrontando un tema di attualità con grande delicatezza: su Rai3 dal 31 maggio alle 23.10 e presentata oggi a viale Mazzini. Quattro piccoli film incentrati su protagonisti con disabilità motoria o cognitiva che affrontano le gioie e i dolori della liberta’ sessuale. La regia di Pietro Balla e Monica Repetto e la voce narrante di Enrica Bonaccorti. “Perchè – come spiega il direttore di rete Stefano Coletta – una delle prime liberta’ che si perde quando si e’ disabili e’ la propria intimita’”. “Racconti laceranti, a tratti buffi, perche’ del mondo della disabilita’ si conosce sempre una tonalita’ monocorde. Il corpo dell’amore” racconta un mondo in cui cio’ che apparentemente e’ “atipico”, in realta’ cosi’ atipico non e'”. Alla presentazione anche Vincenzo Zoccano, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega a famiglia e disabilita’, Vincenzo Spadafora, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Fabrizio Quattrini, sessuologo e docente presso il Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche dell’Universita’ degli Studi dell’Aquila. Ogni episodio, aggiunge Coletta “sara’ dedicato ad una vita. La struttura del prodotto sara’ verticale e non orizzontale, nonostante il tema delicato. In una puntata si parlera’ della figura dell’assistente sessuale che esiste in molti paesi esteri. Il tema pone tantissime domande. Ma e’ un tema urgente” Il sottosegretario Spadafora rileva: “ascoltare queste parole fa bene soprattutto a se stessi. Queste parole, per me, valgono come un impegno.
La buona televisione fa anche questo, serve anche a stimolare la politica e le istituzioni, a confrontarsi con i cittadini. Io mi ritrovo quotidianamente a misurarmi con il concetto di normalita’. La complessita’ e l’evoluzione della nostra vita sociale dovrebbe essere chiara a tutti. Questi pregiudizi devono essere superati, prima di tutto, dalla politica. Abbiamo visto storie a rischio di discriminazione multipla. La politica deve fare un po’ di autocritica. Se i temi di pari opportunita’ non si trasformano in azioni concrete di governo, tutto rimane nella sfera della retorica. In queste 4 storie, ho visto cose che mi vengono quotidianamente presentate. Chi non vive queste esperienze, non le puo’ capire. Quest’operazione di Rai 3 sia molto d’aiuto in questo periodo storico e culturale del nostro paese. Questo e’ davvero fare servizio pubblico”. La serie segue i quattro protagonisti alla ricerca di una sessualita’ libera e consapevole, dell’indipendenza, della scoperta di se’. Una giovane donna su sedia a rotelle dalla nascita, un attivista omosessuale disabile, un’aspirante assistente sessuale, una madre con figlio disabile”.
Vincenzo Zoccano, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega famiglia e disabilita’ (non vedente ndr) si interroga, ‘Cosa puo’ fare la politica?’ “Sono temi che riguardano le persone. Qui non ci sono colori politici che tengano. C’e’ solo un colore, quello dell’amore e dell’umanita’. Non possiedo il canale visivo ma possiedo tutti gli altri canali e vivo una vita normale. Noi non siamo un mondo a parte, siamo parte del mondo. Questo principio di vivere la propria sessualita’ deve valere per tutti gli esseri umani. Il problema e’ culturale. Se non abbattiamo la barriera culturale, non possiamo abbattere tutte le altre barriere. Questo tema non puo’ essere un tabu’, i tabu’ non ci portano a nessuna parte. Una persona con disabilita’ non e’ asessuata. Siamo noi che ci dobbiamo abituare a pensare in un modo diverso. Non e’ giusto bloccare determinate pulsioni, bloccare le pulsioni e’ disumano”. Le storie “Patrizia. L’ombra della madre”, “Giuseppe. Todos Santos”, “Valentina. La settimana enigmistica” e “Anna. La prima volta”.
Queste sono le ultime immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza della Stazione Centrale di Milano in possesso della Procura della Repubblica di Lecco diffuse dai Carabinieri che ritraggono Edoardo Galli mentre cammina sul binario dove è giunto il treno proveniente da Morbegno e mentre transita in uscita dai tornelli di sicurezza lo scorso 21 marzo.
Dopo questi istanti – spiega la nota della Procura- non ci sono, al momento, ulteriori riprese che lo ritraggono dialogare o in compagnia di altre persone ovvero nei pressi di esercizi commerciali.
Le donne ‘camici bianchi’ della Sanità italiana ancora oggi sono spesso davanti ad un bivio, quello di dover scegliere tra famiglia e carriera. Accade soprattutto al Sud e la ragione sta essenzialmente nella mancanza di servizi a sostegno delle donne lavoratrici. A partire dalla disponibilità di asili aziendali: se ne contano solo 12 nel Meridione contro i 208 del Nord. E’ la realtà che emerge da un’indagine elaborata dal Gruppo Donne del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao-Assomed, coordinato dalla dottoressa Marlene Giugliano. “Al Sud le donne che lavorano nel Servizio sanitario nazionale devono scegliere tra famiglia e carriera e per le famiglie dei camici bianchi non c’è quasi nessun aiuto. Una situazione inaccettabile alla quale occorre porre rimedio”, denuncia il segretario regionale dell’Anaao-Assomed Campania Bruno Zuccarelli.
