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I 5 secondi che hanno messo in ginocchio la Spagna

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Cinque secondi, il tempo di un sospiro, ma lunghissimi in termini di velocità della luce. Sono stati sufficienti per mettere in ginocchio la Spagna. E’ il lasso di tempo in cui si sono verificate “due perdite di generazione di corrente successive, che il sistema non è stato in grado di assorbire”, provocando alle 12,33 di lunedì il crollo al ‘punto zero’, il collasso totale del sistema elettrico.

La causa di quei cali di tensione, con un intervallo di appena un secondo e mezzo fra loro, seguito dopo 3,5 secondi dal collasso, è il principale nodo che si cerca di sciogliere per risalire alle origini del grande buio in cui è sprofondata ieri la penisola iberica, come ha spiegato il capo delle operazioni della Rete Elettrica Spagnola (Ree), Eduardo Prieto. “Bisognerà analizzare il perché si sono prodotte le due disconnessioni, in particolare la seconda che ha portato al collasso del sistema”, ha segnalato Prieto. Si dovranno “verificare le cause, analizzare la potenza, l’ubicazione, le condizioni in cui si è prodotta la disconnessione”.

Ma ha anche riconosciuto come “molto probabile” che la fonte di generazione interessata dal calo sia quella solare, senza dare però ulteriori spiegazioni. Lunedì, in quei cinque secondi precedenti al collasso, che ha fatto “scomparire 15 gigawatt di elettricità dalla rete”, l’equivalente al 60% della domanda di energia spagnola – come aveva segnalato il premier – si era registrato un picco di produzione di energia solare nella zona del sudovest della Spagna, in Estremadura. E le rinnovabili stavano fornendo il 78% della domanda di elettricità del Paese. Il surplus di energia disponibile avrebbe provocato uno sbilanciamento della rete elettrica iberica, rendendo impossibile assicurare la stabilità del sistema, secondo quanto ha ipotizzato l’ex presidente di Rete Elettrica, Jorge Fabra, a Tve. Un primo squilibrio sarebbe stato assorbito dalla rete, mentre il secondo con un effetto domino, avrebbe superato la capacità di risposa del sistema, facendo crollare prima la rete spagnola e poi quella portoghese. E causando il distacco della interconnessione con la Francia.

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L’Spd dice sì al governo Merz, Klingbeil vicecancelliere

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Il suo lungo, lunghissimo cammino verso la cancelleria non ha più ostacoli: i socialdemocratici tedeschi hanno approvato il contratto di coalizione con l’Unione e Friedrich Merz sarà eletto il 6 maggio alla guida della Germania, succedendo ad Olaf Scholz. L’esito del referendum dei compagni, non proprio scontato, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Berlino, dove alla Willy Brandt Haus è stata ufficializzata anche un’altra decisione di indiscusso rilievo: il 47enne Lars Klingbeil, presidente dell’SPD dal 2021, sarà vicecancelliere e ministro delle Finanze, diventando il vero cavallo di punta del partito sconfitto alle urne il 24 febbraio scorso. Sarà lui, l’uomo che nella notte del disastro elettorale fece uno scatto in avanti invece di dimettersi, a prendere in mano le sorti della socialdemocrazia tedesca che langue da tempo ben sotto la soglia del 20% (al 16). Affiancando il leader conservatore di un Paese che versa in una profonda crisi, fra sfide e incognite obiettivamente inedite.

La base dell’SPD ha approvato il patto di coalizione elaborato con i conservatori dell’Unione in una consultazione digitale durata dieci giorni che ha visto un 84,6% di consensi, ma una partecipazione bassa, che si è fermata al 56%. È questo il dato che fa discutere in queste ore, mostrando un partito scisso, che ha deciso di non sabotare il futuro governo – pena uno scenario pericolosamente incerto anche nella politica interna – senza tuttavia rinunciare a una sorta di “silenziosa protesta” contro politiche che si annuncerebbero troppo di destra. Una lettura poco condivisa, che si è prestata a forti critiche, alla luce dei molti risultati ottenuti da Klingbeil nelle trattative: a partire da ben 7 ministeri. “Un partito esausto – lo ha definito Handelsblatt – a cui mancano teste, idee e visione”.

Mentre Klingbeil è stato in grado di affermarsi come “il maggior vincitore di una storica sconfitta, il cui responsabile è proprio lui”. Paradossi della politica, ma anche il segno della evidente abilità di questo solido ex ragazzo dell’SPD, che ha scalato tutte le posizioni, passando dalla segreteria alla presidenza, e arrivando ai vertici dopo aver congedato Scholz e bloccato Boris Pistorius, che nel prossimo esecutivo sarà riconfermato alla Difesa. Originario della Bassa Sassonia e laureato in Scienze politiche e storia, Klingbeil non ha competenze amministrative né il profilo di un esperto di finanza, ma ha già ottenuto la fiducia di alcune economisti che sulla Faz hanno frenato le perplessità in materia: ha una forte esperienza politica e potrà colmare i suoi deficit potendo fra l’altro contare sulla consulenza dell’entourage di Scholz e dello stesso ministro uscente Joerg Kukies, che subentrò al liberale Christian Lindner al momento del crollo del “semaforo”.

