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Green pass per tutti i lavoratori italiani, Draghi costringe Salvini a fare retromarcia ma non lo umilia

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Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità l’estensione del passaporto vaccinale a tutti i luoghi di lavoro a partire dal 15 ottobre. A essere interessati sono 23 milioni di persone. La resistenza di Matteo Salvini s’è fermata sul portone di Palazzo Chigi, passa la linea di Mario Draghi e Roberto Speranza. Il Carroccio, per bocca di Giancarlo Giorgetti, prova a ottenere qualcosa che addolcisca la disfatta del leader. Il premier, però, non cambia sostanzialmente nulla. E ai ministri, senza mai citare esplicitamente la Lega, spiega le ragioni del suo tirare dritto: “Non ci fermiamo. Il Green Pass così ampio è quello che serve al Paese. È necessario per continuare a riaprire l’Italia”. Draghi non ha voglia di infierire e non risponde a domande su Salvini. Importa il risultato. “Con questo decreto – ha sottolineato il ministro della Salute Speranza in conferenza stampa – rendiamo ancora più forte la nostra campagna di vaccinazione e apriamo una nuova fase”. Nessuno obietta. Su alcuni aspetti tecnici si registra qualche scintilla. Ad esempio tra Dario Franceschini e Speranza sulle regole del distanziamento in cinema e teatri. Giorgetti, invece, porta al tavolo alcune istanze del Carroccio. La prima: estendere la validità del tampone a 72 ore. Non per tutti, però, soltanto per quelli molecolari. La proposta passa, ma il leghista chiede anche di riaprire dal primo ottobre le discoteche. Su questo ottiene soltanto la promessa di valutare presto la questione. Mentre informalmente l’esecutivo, dopo aver ascoltato la posizione dei governatori guidati da Max Frediga, concede l’impegno a rivedere ancora il sistema “a colori”, in modo da evitare nuove chiusure. I nodi tecnici e giuridici non mancano, come detto. Tocca alla Guardasigilli Marta Cartabia rassicurare i colleghi e negare possibili profili di incostituzionalità. Senza dimenticare alcuni dilemmi pratici. Uno, in particolare, attira l’attenzione di Draghi. Riguarda l’obbligo di Pass per gli statali che lavorano in smart working. Anche per loro c’è l’obbligo del certificato? E chi lo controlla?  Il lavoro flessibile è a rotazione – ha spiegato il ministro Renato Brunetta in riunione del Governo – dunque la norma varrà per tutti. E ci pone – aggiunge il ministro – all’avanguardia nel mondo”. Si dibatte anche dell’invito alle Camere e alla Consulta di ricalcare al proprio interno le regole del Green Pass. Un tema scivoloso che spacca pure la Lega, con Salvini che sostiene il passaporto per il Parlamento e un suo deputato “no vax” che annuncia ricorsi. È evidente che la vittoria della linea di Draghi è l’altra faccia della sconfitta di Salvini. Il leghista finisce per approvare il passaporto vaccinale più esteso d’Europa, probabilmente del mondo. E questo accade perché si riscopre solo, dentro e fuori il partito. I suoi ministri sono favorevoli al passaporto vaccinale. Stessa direzione di marcia dei suoi presidenti di regione. Gli imprenditori del nord est da settimane criticano la sua linea politica no vax. Salvini pagherà un prezzo alto alla triangolazione tra Palazzo Chigi, Giorgetti e la Confindustria di Bonomi, strenuo sostenitore del super Green Pass. Il ministro è in totale sintonia con il capo degli industriali. Lo sente quotidianamente, e ne sostiene le ragioni anche quando chiede che non sia l’imprenditore a pagare i contributi dei lavoratori sospesi. Il testo finale, elaborato sotto la regia del sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli – e sostenuto a nome di FI da Maria Stella Gelmini – si trasforma nello specchio dei nuovi equilibri nel Carroccio. Consolidati, trapela adesso che la partita si è chiusa, da un recente sondaggio riservato recapitato pochi giorni fa a via Bellerio. Il rilevamento, commissionato a un noto istituto demoscopico, diventa oggetto di dibattito ai vertici del partito. Il 90% degli elettori leghisti del Nord – è la sintesi – è favorevole alla carta verde. E quasi tutti preferirebbero addirittura l’obbligo. Salvini batte in ritirata.  Draghi, senza volerlo, gli ha smontato la Lega. E i dem approfittano per mettere in giro l’inciucio della possibile scissione dell’ala governista della Lega. Una evenienza che non esiste ma serve a mettere pepe nel dibattito politico. Di sicuro Salvini parlerà d’altro. Sposterà il tiro su due dossier: fisco e sicurezza. Nei prossimi giorni la propaganda di Salvini e le sue società di comunicazione multimediale che vengono pagate sul territorio per la campagna elettorale in corso per le amministrative punteranno sulle troppe tasse pagate, sulla scarsa sicurezza nelle città, sui migranti che arrivano e sulla ministra dell’Interno Lamorgese incapace. Potrebbe essere di nuovo lei oggetto di ritorsioni parlamentari, anche Salvini fa sapere che vorrebbe incontrarla assieme a Draghi. E chiede al premier di portare già la prossima settimana un testo di riforma fiscale in Cdm.

