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Lavoro

Fnsi e Ordine non vogliono discutere di equo compenso con Di Maio che li invita al ministero

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Il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio convoca Ordine e sindacato dei giornalisti per un tavolo di confronto sull’equo compenso e sul precariato. Loro rifiutano. “Prima dovete chiederci scusa per gli insulti” e poi e ne parla. EÈ questa in soldoni la motivazione ufficiale fornita al governo. Dunque è ufficiale, i vertici della stampa italiana non andranno la settimana prossima al ministero dello Sviluppo economico. Anzi, quel giorno il segretario della Federazione, Raffaele Lorusso, e il presidente dell’Ordine, Carlo Verna, saranno già impegnati a Bruxelles, a parlare di libertà di stampa. Un convegno organizzato al parlamento europeo dal Partito democratico. Se Di Maio sperava di seppellire l’ascia di guerra per discutere della famosa legge sull’equo compenso e più in generale del problema del precariato che affligge la categoria, evidentemente dovrà aspettare. Cosa e fino a quando non si capisce perchè la risposta di Ordine e Fnsi  è stata gelida: “Nel ringraziare il ministro per l’invito, il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, e il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, gli hanno fatto presente che un confronto costruttivo fra il governo e gli enti dei giornalisti non può prescindere da un preventivo atto di pubblica ammenda degli insulti rivolti alla categoria”. Gli attacchi sono “infimi sciacalli” del vicepremier e “puttane e pennivendoli” scritto da Di Battista dopo la assoluzione di Virginia Raggi. Ed erano rivolti ai giornalisti che avevano ricamato accuse “false” contro la Raggi. Certo è che non andare a discutere di equo compenso e dei diritti dei precari sottopagati per i litigi con il M5S, aldilà delle simpatie personali o politiche, fa del male non a Di Maio (nella foto con un giornalista che non ha problemi di equo compenso) ma alla categoria, quella parte maggiormente esposta ai quotidiani ricatti degli editori.

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Economia

L’occupazione cresce, ma l’Italia resta ultima in Ue

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Il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni in Italia nel quarto trimestre cala di 0,1 punti sul terzo trimestre e aumenta di 0,2 punti sullo stesso periodo del 2023 fissandosi al 62,2%. Ma, nonostante la crescita tendenziale, cresce il gap con la media Ue che si attesta a 8,7 punti dagli 8,6 del quarto trimestre 2023. Il passo indietro riguarda soprattutto per il lavoro femminile. La fotografia, che vede l’Italia fare progressi sul fronte del lavoro chè però non riescono a colmare il divario rispetto agli altri Paesi, è quella delle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali l’Italia si conferma ultima tra i 27 per tasso di occupazione.

Il divario per le donne è ancora più ampio con il tasso di occupazione che nell’ultimo trimestre del 2024 era al 53,1% in Italia e al 66,3% e nell’Ue a 27. In media si tratta di un gap di 13,2 punti, che sale rispetto ai 12,8 del quarto trimestre 2023. Appena meglio dell’Italia fa la Romania con il 54,9% ma se si guarda altri Paesi, come la Germania, il confronto appare ancora più penalizzate visto che è occupato il 74,2% delle donne in età da lavoro. In Italia esiste quindi un “esercito di riserva” di donne che però deve fare i conti con la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e le difficoltà nelle strutture di sostegno alla famiglia come i nidi, la scuola a tempo pieno, oltre ad aiuti per la cura degli anziani in un Paese nel quale il peso dell’impegno tra generi nel ‘welfare familiare’ è ancora molto sbilanciato.

Questo ha impatto anche sul lavoro. Mentre per le donne il divario con l’Ue è aumentato per gli uomini in età da lavoro la distanza nel tasso di occupazione con l’Europa si è invece ridotta a 4,1 punti dai 4,3 del quarto trimestre 2023. Nel quarto trimestre 2024 infatti lavorava in Italia il 71,3% degli uomini tra i 15 e i 64 anni a fronte del 75,4% nell’ Ue a 27. La distanza è ancora minore nella fascia degli uomini tra i 25 e i 54 anni, coorte centrale della popolazione in età da lavoro, ormai uscita dal percorso di formazione e non ancora in età da pensione neanche anticipata, con l’87,5% al lavoro in Ue e l’84,4% in Italia. Anche l’occupazione giovanile rimane un punto dolente per l’Italia.