Nei prossimi giorni avrà anche il compito di scegliere i ministri socialdemocratici, e di risolvere il pasticcio con la sua copresidente Saskia Esken, sgradita a molti e ad un passo dal benservito. “Sono orgoglioso del partito”, ha detto il segretario generale Matthias Miersch, sottolineando il “forte appoggio” arrivato alla coalizione dai compagni. E proprio quest’ultimo potrebbe succedere a Klingbeil che si era fatto nominare capogruppo parlamentare a poche ore dagli exit poll, decretando di essere il numero uno e la vera speranza del partito. Con il suo stile oltremodo sobrio Scholz ha tenuto intanto l’ultima seduta di gabinetto: niente doni di fine missione, né lacrime, ha ironizzato il portavoce, ma 20 minuti di uno scambio di elogi sulla buona collaborazione nell’esecutivo naufragato. E lui, l’ormai ex cancelliere, il 6 maggio voterà per Merz e resterà deputato semplice.

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Airyn, figlia di Robert De Niro fa outing: sono trans

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Airyn De Niro fa outing: a 29 anni la figlia di Robert De Niro e della ex compagna Toukie Smith ha confessato alla rivista Them di aver cominciato il processo da cui emergerà come donna transgender. Airyn si è definita una “late bloomer”, una persona cioè che ha scoperto tardi un aspetto di sé importante come l’identità di genere. “Credo che una parte importante della mia transizione sia stata l’influenza delle donne nere su di me”, ha detto Airyn, la cui mamma, che è stata al fianco di De Niro dal 1988 al 1996, è afro-americana. “Credo che entrare in questa nuova identità, e al tempo stesso sentirmi più orgogliosa del mio essere nera, mi faccia sentire in qualche modo più vicina a loro”. Airyn ha raccontato di aver espresso un’identità femminile attraverso abiti, acconciature e comportamenti dalla scuola media, ma di aver iniziato la terapia ormonale solo nel novembre 2024.

“Una parte di me teme che possa ancora vedermi come la persona che ero prima della transizione”, ha detto parlando delle preoccupazioni per come la famiglia prenderà la transizione. Modelli di riferimento, come ha spiegato alla rivista che nel titolo “loro” ha adottato il pronome di chi non si identifica con maschile o femminile, sono state figure come Laverne Cox, Michaela Jaé Rodriguez e Jools Lebron. Airyn, che ha un fratello gemello di nome Julian, ha parlato anche della sua vita come una dei sette figli del leggendario attore hollywoodiano. “C’è una differenza tra essere visibili ed essere visti”, ha dichiarato: “Io sono stata visibile. Ma non credo di essere mai stata veramente vista”. La transizione di Airyn, che ora spera di poter intraprendere una carriera come consulente per la salute mentale, era stata anticipata in marzo dal Daily Mail che, dopo averla fotografata a New York, l’aveva definita “il figlio nepo baby di Robert De Niro”. Niente di più lontano dalla realta’, secondo Airyn: “Non sono cresciuta avendo una piccola parte nei film di papà o andando a riunioni d’affari o alle prime cinematografiche. Mio padre teneva molto al fatto che ciascuno di noi trovasse la propria strada. Vorrei che il mio successo arrivasse per merito mio”.

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‘Trump a Zelensky a S.Pietro, solo Usa riconosceranno la Crimea’

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Nel faccia a faccia in Vaticano il giorno dei funerali di Papa Francesco Volodymyr Zelensky avrebbe ribadito che non riconoscerà la Crimea come russa e Trump avrebbe chiarito che non glielo chiederà perché il piano è il riconoscimento della Crimea come russa da parte degli Usa, non dell’Ucraina. Lo riporta Axios che ricostruisce l’incontro. Zelensky avrebbe anche detto a Trump di non aver paura di fare concessioni per porre fine alla guerra, ma di aver bisogno di garanzie di sicurezza sufficientemente forti per farlo. Il leader ucraino avrebbe ribadito che Putin non si sarebbe mosso a meno che Trump non avesse fatto più pressione.

Una fonte avrebbe riferito che Trump ha risposto che avrebbe potuto dover cambiare il suo approccio nei confronti di Putin, come ha poi affermato nel suo post su Truth Social. Zelensky ha anche spinto a tornare alla sua proposta iniziale di un cessate il fuoco incondizionato come punto di partenza per i colloqui di pace, accettata dall’Ucraina ma respinta dalla Russia. Trump sembrava essere d’accordo. La Casa Bianca non ha confermato né smentito. Un portavoce di Zelensky ha rifiutato di commentare i contenuti dell’incontro.

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