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Cronache

Frodi e sprechi, 6 miliardi sottratti alla spesa pubblica: tra gli italiani troppi truffatori incalliti

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Un popolo di santi, poeti e truffatori. Che ruba su tutto: sui fondi europei e sui soldi stanziati per il reddito di cittadinanza; sulle risorse per gli appalti pubblici e su quelle dedicate al sistema sanitario e pensionistico. Sei miliardi in tutto. I dati della Guardia di Finanza, che abbracciano un periodo che va dal 1 gennaio 2021 al 31 maggio 2022, sono una fotografia impietosa di quanto l’Italia resti, ancora, la patria dei furbetti. E di quanto ci sia ancora da lavorare per evitare che facciano la stessa fine gli oltre 222 miliardi del Pnrr. Il dossier e’ un lungo elenco di ruberie, sprechi ed episodi di corruzione scoperti in questi 17 mesi con oltre un milione di verifiche in ogni ambito. Controlli che hanno consentito, per quanto riguarda le frodi alla spesa pubblica, di denunciare 45.700 persone e inviare 7.600 segnalazioni alla Corte dei Conti, per un danno alle casse dello Stato che ammonta a 3,5 miliardi. Verifiche “a tutto campo” dice non a caso la Finanza, che sono destinate “ad intensificarsi ulteriormente” proprio per evitare che le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza finiscano nella mani della criminalita’. “C’e’ da un lato una fortissima attenzione ad assicurare alla giustizia i responsabili” di frodi e sprechi, ha sottolineato il comandante generale Giuseppe Zafarana davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ieri l’ha ricevuto al Quirinale, “e dall’altro a recuperare quanto piu’ possibile di quanto viene sottratto alle casse dello Stato”. I numeri, dunque. I contributi a fondo perduto e i finanziamenti bancari sono stati oggetto di 12.700 verifiche che hanno portato alla denuncia di 2.400 persone: sono oltre 290 milioni di euro quelli percepiti illecitamente. L’entita’ delle truffe al sistema sanitario ammonta invece a 549 milioni, quella al sistema previdenziale e assistenziale a 365 e quella ai fondi strutturali Ue a 129 milioni. Il valore degli appalti sui quali sono state riscontrate irregolarita’ e’ di ben 1,4 miliardi e di questi 360 milioni sono nel settore sanitario, il piu’ provato dalla pandemia. Numeri che hanno portato alla denuncia di 3.400 persone di cui 397 arrestate. Discorso a parte merita il reddito di cittadinanza: gli illeciti scoperti ammontano a 288 milioni e sono 29mila le persone denunciate, ma non tutti questi soldi, fortunatamente, sono finiti nelle mani sbagliate. Dalle verifiche e’ emerso che ne sono stati indebitamente percepiti 171 milioni, mentre altri 117 sono stati richiesti ma non ancora riscossi. Si tratta di numeri molto piu’ alti rispetto all’ultimo dato disponibile, anche se un raffronto non e’ possibile perche’ quello e’ riferito al solo 2020 e questo prende un periodo di 17 mesi. In ogni caso, l’ultima rilevazione parlava di 5.900 denunciati e illeciti per 63 milioni, tra soldi percepiti e richieste avanzate. E l’evasione fiscale? Non va certo meglio. In pochi mesi i finanzieri hanno scoperto truffe sui bonus stanziati dal governo per far fronte alla crisi provocata dalla pandemia – vale a dire i crediti di imposta agevolati in materia edilizia ed energetica – per 5,6 miliardi. Di questi 2,5 miliardi sono stati sequestrati ma 2 miliardi, ha detto amaramente Zafarana, “sono stati purtroppo monetizzati”. Non solo: in 17 mesi sono stati denunciati per reati tributari quasi 20mila italiani (508 dei quali arrestati), scovati 5.762 evasori totali, soggetti che non hanno mai pagato un euro di tasse (nel 2020 erano 3.500) e scoperti 1.615 casi di evasione fiscale internazionale. Quanti soldi hanno sottratto alla comunita’? Il dato non e’ piu’ disponibile da anni, ma ce ne e’ un altro che da’ l’idea della dimensione del fenomeno, il valore dei beni sequestrati poiche’ profitto di evasione e frodi fiscali: 2,2 miliardi.