Il divario resta forte con l’Europa. Tra i 15 e i 24 anni l’occupazione complessiva è al 19,2% in Italia ma si confronta con il 34,8% europeo. Il fossato che divide i giovani italiani da quelle europei è di 15,6 punti ed è cresciuto visto che nel solo quarto trimestre 2024 i dati italiani mostrano un peggioramento di un punto se si confrontano a quelli dello stesso periodo dell’anno precedente. Il divario è sempre a due cifre ma appena meno penalizzante per i giovani di sesso maschile: tra i 15 e i 24 anni l’occupazione è al 23,6% in Italia con 13,3 punti in meno rispetto all’Ue che si attesta al 36,9%. Guardando alle diverse fasce d’età, in quella centrale l’Italia arranca per l’occupazione femminile: lavora il 64,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni a fronte del 77,8% medio in Ue. Per le donne, poi, il tasso è di quasi 20 punti inferiore a quello degli uomini nel nostro Paese nella stessa fascia di età (84,4%) mentre era di 19,1 punti un anno fa.

Il gap tra i sessi è aumentato. Il divario, in questa fascia, è invece di 13.2 punti rispetto al 77,8% dell’Ue. La differenza diminuisce per le più anziane, tra i 55 e i 64 anni (10,6 punti di differenza tra il 49,2% dell’Italia e il 59,8% dell’Ue) e cresce tra le giovani di 15-24 anni (18 punti il 32,5% medio in Ue e il 14,5% in Italia). Se si considerano i sessi, il divario rimane anche se si guarda al tasso di occupazione complessivo, tra i 15 e i 64 anni: la percentuali di uomini e donne al lavoro è del 62,2% ma anche in questo è frutto di una media alla Trilussa con gli uomini al 71,3% e le donne al 53,1% con un divario di genere che sale a 18,2 punti dai 17,7 dell’ultimo trimestre 2023. La lettura dei dati è comunque opposta tra i partiti. Se il responsabile lavoro del Pd Arturo Scotto parla di una “certificazione del fallimento delle politiche del governo Meloni”, il senatore dei Fratelli d’Italia Ignazio Zullo rivendica “Il primato del governo Meloni di oltre un milione di persone tornate al lavoro”.

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Economia

Una donna su 5 lascia il lavoro quando diventa madre

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Lavoro o famiglia. Quando conciliare è difficile e la scelta diventa una rinuncia, in un senso o nell’altro. E così la sfera professionale e genitoriale restano ancora ambiti contrapposti. Succede ad un quinto delle donne, che lasciano il lavoro alla nascita del figlio. “Una discriminazione inaccettabile”, denuncia la segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, in occasione del convegno organizzato per l’8 marzo “Donne, lavoro, futuro”, a cui partecipa anche la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone, che rimarca l’impegno affinché “una donna non sia costretta a scegliere”.

Conciliazione tra vita familiare e lavorativa è dunque la parola d’ordine, ma rimane “ancora insufficiente”: perché la “child penality”, ovvero “la penalizzazione che le donne subiscono alla nascita di un figlio, non è possibile che da noi abbia un peso così grande e negativo – ammonisce Fumarola -. Una cosa totalmente assente per gli uomini”. Così i divari restano. La fotografia del rapporto Cnel-Istat “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità” conferma che maternità e famiglia pesano sull’occupazione femminile, che spesso vira sul part time. E che al Sud il gap è più ampio.

Se il tasso di occupazione delle donne single è del 69,3% (contro il 77% degli uomini), quello delle madri scende al 57,2%, portando in questo caso lo scarto con gli uomini a sfiorare i 30 punti percentuali. Nel complesso, le donne con un lavoro in Italia sono circa 10 milioni, gli uomini 14 milioni. Il tasso di occupazione si attesta al 52,5% per la componente femminile e al 70,4% per quella maschile. Ma a livello territoriale le disparità sono rilevanti, ancor più in presenza di figli: se nelle regioni del Nord e del Centro il tasso di occupazione delle madri supera o sfiora il 70%, nel Mezzogiorno si attesta poco sopra il 40%. E nelle regioni del Sud quando i figli minori sono più di uno la quota di occupate tra le madri si ferma al 42%.

Se poi sono giovani madri (25-34 anni) con al massimo la licenza media, il tasso di occupazione non raggiunge il 30%. In diversi casi si affaccia il part time, anche involontario. Circa 3 milioni di donne (il 31,5% delle occupate) lavora a tempo parziale, contro l’8,1% degli uomini, poco più di un milione. Tra le donne con figli sono soprattutto le 25-34enni a ricorrere al part time: tra loro arriva al 41%. Le madri sole sono quasi 1 milione e rappresentano il segmento con più elementi di vulnerabilità sul mercato del lavoro. E ci sono poi le donne inattive: oltre 7,8 milioni che non cercano un’occupazione e più di un terzo non lo fa proprio per motivi familiari.

