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I nuovi Uffici di Presidenza di Senato e Camera

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Il Senato e la Camera hanno eletto oggi i propri uffici di presidenza per la XIX legislatura. Ecco da chi sono formati:

SENATO

VICEPRESIDENTI: Mariolina Castellone (M5S), Anna Rossomando (Pd), Maurizio Gasparri (FI) e Gianmarco Centinaio (Lega); QUESTORI: Marco Meloni (Pd), Antonio De Poli (Noi Moderati) e Gaetano Nastri (Fdi) SEGRETARI D’AULA: Antonio Iannone (Fdi), Erika Stefani (Lega), Marco Silvestroni (Fdi), Andrea Paganella (Lega), Gianpietro Maffoni (Fdi), Pietro Lorefice (M5s), Valeria Valente (Pd), Marco Croatti (M5s).

CAMERA

VICEPRESIDENTI: Fabio Rampelli (Fdi), Giorgio Mulè (Fi), Anna Ascani (Pd),Sergio Costa (M5s). QUESTORI: Paolo Trancassini (Fdi), Alessandro Manuel Benvenuto (Lega), Filippo Scerra (M5s) SEGRETARI D’AULA: Fabrizio Cecchetti (Lega), Chiara Colosimo, Giovanni Donzelli e Riccardo Zucconi (Fdi), Annarita Patriarca (Fi), Gilda Sportiello (M5s), Roberto Traversi (M5s) e Chiara Braga (Pd).

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Esteri

Ucraina, la guerra rallenta: meno avanzate russe e una strategia che cambia

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Dopo i successi militari ottenuti tra ottobre e dicembre 2024, l’esercito russo ha sensibilmente rallentato il proprio ritmo di avanzata sul fronte ucraino. A gennaio 2025 le truppe di Mosca avevano già mostrato segni di rallentamento, e ad aprile – secondo l’Institute for the Study of War di Washington – il bottino territoriale russo si è fermato a 217 chilometri quadrati, un terzo rispetto ai mesi precedenti.

L’unico episodio di rilievo si è verificato a marzo nella regione di Kursk, dove i russi hanno riconquistato circa 500 chilometri quadrati. Per il resto, si registra una situazione vicina allo stallo operativo, nonostante il continuo impiego massiccio di uomini e mezzi.

Le perdite restano altissime da entrambi i lati

Le stime più accreditate parlano di 160.600 perdite russe (tra morti, feriti e dispersi) solo da inizio anno. Il tasso di perdite è elevatissimo: 99 uomini per ogni chilometro quadrato guadagnato. Tuttavia, non esistono fonti indipendenti in grado di confermare queste cifre, che potrebbero essere influenzate dalla propaganda di guerra.

Anche sul fronte ucraino non esistono dati ufficiali: Kiev non fornisce aggiornamenti dettagliati e Mosca parla di «perdite catastrofiche» tra le file nemiche. In ogni caso, la pressione militare sembra aver rallentato.

La temuta offensiva russa di primavera non è arrivata

Molti analisti avevano previsto una grande offensiva russa in primavera, anticipata a febbraio dall’intelligence ucraina. Tuttavia, l’offensiva non si è ancora concretizzata. I 160.000 nuovi soldati annunciati da Vladimir Putin necessitano di formazione e equipaggiamento, e secondo Kiev un’azione su larga scala potrebbe essere rimandata almeno a giugno.

Nel frattempo, il clima più caldo ha migliorato le condizioni operative nelle trincee, ma anche reso più difficili gli spostamenti clandestini per via dell’erba alta e del fogliame fitto.

Mosca consolida le difese, Kiev si affida ai droni

L’obiettivo strategico di Mosca sembra essersi spostato: non più solo avanzare, ma rafforzare le linee già acquisite. Questo comporta un passaggio da una guerra di movimento a un conflitto statico e posizionale, caratterizzato da scontri di bassa intensità ma diffusi.

I russi continuano comunque a premere nel Donbass, in particolare attorno a Pokrovsk, Chasiv Yar e Lyman, mentre Kharkiv e la regione di Sumy sono tornate sotto attacco. L’Ucraina risponde affidandosi a una massiccia produzione nazionale di droni, impiegati per colpire le linee nemiche fino a 15 chilometri di profondità.