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Vincenzo Nibali: «Ero un carusu dannificu. La bici mi ha salvato dalla strada»

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Messina, la Sicilia, la fatica, la gloria. Vincenzo Nibali si racconta al Corriere della Sera, tra ricordi di un’infanzia ribelle, il riscatto sulla bicicletta e la consapevolezza maturata solo dopo il ritiro. Un’intervista intensa, autentica, a cuore aperto.

Una giovinezza a rischio: «Compagni con la pistola nello zaino»

«Ero un carusu dannificu», dice Nibali, usando l’espressione siciliana per “bambino disastroso”. Uno che attirava guai: sassate alle vetrate, petardi nelle cassette postali, motorini lanciati contro i muri. Una giovinezza vissuta in un quartiere difficile di Messina, dove alcuni compagni portavano la pistola a scuola. Nessuna mafia organizzata, ma il pizzo sì: «Colpì anche la cartoleria dei miei genitori».

La salvezza arriva su due ruote: «Sempre in salita, come da Messina»

La svolta arriva con la bici, a 12 anni, grazie al padre e ai suoi amici cicloturisti. Le prime gare, l’ammiraglia della Cicli Molonia, il traghetto per Villa San Giovanni che diventava un passaggio simbolico verso il sogno. A 15 anni vince a Siena e non torna più: «Mai avuto nostalgia. I miei genitori mi dissero: se ti impongono cose sbagliate torna, qui avrai sempre un lavoro. Mi ha aiutato a non cedere al doping».

L’ascesa, la gloria, il peso della vittoria

Nibali è uno dei pochi ciclisti ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri. Il Tour de France del 2014 è stato l’apice, ma anche l’inizio di un incubo: «Non potevamo camminare con la carrozzina di nostra figlia senza essere assaliti. Solo adesso che ho smesso, vivo davvero». E confessa: «Mai provato e mai pensato di doparmi. Ma ho pagato il sospetto solo perché vincevo ed ero italiano».

La caduta che fa crescere: l’Olimpiade sfumata

Nel 2016 era lanciato verso l’oro olimpico, ma cadde in curva. «Scelsi io di rischiare, e sbagliai. Nessuna scusa». Parla anche del secondo posto alla Liegi-Bastogne-Liegi, “scippato” da un dopato, ma senza rancore: «Non mi chiedo mai quanto ho perso per colpa del doping».

Il ritorno da turista: «Messina è ‘u megghiu postu nto munnu’»

Oggi Nibali è ambasciatore del Giro e padre presente. Ha visitato la Sicilia con le figlie per farla conoscere da turista: «Antonello da Messina, i templi di Agrigento, i boschi dei Peloritani… È il posto più bello del mondo». Un campione che, a distanza di anni, può guardarsi indietro con orgoglio: «A testa alta, sempre».

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Guerra dei cassonetti ai Parioli: scompaiono i bidoni davanti a casa Castellitto

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Nel quartiere elegante e silenzioso dei Parioli esplode una singolare guerra urbana, fatta di strisce gialle, rifiuti e cortili privati. Oggetto del contendere: un set di cassonetti della raccolta differenziata, misteriosamente spariti dalla carreggiata davanti alla villa dell’attore Sergio Castellitto.

I cassonetti finiscono nel cortile dell’attore

La miccia si accende nella notte tra il 20 e il 21 aprile. I bidoni che servivano i residenti della zona vengono spostati oltre il cancello della villa in cui vive Castellitto, allineati ordinatamente nel cortile. Una rimozione anomala che di fatto priva della raccolta l’intero isolato. Le strisce gialle, predisposte per accogliere i cassonetti, rimangono desolatamente vuote.

Secondo indiscrezioni, l’attore avrebbe più volte manifestato il suo malcontento per la presenza dei contenitori davanti all’ingresso della sua abitazione, considerandoli poco decorosi. I vicini, al contrario, li ritengono un servizio essenziale, invocandone semmai una manutenzione più frequente.

Denuncia in arrivo e reazione dei residenti

A seguito dell’episodio, il quartiere insorge. I residenti, costretti a girovagare per il quartiere con buste e cartoni, scattano foto e si interrogano sul destino dei contenitori. Tra loro anche il regista premio Oscar Paolo Sorrentino, recentemente trasferitosi nella zona.

