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Economia

Fumata nera su contratto infermieri, fermi anche medici

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Dopo 13 mesi di stallo, ancora una fumata nera sul contratto del comparto Sanità 2022-24, che riguarda oltre 580mila lavoratori del Servizio sanitario nazionale tra infermieri – che rappresentano oltre la metà del totale – tecnici e personale non medico. Sul tavolo ci sono 172 euro di aumento mensile ma i sindacati di categoria sono divisi e varie sigle reputano insufficienti le risorse stanziate e carente la parte normativa. L’incontro di oggi all’Aran per la ripresa delle trattative, dopo che alcune sigle avevano già fatto saltare l’accordo nei mesi scorsi, si è dunque chiuso con un nulla di fatto. Un nuovo incontro è previsto il 22 maggio.

Intanto, anche per il contratto dei medici è stallo: attendono ancora l’atto di indirizzo e chiedono di avviare subito le trattative. Nell’incontro di oggi, i sindacati degli infermieri e di categoria confermano posizioni differenti. Da un lato il sindacato Nursind, favorevole ad una chiusura. “Anche oggi – rileva il segretario Andrea Bottega – abbiamo ribadito la nostra disponibilità a sottoscrivere il Ccnl, ma soprattutto sollevato un problema di tempi perché i fondi, seppure pochi e insufficienti a compensare l’inflazione degli ultimi anni, vanno spesi entro fine anno come previsto dal Documento di finanza pubblica. Oppure sarà meglio poi doversi piegare a quanto sarà deciso unilateralmente dal governo? Questa sì che sarebbe una sconfitta per le relazioni sindacali”. Riferendosi quindi alle sigle che insistono sul nodo dei fondi, Bottega sottolinea che “la questione delle scarse risorse non è da porre al tavolo Aran. Non è in quella sede che può essere affrontata e risolta. Per disporre di nuovi stanziamenti, infatti, serve una legge”.

Per il Nursing up, l’incontro “si è rapidamente trasformato nell’ennesimo muro contro muro, senza uno spiraglio di soluzione”. E pur chiedendo di chiudere il contratto al più presto, il sindacato chiede a governo e regioni “da che parte stanno: basta teatrini, i professionisti sanitari non sono marionette”. E’ netta invece l’opposizione di Fp Cgil e Uil Fpl: “Non è emersa alcuna novità sostanziale, né sul piano economico né su quello normativo. Ancora una volta – affermano – il confronto si è rivelato privo di contenuti in grado di rispondere concretamente alle attese dei lavoratori e lavoratrici del settore. Ribadiamo con fermezza l’indisponibilità a sottoscrivere una pre-intesa che non riconosca il valore del personale sanitario attraverso tutele reali, diritti esigibili e un adeguato incremento salariale”. Insomma, avvertono, “in assenza di un cambio di rotta non esistono le condizioni per la chiusura positiva della trattativa”. Da parte sua, l’Aran sottolinea che, anche se restano distanti le posizioni delle parti, “il confronto ha permesso di entrare nel merito di alcune questioni specifiche, offrendo l’occasione per un dialogo più concreto. Per continuare il confronto e verificare se ci sono le condizioni per arrivare a un’intesa”.

Ricorda quindi che si prevede un aumento medio mensile di 172,37 euro per tredici mensilità, pari al 6,8% in più rispetto agli stipendi attuali, e le risorse stanziate ammontano a 1,784 miliardi. Oltre agli aspetti economici, il contratto introduce inoltre “maggiore tutela contro le aggressioni al personale, riorganizzazione degli incarichi professionali, potenziamento della formazione e nuove misure per migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro”. Intanto, medici e dirigenti sanitari ancora attendono l’atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il loro contratto 2022-24, dunque già scaduto. “Non solo non siamo disponibili ad aspettare, perchè è inaccettabile dover attendere la conclusione del contratto del comparto Sanità per poter iniziare a discutere di quello dei medici – affermano i leader dei sindacati Anaao e Cimo, Pierino Di Silverio e Guido Quici – ma anzi chiediamo di fare un ulteriore passo avanti accorpando i trienni contrattuali 2022-24 e 2025-27, una decisione che sarebbe storica”. Questo, concludono, per “garantire ai colleghi adeguamenti retributivi accettabili e bloccare l’intollerabile tradizione di firmare solo contratti già scaduti”.