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Svolta sulle Autostrade, allo Stato parte dei pedaggi

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Una parte dei pedaggi autostradali andrà nelle casse dello Stato anziché in quelle delle società concessionarie. E’ con questa novità che si sblocca la partita delle concessioni, che aveva tenuto il stallo per qualche giorno il disegno di legge annuale sulla concorrenza. Il provvedimento, che spazia dalla proroga dei dehors alle sanzioni per taxi e Ncc abusivi, incassa così il via libera del consiglio dei ministri.

Che suggella anche un nuovo tassello della delega fiscale. Ottiene infatti il via libera definitivo l’undicesimo decreto attuativo, che contiene nuove scadenze per le dichiarazioni e qualche nuovo aggiustamento al concordato preventivo, il meccanismo con cui il governo conta di incassare risorse da usare per la manovra. In particolare, slitta dal 30 settembre al 31 ottobre la scadenza per l’invio delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Irap. Viene inoltre ampliato da 30 a 60 giorni il termine per il pagamento degli avvisi bonari ricevuti a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni.

Per favorire l’adesione al concordato, invece, arriva la flat tax incrementale sul maggior reddito concordato, con aliquote variabili dal 10 al 15% in base al punteggio Isa (che indica l’affidabilità fiscale). Vengono anche rivisti gli acconti, con una minore maggiorazione. Approvato anche il “superamento definitivo del redditometro”, annuncia il vicepremier Matteo Salvini, intestando alla Lega questa “grande vittoria”, che dà lo “stop al Grande Fratello fiscale”. Un risultato su cui cui rivendica il proprio merito anche Fi.

“Viene introdotta una nuova misura, che stanerà i grandi evasori”, spiega da FdI il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ricordando l’impegno del partito di Giorgia Meloni per un “fisco amico”. Il viceministro dell’Economia, esponente di FdI e ‘regista’ della delega, Maurizio Leo, che un paio di mesi fa aveva firmato un decreto che lo reintroduceva, poi sospeso, non ne fa menzione nel suo commento: illustra le altre misure e parla di “passo significativo verso una maggiore efficienza e semplificazione del sistema fiscale”.

Nel ddl concorrenza, che è uno dei 69 obiettivi per ottenere la settima rata del Pnrr, la principale novità è la riforma delle concessioni autostradali: arriva – per quelle in scadenza dal 2025 – un nuovo modello tariffario, già sperimentato in 4 concessioni (Ativa, Satap A21, Salt e A10 Fiori), che distingue la tariffa in 3 componenti, di cui due di competenza del concessionario e una, il cosiddetto extragettito, destinata al concedente e i cui proventi saranno utilizzati per realizzare gli investimenti, senza incrementare i pedaggi.

Il nuovo modello prevede anche che le future concessioni non supereranno i 15 anni. “L’obiettivo è realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo i pedaggi”, spiega Salvini, che in cdm porta anche una delibera che dà mandato all’avvocatura per depositare il ricorso contro i divieti unilaterali di Vienna al Brennero. Tante le altre misure del ddl concorrenza, dalla portabilità delle scatole nere alle start up innovative, dalle sanzioni per fronteggiare l’abusivismo nel settore dei taxi e Ncc alle misure per contrastare la cosiddetta ‘shrinkflation’, la pratica che consiste nel ridurre la quantità di prodotto, mantenendo inalterato il confezionamento. Ci sono anche la portabilità delle scatole nere e la proroga (per un anno, in attesa delle norme di riordino del settore) dei dehors, che incassa il plauso delle sigle di categoria ma su cui i consumatori minacciano ricorsi. “Con il ddl – commenta il ministro delle Imprese Adolfo Urso – compiamo un altro significativo passo nella giusta direzione, a supporto delle imprese e a tutela dei consumatori”.