Il nodo è nei servizi, con quelli per la prima infanzia scarsamente diffusi, specie nel Mezzogiorno. Mentre la domanda da parte delle famiglie per la frequenza dell’asilo nido, sulla base dei dati relativi all’anno educativo 2022-23, risulta in aumento più dell’espansione dell’offerta. Di conseguenza, aumentano le lista d’attesa: dal 49,1% dei servizi nel 2021-22 si passa al 56,3%. I nidi con bambini in lista d’attesa sono molto più frequenti nel settore pubblico (67,6%), ma si registra un esubero delle domande anche nei servizi privati (49,4%).

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Economia

Al lavoro 10 milioni di over 50, raddoppiati in 20 anni

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La stretta sull’accesso alla pensione, l’andamento demografico del paese, il mismatching tra domanda e offerta: l’occupazione cresce ma la forza lavoro italiana invecchia sempre di più. Gli over 50 al lavoro a gennaio 2025 hanno sfiorato quota 10 milioni (9.992.000) con oltre cinque milioni di unità in più rispetto allo stesso mese del 2005 mentre nello stesso periodo gli under 35 sono passati da 7,47 milioni a 5,44 con oltre due milioni in meno. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat gli occupati in Italia sono cresciuti tra gennaio 2005 e gennaio 2025 di 1,86 milioni di unità ma c’é stato un significativo aumento sull’età media dei lavoratori. Se si guarda solo alla fascia tra i 50 e i 64 anni, nel gennaio 2005 lavoravano 4 milioni 612mila persone mentre 20 anni dopo ne risultavano 9 milioni 165mila.

Con almeno 65 anni risultavano al lavoro 20 anni fa appena 334mila persone contro gli 827mila di gennaio del 2025. Il tasso di occupazione tra i 50 e i 64 anni in 20 anni è passato dal 43,2% al 66,1% con quasi 23 punti percentuali in più. Il problema non è solo italiano ma nel nostro Paese è più evidente. E d’altronde, secondo un recente report del Cnel, l’Italia con la Bulgaria, è lo stato nel quale l’età media dei lavoratori è la più alta d’Europa con 44 anni e si stima che nel 2030 il 32% della forza lavoro sarà over 55. Ci supererà il Giappone con il 38%. Non solo. Evidenti i cambiamenti negli ultimi 20 anni se si guarda anche a coloro che lavorano dopo i 64 anni.

Le persone occupate tra i 50 e gli 89 anni sono passate in 20 anni da 4,87 milioni del terzo trimestre 2004 a 9,78 nello stesso trimestre del 2024 con quasi cinque milioni di unità in più. Tornando ai dati di gennaio nel complesso per le donne il tasso di occupazione è aumentato di otto punti percentuali al 53,5% a fronte di un incremento di 2,5 punti per gli uomini ma il tasso di occupazione femminile resta in fondo alla classifica Ue. Perde quota a causa della demografia anche la fascia dei 35-49 anni passata in 20 anni dai 9 milioni 938mila del 2005 agli 8 milioni 787mila del 2025 con oltre 1,15 milioni di unità in meno.

Questa classe di età ha un tasso di occupazione nel 2025 del 77,3%, superiore sia a quella tra i 25 e i 34 anni (69,4%) sia a quello delle persone tra i 50 e i 64 anni (66,1%) ma in aumento solo di 1,7 punti rispetto a gennaio 2005. Negli ultimi 20 anni il tasso complessivo è aumentato di 5,4 punti, dal 57,4 al 62,8 con un’impennata dopo il Covid. A gennaio 2020, prima dello scoppio della pandemia, il tasso di occupazione era al 59,1% con 23 milioni 38mila occupati mentre cinque anni dopo gli occupati erano 24 milioni 222mila con quasi 1,2 milioni di lavoratori in più. Per affrontare il nodo dell’invecchiamento della forza lavoro l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) ha lanciato all’inizio di quest’anno un piano decennale. Infatti con l’allungamento della vita lavorativa, vanno risolte le questione legate alle diverse capacità fisiche e sensoriali degli occupati più maturi.

L’Agenzia sta sviluppando strumenti per valutare i rischi specifici e adattare l’ambiente lavorativo per mantenere elevati standard di salute e sicurezza, migliorando al contempo l’inclusione e la partecipazione attiva di ognuno in una realtà sempre più diversificata.

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