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Il Colonnello Kurtz auspicherebbe un esercito di responsabili che rispettino le zone rosse

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Presidenti di regione che si infuriano contro il decreto del Primo Ministro, dimenticando la solidarietà ricevuta da tutti gli italiani anche in tempi molto vicini, coppie di anziani con contagio usciti dalla zona rossa e ricoverati durante le sciate in montagna, settimane bianche affrontate in comitiva senza alcuna precauzione anche da giudici, avvocati e professionisti vari, giovani che uscendo dalla zona rossa si dirigono allegramente verso la movida di Madrid, navigli ancora pieni, bar in tutta Italia senza il minimo rispetto delle norme elementari, e tanti, tanti altri casi che fotografano le reali volontà di individui che poco si interessano al bene comune, aiutati, questo è vero anche dall’ambiguità di un decreto che stabilisce alcune regole ferree, aggirabili attraverso una autocertificazione che può tranquillamente diventare arma dei furbi. Non vogliamo uno stato che sia uguale ad uno stato di polizia, ma cerchiamo una popolazione che sia cosciente e responsabile. Bisognerebbe rivedere il monologo del Colonnello Kurtz   in quel meraviglioso film che è Apocalipse Now: “vorrei un esercito di mille uomini cosi” recitava un grande Marlon Brando riferendosi ai guerriglieri VietCong che amputavano le braccia ai bambini che erano stati vaccinati dagli americani, argomentando questa posizione con il fatto che le guerre si vincono con gesta che paiono e lo sono, incredibili, violente, assurde, inconcepibili, si vincono anche con queste azioni orrende che comportano assenza o perdita di emozioni o commozioni, dove la sensibilità pare che muoia, ma se letta come determinazione, assume un altro significato   teso al raggiungimento dello scopo che farà stare meglio tutti o almeno farà raggiungere la meta in cui si crede. Non vogliamo il Colonnello Kurtz e la sua folle brigata di tagliabraccia, qui si tratta di due settimane in quarantena, ma ci servirebbe quella determinazione e quel senso di responsabilità per evitare anche di giustificare, come spesso si sente, persone che volutamente annichiliscono le elementari regole di convivenza in un periodo emergenziale come quello che attraversiamo. E allora diamo voce ancora una volta e sempre di più a chi invece è parte di quei mille che con determinazione e responsabilità hanno scelto di non muoversi dalle zone rosse, è con loro, è per loro che bisogna uscire da questa emergenza. Adriana è una di loro, Adriana è in quella fascia di età dei tanti che sono scappati, anche a ragione, senza voler colpevolizzare, ma sono scappati senza minimamente pensare alle conseguenze che ne  sarebbero derivate e già si vedono i risultati con più di un contagiato rientrato nel proprio paese di provenienza. Grazie Adriana, ci vorrebbero mille e mille e mille  come te.

La notizia dell’assalto ai treni appresa stamattina mi ha sconvolta. “Non può essere” mi sono ripetuta più volte. “non può essere che c’è chi approfitta di uno stato di emergenza, della sospensione di attività didattiche (e non solo) per viaggiare, come se l’estate fosse arrivata in anticipo”.
Sono giorni che cerco di spiegare a chiunque, al cellulare, che il COVID-19 non è da sottovalutare, che bisogna stare a casa e limitare al minino le uscite. Al cellulare si, perchè sono al nord anch’io e, pur non essendo in zona rossa, sono due settimane che esco solo se necessario. Insegno in Friuli-Venezia-Giulia, la mia famiglia è al sud e le attività didattiche sono sospese ormai da quindici giorni (se consideriamo anche il Carnevale). Avrei potuto pensare: “Vado giù, approfitto visto che è dalle festività natalizie che non vedo la mia famiglia”. Non l’ho fatto. Non che non mi manchino gli affetti familiari, ma mettere in pericolo me e loro non è da persone intelligenti. Ho la fortuna di avere ancora tutti e quattro i nonni ma sono ultraottantenni. Ho pensato innanzitutto a loro. Cosa succederebbe se io li contagiassi? Lo stesso discorso vale anche per i genitori, gli zii, i fratelli. E’ vero che la mortalità riguarda principalmente gli anziani ma se contagio mio fratello? Non ha gravi problemi di salute ed è giovane, è vero, ma l’ospedale più vicino al mio paese è a quaranta minuti di auto. Se in preda ad una crisi respiratoria mio fratello non dovesse riuscire a raggiungerlo  prima che sia troppo tardi? E se in ospedale non dovesse più esserci disponibilità di sale di terapia intensiva? E se contagio i miei genitori? Magari saranno asintomatici ma contageranno i loro colleghi. Colleghi che a loro volta contageranno i loro familiari. E sarà un ciclo senza fine. Un ciclo innescato dall’egoismo. Un egoismo che si ritorce contro gli egoisti stessi, ma che travolge anche chi il COVID-19 sta cercando di arginarlo.
Quindi, se il Governo ha dato delle disposizioni drastiche sulla chiusura di una serie di province (tralasciando l’assurda fuga di notizie) un motivo c’è. Il motivo è l’emergenza e l’obbligo di agire consapevolmente per evitare ulteriori contagi onde evitare il peggio, ossia un tasso di mortalità esagerato in cui rientreranno anche giovani, bambini e adulti sani. Un bollettino di morte in cui possiamo rientrare noi stessi. Questo sembra non essere chiaro.
Basta con l’eroismo sfrenato. Basta sentirci invincibili. Basta con le proteste senza senso affidate a degli inutili hashtag. Non c’è niente da protestare se, per fronteggiare un’emergenza che sembra stia prendendo il nome di pandemia, bisogna starsene a casa e rinunciare ad un aperitivo, ad un’uscita in discoteca o una passeggiata sul molo. E’ questo che avrei voluto dire a tutti i gruppi di persone che oggi pomeriggio, fingendo la normalità di una qualunque domenica di primavera anticipata, si è esposta  al rischio di contagiare e essere contagiato. Si, perchè qui a Trieste, se la stazione era praticamene deserta, il centro della città, qualche ora fa, era gremito di gente (dai bambini accompagnati dai genitori agli anziani) e i tavolini dei bar affollati quasi quanto una qualunque domenica.
Questo significa che non c’è assolutamente il senso della collettività. Siamo spinti unicamente da un individualismo sfrenato che addirittura ci si rivolta contro.

La scelta di non viaggiare significa una sola cosa: evitare di innescare nuove catene di contagio. Visto l’aumento terrificante di quasi 1.500 contagi in 24 ore, credo che sia l’unica cosa da fare.

 

 

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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