Nelle strutture sanitarie italiane, afferma, “abbiamo 220 asili aziendali, di cui 208 sono al Nord (23 solo in Lombardia). In Campania gli asili nido su 16 aziende ospedaliere sono solo 2: Cardarelli e Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Il Moscati di Avellino aveva un asilo nido che è stato chiuso con la pandemia e ad oggi il baby parking dell’Azienda Ospedaliera dei Colli è chiuso. Una condizione vergognosa e desolante”. Ma i dati raccolti dal sindacato dicono anche altro: se si guarda al personale del servizio sanitario nazionale, il 68% è costituito da donne, quasi 7 operatori su 10, con un forte sbilanciamento verso il Nord dove le donne sono il 76%, mentre al Sud solo il 50%. Un divario tra Nord e Sud, quello della sanità, che “si lega alle condizioni di difficoltà che le donne devono affrontare – aggiunge Giugliano – del resto in Campania il costo medio della retta mensile di un asilo è di 300 euro, con cifre che in alcuni casi arrivano anche a 600 euro.
E nella nostra regione c’è un posto in asili nido solo ogni 10 bambini”. Per questo le donne campane dell’Anaao chiedono di essere ascoltate dalle Istituzioni regionali, così come dalle Aziende ospedaliere e Sanitarie. Tre i punti chiave sui quali intervenire, sottolineano: “creazione di asili nido aziendali che rappresentano una forma di attenzione per le esigenze dei propri dipendenti e consentono una migliore conciliazione dei tempi casa-lavoro; sostituzione dei dirigenti in astensione obbligatoria per maternità o paternità e applicazione delle norme già esistenti, come flessibilità oraria; nomina, costituzione e funzionamento dei Comitati unici di garanzia”. Sono organismi che “prevedono compiti propositivi, consultivi e di verifica in materia di pari opportunità e di benessere organizzativo per contribuire all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, agevolando l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni e favorendo l’affezione al lavoro, garantendo un ambiente lavorativo nel quale sia contrastata qualsiasi forma di discriminazione”, spiega Giugliano. In regioni come la Campania, “questi organismi hanno solo un ruolo formale, cosa – conclude l’esponente sindacale – che non siamo più disposte ad accettare”.
È costituzionalmente illegittima la previsione dell’automatica rimozione dall’ordinamento giudiziario dei magistrati finiti in vicende penali culminate con la condanna, a loro carico, a una pena detentiva non sospesa. Lo ha deciso la Consulta – esaminando il caso di un giudice coinvolto in aspetti ‘secondari’ del cosiddetto ‘sistema Saguto’ – che ha accolto una questione sollevata dalle Sezioni Unite della Cassazione alle quali si è rivolto l’ex giudice Fabio Licata.
L’ex magistrato è stato condannato in via definitiva alla pena non sospesa pari a due anni e quattro mesi per falso materiale per aver apposto la firma falsa della presidente del collegio, Silvana Saguto, con il consenso di quest’ultima, ed è stato rimosso dalla magistratura. Per effetto della decisione della Consulta, il Csm “potrà ora determinare discrezionalmente la sanzione da applicare” a Licata, compresa ancora l’opzione della rimozione, “laddove ritenga che il delitto per cui è stata pronunciata condanna sia effettivamente indicativo della radicale inidoneità del magistrato incolpato a continuare a svolgere le funzioni medesime”. Saguto, anche lei radiata dalla magistratura, e ora reclusa a Rebibbia, è stata condannata in via definitiva a 7 anni e dieci mesi di reclusione per aver gestito in modo clientelare le nomine degli amministratori giudiziari dei beni confiscati alla mafia, ottenendo in cambio anche denaro.
La Corte costituzionale – con la sentenza n. 51 depositata – ha ricordato che, secondo la propria costante giurisprudenza, la condanna penale di un funzionario pubblico o di un professionista non può, da sola, determinare la sua automatica espulsione dal servizio o dall’albo professionale. Sanzioni disciplinari fisse, come la rimozione, sono anzi indiziate di illegittimità costituzionale; e in ogni caso deve essere salvaguardata la centralità della valutazione dell’organo disciplinare nell’irrogazione della sanzione che gli compete. La norma dichiarata incostituzionale, invece, ricollegava la sola sanzione della rimozione alla condanna per qualsiasi reato, purché la pena inflitta dal giudice penale superasse una certa soglia quantitativa, finendo così per spogliare il Csm di ogni margine di apprezzamento sulla sanzione da applicare nel caso concreto.
Nel caso che ha dato luogo al giudizio, il giudice penale – rileva la Consulta – aveva irrogato una severa pena detentiva non sospesa, senza poter considerare gli effetti che tale pena avrebbe necessariamente prodotto nel successivo giudizio disciplinare. In conseguenza poi dell’automatismo creato dalla norma, neppure nel giudizio disciplinare era stato possibile vagliare “la proporzionalità di una tale sanzione rispetto al reato da questi commesso, dal peculiare angolo visuale della eventuale inidoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni”. E ciò pur “a fronte dell’entità delle ripercussioni che l’espulsione definitiva dall’ordine giudiziario è suscettibile di produrre sui diritti fondamentali, e sull’esistenza stessa, della persona interessata”.