Dopo poche ore, i cassonetti scompaiono anche dalla visuale del villino: né davanti al cancello né sul marciapiede. Ma non vengono ricollocati nella loro sede originaria. La vicenda, lungi dal concludersi, potrebbe ora avere conseguenze legali.

Ama pronta a sporgere denuncia

La municipalizzata dei rifiuti, Ama (foto Imagoeconomica), non intende lasciar cadere il caso. I vertici dell’azienda starebbero preparando una denuncia ai carabinieri per la scomparsa dei contenitori. Anche l’assessore al Verde del Municipio, Rosario Fabiano, si è attivato per fare luce sull’accaduto.

Il comitato Le Muse: “I cassonetti tornino al loro posto”

Dal comitato di zona Le Muse l’appello è chiaro: «Speriamo che quei cassonetti tornino al più presto al loro posto. Sarebbe grave se così non fosse. Si tratta di oggetti che appartengono alla collettività, ricordiamolo».

Intanto, nel quartiere ovattato dei Parioli, il decoro urbano si trasforma in una guerra di nervi, tra privacy e servizio pubblico, in attesa che si ristabilisca un fragile equilibrio tra rifiuti e rispetto.

 

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La madre del 17enne condannato per l’omicidio di Santo Romano: «Non è lui l’autore dei post provocatori»

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Ha deciso di rivolgersi alla polizia postale la madre del 17enne condannato a 18 anni e 8 mesi per l’omicidio di Santo Romano, ucciso nella notte tra l’uno e il due novembre scorsi a San Sebastiano al Vesuvio. Lo fa per chiedere chiarezza su una vicenda che – a suo dire – rischia di danneggiare ulteriormente il figlio.

La denuncia: «Quei post non li ha scritti mio figlio»

«Mio figlio è detenuto ad Airola, non ha accesso ai social e non è stato mai segnalato per l’uso di telefoni cellulari in modo clandestino», spiega la donna, assistita dall’avvocato Luca Raviele. E chiarisce: «Non può essere lui l’autore dei messaggi comparsi in rete dopo la sentenza». Messaggi che – accompagnati da immagini del ragazzo risalenti a mesi fa – contengono frasi provocatorie e offensive, come: «Io 18 anni e 8 mesi me li faccio seduto su un cesso».

Una pioggia di messaggi offensivi

Quei post, circolati in modo virale sui social, hanno fatto riesplodere le tensioni tra i familiari delle due fazioni coinvolte nella tragica vicenda. E la madre del minore condannato prende le distanze: «Non c’entriamo nulla. Né io, né parenti o conoscenti abbiamo scritto o condiviso quei contenuti. Spero che la polizia postale indaghi per risalire ai veri responsabili».

La notte dell’omicidio: una lite per una scarpa sporca

Tutto è iniziato in piazza Capasso, cuore della movida di San Sebastiano. Un banale litigio per una scarpa pestata ha innescato lo scontro tra due gruppi di ragazzi. Dopo un primo alterco, la situazione sembrava rientrata, ma secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – anche grazie a un video – Santo Romano sarebbe tornato indietro rivolgendosi all’auto dove si trovava L.D.M. Un gesto, forse un lancio, e poi il dramma: due colpi di pistola al petto, esplosi dal 17enne. Santo muore sul colpo.

Un processo doloroso e una sentenza pesante

Martedì scorso è arrivata la condanna in primo grado: 18 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio, tentato omicidio e detenzione di arma da fuoco. L’indagine è stata condotta dal pm Ettore La Ragione della Procura per i Minori. Una sentenza che ha alimentato il dolore dei familiari di Santo Romano, un ragazzo di 19 anni, portiere di una squadra di calcio, noto nel suo gruppo per essere sempre un paciere.

Il timore di nuove tensioni

I post emersi nelle ultime ore rischiano di avvelenare ulteriormente il clima. «Non voglio neanche ripetere il contenuto di certi messaggi – spiega la madre del ragazzo – sono offensivi, gratuiti, e danneggiano mio figlio. Non possiamo permettere che a una tragedia come questa si aggiungano nuove ingiustizie». Per questo è stata sporta una formale denuncia contro ignoti: sarà ora compito degli investigatori della polizia postale stabilire chi si nasconde dietro quegli account.

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