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Tensione su Autonomia, in Cdm confronto Tajani-Calderoli

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Sull’Autonomia differenziata resta alta la tensione nel governo. Ed è emerso anche nel Consiglio dei ministri in cui Roberto Calderoli ha tenuto un’informativa sull’attuazione della riforma, annunciando che già quattro Regioni si sono fatte avanti, Veneto, Piemonte, Liguria e Lombardia. “Vigilare affinché sia applicata bene”, è l’imperativo espresso poco prima della riunione da Antonio Tajani, che ha spiegato di “comprendere le preoccupazioni in alcune regioni del Sud”, e che dopo l’intervento del collega a Palazzo Chigi gli ha chiesto di avere tutta la documentazione necessaria: “Dobbiamo verificare che ogni singolo passo sia condotto tenendo conto delle esigenze di tutte le regioni”, il senso dell’intervento del vicepremier e leader di Forza Italia, che da ministro degli Esteri ha sottolineato come sul commercio estero “c’è una competenza unitaria nazionale: non si può pensare che le Regioni sostituiscano lo Stato.

Serve una politica nazionale, l’export costituisce il 40% del Pil”. Il confronto, raccontano più fonti di governo, si è consumato in toni tranquilli, ma sullo sfondo è in corso un braccio di ferro strategico soprattutto fra Lega e Forza Italia, con Giorgia Meloni che in Consiglio dei ministri avrebbe chiesto precisazioni sui tempi delle procedure di negoziato con le regioni. Un tema che è stato aggiornato alla prossima riunione, attesa per il 7 agosto. Intanto c’è anche la Liguria fra le quattro Regioni che hanno già chiesto al governo l’avvio di un negoziato.

A quanto si apprende, lo ha fatto una decina di giorni fa con un atto della giunta guidata dal governatore ad interim Alessandro Piana, in carica da quasi tre mesi al posto di Giovanni Toti, che si è dimesso nelle ultime ore: punta a riavviare il percorso che si intendeva aprire con una risoluzione regionale del 2017 e una delibera del 2019. Anche Veneto, Piemonte e Lombardia, come ha spiegato Calderoli, si sono formalmente fatte avanti, e ora sarà il governo a dettare la strada alla luce della legge appena varata, quella osteggiata dalle opposizioni e su cui hanno espresso riserve anche Forza Italia e i suoi governatori del Sud. Uno dei vicesegretari di FI, il presidente della Calabria Roberto Occhiuto, ha ribadito li suoi distinguo e la richiesta di una moratoria per “fermare le intese con le Regioni prima della definizione dei Lep su tutte le materie”.

“Per la determinazione dei Lep si procederà con i vari passaggi dell’iter procedurale di attuazione disciplinato dalla legge”, ha chiarito Calderoli in Cdm, ricordando che la legge distingue fra le 23 competenze le 14 per cui serve la definizione preventiva dei livelli essenziali delle prestazioni, e le altre 9 che teoricamente le Regioni possono già rivendicare. Quando arriveranno le richieste formali su queste 9, Calderoli le comunicherà al ministero dell’Economia e agli altri competenti, che avranno 60 giorni per indicare i costi e le procedure necessarie.

Trascorsi quei due mesi, si potrà avviare il negoziato. Uno scenario su cui incombe il referendum abrogativo, che ha coalizzato le opposizioni. Sono facilitate dalla nuova piattaforma, appena attivata dal governo, che in “poche ore” ha consentito di raccogliere “quasi trentamila firme digitali, gratuite e certificate”, ha spiegato il segretario di +Europa Riccardo Magi. Il referendum potrebbe svolgersi fra aprile e giugno 2025. “Questa è una legge che spacca in due il Paese e fa male anche al Nord – ha sottolineato la segretaria Pd Elly Schlein – perché è assurdo immaginare di potere avere venti politiche energetiche diverse quando ne servirebbe una comune, europea, per riuscire ad abbassare le bollette sia alle imprese che alla famiglie”.