Kiev colpisce nel Mar Nero con un drone navale

Nelle ultime ore, un’ulteriore novità è giunta dal fronte marittimo. L’intelligence ucraina ha annunciato l’abbattimento di un caccia russo Su-30 nel Mar Nero, affermando di aver usato un drone navale Magura V5. Si tratterebbe, secondo Kiev, della prima volta al mondo in cui un velivolo militare viene abbattuto da un drone marittimo. Un episodio che mostra l’evoluzione tecnologica di una guerra sempre più ibrida e asimmetrica.

 

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Economia

L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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Cronache

Campi Flegrei, terremoti da pressione dei fluidi in profondità

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Abbassare i livelli delle acque sotterranee nei Campi Flegrei per ridurre la pressione dei fluidi all’interno del serbatoio geotermico: lo propone la ricerca pubblicata sulla rivista Science Advances dal gruppo dell’Università californiana di Stanford diretto dall’italiana Tiziana Vanorio (foto sotto) e che ha come coautrice Grazia De Landro, dell’Università di Napoli Federico II. La nuova teoria indica che l’accumulo di pressione causato da acqua e vapore sotto i Campi Flegrei possa causare terremoti quando la calotta si chiude. I ricercatori osservano che una situazione simile è stata alla base della deformazione del suolo e della sismicità sia nei primi anni ’80 sia negli ultimi 15 anni.

La deformazione del suolo, aggiungono, sarebbe inoltre provocata dalla velocità con cui l’acqua si ricarica gradualmente in profondità. I dati, osservano gli autori della ricerca, mettono in discussione la teoria attuale secondo la quale lo scuotimento è provocato dalla risalita del magma o dei suoi gas. “Per affrontare il problema, possiamo gestire il deflusso superficiale e il flusso dell’acqua, o anche ridurre la pressione prelevando i fluidi dai pozzi”, osserva Vanorio, professore associato di Scienze della Terra e del Pianeta presso la Stanford Doerr School of Sustainability.

I ricercatori hanno analizzato le caratteristiche comuni ai fenomeni di bradisismo nei Campi Flegrei dei periodi 1982-1984 e 2011-2024, osservando che in entrambi i casi il sollevamento del terreno è stato accompagnato da forti rumori, i ricercatori sospettano che si tratti di esplosioni guidate dal vapore, innescate quando l’acqua liquida si trasforma rapidamente in vapore durante la fratturazione causata dai terremoti. “Questo progetto è il mio obiettivo come cittadino, non solo come geofisico, perché lo studio suggerisce che i disordini possono essere gestiti, piuttosto che solo monitorati, aprendo la strada alla prevenzione”, rileva Vanorio.

Commentando la ricerca, la direttrice del dipartimento Vulcani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Francesca Bianco, osserva che “offre un contributo scientifico con spunti di riflessione sull’ipotesi di funzionamento del processo bradisismico, che andrà verificata sia rispetto ai dati sperimentali della crisi in corso, sia alla luce delle osservazioni storiche” e che “come sempre, il progresso della scienza passa attraverso la validazione indipendente delle ipotesi proposte”.

“È rilevante sottolineare – prosegue Bianco – che questo lavoro si basa su dati prodotti dall’Ingv, che l’Istituto ha scelto di condividere apertamente, in un’ottica di trasparenza e collaborazione scientifica. Una scelta che riflette la lungimiranza dell’Ingv nel promuovere la ricerca e l’innovazione al servizio della collettività”. In questo contesto Bianco osserva che la pubblicazione della ricerca di Vanorio è “quasi simultanea” a quella della ricerca coordinata da Annamaria Lima, dell’Università Federico II di Napoli, sulla rivista American Mineralogist.

Quest’ultima suggerisce che “i moderni approcci geoingegneristici sviluppati per sfruttare i giacimenti geotermici ad alta temperatura possano essere impiegati per gestire il flusso dei fluidi e ridurre la pressione esercitata dai fluidi geotermici nell’area Solfatara-Pisciarelli, con l’obiettivo di minimizzare il rischio di eruzioni freatiche e, contemporaneamente, ridurre il sollevamento e la sismicità”. Le due ricerche, conclude Bianco, “pur con approcci diversi, propongono un’idea di ‘controllo’ del fenomeno bradisismico. Sulla loro eventuale fattibilità tecnica e operativa saranno gli ingegneri ad avere l’ultima parola”.

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