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Economia

Effetto Trump, bruciati in Borsa 6.500 miliardi in 100 giorni

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Nei primi cento giorni di presidenza Trump ci sono stati 70 giorni di scambi a singhiozzo sui mercati finanziari e 32 giorni di perdite, con oltre 6.500 miliardi di dollari cancellati dal valore delle società quotate. Lo scrive il New York Times, secondo cui per i mercati finanziari il calo del 7% dell’indice S&P 500 rappresenta il peggior inizio di mandato presidenziale da quando Gerald R. Ford subentrò a Richard M. Nixon nell’agosto del 1974, dopo lo scandalo Watergate. La crisi, sottolinea il quotidiano, è persino peggiore di quando scoppiò la bolla tecnologica all’inizio del secolo, e George W. Bush ereditò un mercato già in caduta libera. Al contrario, Trump ha ereditato un’economia solida e un mercato azionario in ascesa da un massimo storico all’altro. La situazione è cambiata rapidamente quando Trump ha annunciato i suoi dazi il 2 aprile, facendo esplodere la volatilita’ nei mercati finanziari.

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Economia

Oxfam, compensi ad cresciuti del 50% per lavoratori solo +0,8%

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A livello globale, negli ultimi 5 anni, la retribuzione mediana degli amministratori delegati d’impresa è cresciuta del 50%, in termini reali, passando da 2,9 milioni di dollari nel 2019 a 4,3 milioni nel 2024. Un aumento che supera di ben 56 volte la modesta crescita del salario medio reale (+0,9%), registrata nello stesso periodo nei Paesi per cui sono pubblicamente disponibili le informazioni sui compensi degli ad.

E’ quanto riporta un’analisi di Oxfam diffusa in occasione del Primo maggio. Nel dettaglio, tra i Paesi in cui il campione di imprese analizzate è sufficientemente ampio, emerge che: Irlanda e Germania vantano alcuni tra gli ad più pagati con una retribuzione annua mediana rispettivamente di 6,7 milioni e 4,7 milioni di dollari nel 2024; in Sudafrica il compenso annuo mediano degli AD era di 1,6 milioni di dollari nel 2024, mentre in India ha raggiunto i 2 milioni di dollari.

“Anno dopo anno assistiamo allo stesso spettacolo a dir poco grottesco: i compensi degli ad crescono vertiginosamente, mentre i salari dei lavoratori in molti Paesi restano fermi o salgono di pochi decimali”, spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia. L’analisi di Oxfam si è concentrata inoltre sui divari salariali di genere a livello d’impresa. Esaminando 11.366 imprese di 82 Paesi, che pubblicano informazioni sul gender pay gap aziendale, si evince che il divario retributivo di genere a livello di impresa si sia, in media, ridotto tra il 2022 e il 2023, passando dal 27% al 22%. Ma tra le 45.501 imprese di 168 Paesi con un fatturato annuo superiore a 10 milioni di dollari e che riportano il genere del proprio ad, meno del 7% aveva una donna nella posizione apicale dell’organigramma aziendale.

Per quanto riguarda la dinamica dei salari reali in Italia, secondo Oxfam se, anziché ricorrere agli indici generali dell’inflazione, si facesse riferimento alla variazione dei prezzi del carrello della spesa (come approssimazione dei beni maggiormente consumati dai lavoratori con basse retribuzioni), il salario lordo nazionale registrerebbe, in media, una perdita cumulata di circa il 15% nel solo quadriennio 2019-2023 e la dinamica positiva del 2024 non rappresenterebbe che un placebo per i lavoratori con le retribuzioni più basse.

“Fino ad oggi, nell’azione del Governo è del tutto assente una chiara politica industriale, orientata alla creazione di posti di lavoro di qualità, che scommetta su innovazione, transizione verde e formazione, senza lasciare indietro nessuno. – conclude Maslennikov – Il Governo stenta a intervenire sul rafforzamento della contrattazione collettiva e sulla revisione del sistema di fissazione dei salari e ha affossato il salario minimo legale che rappresenta una tutela essenziale per i lavoratori più fragili”.

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Economia

Wsj, cda di Tesla cerca un nuovo ceo per sostituire Musk

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Il consiglio di amministrazione di Tesla ha iniziato a cercare un nuovo CEO per sostituire il fondatore Elon Musk. Lo riporta il Wall Street Journal. Secondo il quotidiano la decisione è stata presa dopo il crollo delle azioni e degli utili di Tesla. Alcuni investitori ritengono che Musk sia troppo impegnato con il suo lavoro di capo del Dipartimento per l’Efficienza Pubblica (DOGE), che pure sembra volgere al termine. Non è stato reso noto se Musk sia stato informato della decisione.

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