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Rebus regionali per centrodestra: in Liguria si cerca un ‘civico’ per sostituire Toti

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Nessuno vuole restare con il cerino in mano nel centrodestra. Dopo le dimissioni di Giovanni Toti, la maggioranza di governo si appresta ad aprire il tavolo per scegliere il candidato alla sua successione da presentare alle Regionali in Liguria, ma in questo momento fra i partiti si nota una certa ritrosia a farsi avanti: è evidente il timore di pagare fra tre mesi alle urne lo scotto dell’indagine sul governatore uscente. Paure moltiplicate dallo scenario di un election day autunnale, con anche al voto Emilia Romagna e Umbria, altre due competizioni in cui i sondaggi interni non regalano ottimismo. “È l’avvocato di Toti che decide se e quando ci sarà il voto anticipato…”, si ragionava nel centrodestra da qualche settimana. E forse c’era chi sperava in un prolungarsi dell’attesa, proprio per evitare il rischio di uno “0-3”. Le elezioni nelle tre regioni, non ancora fissate, probabilmente cadranno mentre a Roma la maggioranza sarà impegnata nella manovra di bilancio, una delle più delicate degli ultimi anni.

E il percorso di avvicinamento si sta rivelando tutt’altro che sereno. Le tensioni fra gli alleati si estendono dall’Autonomia differenziata alle nomine Rai, e in questo clima Giorgia Meloni (attesa da un periodo di relax in Puglia a cavallo di Ferragosto) deve portare a termine il negoziato estivo con Ursula von der Leyen sul commissario europeo da inviare a Bruxelles. Con in vista un probabile ritocco alla squadra di governo se quella poltrona toccherà al ministro Raffaele Fitto. In Liguria a breve dovrebbe aprirsi il tavolo del centrodestra con i coordinatori regionali, per individuare una proposta di candidato da sottoporre poi ai leader. Matteo Salvini avrebbe provato a sollecitare uno dei suoi fedelissimi, il viceministro Edoardo Rixi, che però non avrebbe intenzione di correre.

Fratelli d’Italia sta sondando l’ipotesi di un civico, una figura esterna ai partiti, proveniente dal mondo dell’impresa, dell’università o della società civile. Viene considerata la soluzione più opportuna in questa situazione. Una strada già percorsa in Emilia Romagna, dove nei giorni scorsi FdI, Lega, Forza Italia, Noi moderati e Udc hanno trovato l’intesa sull’appoggio alla candidatura di Elena Ugolini, vicina al mondo di Comunione e Liberazione. Il pessimismo in vista del probabile election day è legato anche ai risultati registrati alle Europee. In Liguria il centrodestra si è fermato al 44% (con FdI trainante a oltre il 26% e la Lega sotto il 9%), mentre ha superato il 51% il fronte (all’epoca disunito) del centrosinistra. E peggio è andata in Emilia Romagna, con la maggioranza di governo appena sopra il 40%. In Umbria cerca la conferma la governatrice della Lega Donatella Tesei, ma il suo partito a giugno è andato decisamente male (sotto il 7%) e solo l’exploit di FdI (oltre il 32%) ha permesso di superare di un punto e mezzo l’insieme dei partiti di centrosinistra.

Una triplice sconfitta sarebbe difficile da gestire, e non a caso già nella coalizione di governo si possono sentire distinguo sulla portata del risultato nelle tre diverse regioni. Le preoccupazioni fra le forze di maggioranza si estendono poi alle Regionali del 2025. I risultati delle Europee (sotto il 40%) producono pessimismo sulla Toscana, dove tra l’altro il partito della premier deve fronteggiare anche il malcontento della categoria dei balneari. Il Veneto invece è un rebus tutto da risolvere, legato anche al destino di Luca Zaia, per cui molti parlano di una corsa a sindaco di Venezia. Dopo il 37,5% raccolto alle Europee, FdI reclama la scelta del candidato governatore (Luca De Carlo è una delle opzioni), e già è facile prevedere un braccio di ferro fra Meloni e Salvini.

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