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Lavoro

Fnsi e Ordine non vogliono discutere di equo compenso con Di Maio che li invita al ministero

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Il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio convoca Ordine e sindacato dei giornalisti per un tavolo di confronto sull’equo compenso e sul precariato. Loro rifiutano. “Prima dovete chiederci scusa per gli insulti” e poi e ne parla. EÈ questa in soldoni la motivazione ufficiale fornita al governo. Dunque è ufficiale, i vertici della stampa italiana non andranno la settimana prossima al ministero dello Sviluppo economico. Anzi, quel giorno il segretario della Federazione, Raffaele Lorusso, e il presidente dell’Ordine, Carlo Verna, saranno già impegnati a Bruxelles, a parlare di libertà di stampa. Un convegno organizzato al parlamento europeo dal Partito democratico. Se Di Maio sperava di seppellire l’ascia di guerra per discutere della famosa legge sull’equo compenso e più in generale del problema del precariato che affligge la categoria, evidentemente dovrà aspettare. Cosa e fino a quando non si capisce perchè la risposta di Ordine e Fnsi  è stata gelida: “Nel ringraziare il ministro per l’invito, il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, e il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, gli hanno fatto presente che un confronto costruttivo fra il governo e gli enti dei giornalisti non può prescindere da un preventivo atto di pubblica ammenda degli insulti rivolti alla categoria”. Gli attacchi sono “infimi sciacalli” del vicepremier e “puttane e pennivendoli” scritto da Di Battista dopo la assoluzione di Virginia Raggi. Ed erano rivolti ai giornalisti che avevano ricamato accuse “false” contro la Raggi. Certo è che non andare a discutere di equo compenso e dei diritti dei precari sottopagati per i litigi con il M5S, aldilà delle simpatie personali o politiche, fa del male non a Di Maio (nella foto con un giornalista che non ha problemi di equo compenso) ma alla categoria, quella parte maggiormente esposta ai quotidiani ricatti degli editori.

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Cronache

Manager napoletano perse il lavoro, ora a Milano lo trova agli altri

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Nel 2008 perde il lavoro di Account manager di un’importante azienda e da lì a pochi mesi nasce la sua seconda figlia e perde il lavoro anche la moglie. Ma Gennaro Izzo, napoletano di origine e residente a Milano, non si perde d’animo e inizia a lavorare come magazziniere e cameriere. Fino al 2016, quando insieme al Centro Siloe, fonda la cooperativa ‘Tutto è per grazia’, con lo scopo di inserire nuovamente le persone nel mondo del lavoro: da giugno 2022 a febbraio 2023 su 100 persone che hanno chiesto aiuto alla cooperativa, 70 sono state ricollocate e tra questi ci sono anche due clochard.

“Noi siamo provvidenza per il prossimo e questo avviene dentro un processo gratuito e non sottostando alle logiche dello scambio e del clientelismo”, commenta Izzo che cita come punto di svolta anche l’incontro con don Walter Magnoni della Curia di Milano. “Mi portò in Caritas – racconta – e da quel giorno cambiò il mio sguardo sulla vita e sul lavoro”. Oggi la cooperativa “è un’oasi dove rinfrescarsi” e “chi passa da noi inizia a lavorare”.

Ma è anche “un luogo che assicura tranquillità psicologica ed economica. La nostra mission – spiega – è dare il lavoro giusto alla persona giusta, attraverso una mansione adatta, in linea con le attitudini del richiedente. Di solito chi è rimasto a terra accetta qualunque lavoro, noi abbiamo ribaltato il modello”.

La Cooperativa si occupa di facchinaggio, pulizie, sgomberi, attività di multi servizi che rientrano nel contratto nazionale e ha iniziato ad occuparsi anche di ristrutturazioni edili, di restauri di quadri antichi, affreschi e palazzine liberty. Tra i servizi offerti c’è anche quello dedicato al segretariato da remoto, creato per aiutare ragazze madri che avrebbero difficoltà ad andare in ufficio. “Ho incontrato Gennaro perché all’epoca ero responsabile della pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Milano. Tutte le questioni collegate al lavoro passavano dal mio ufficio e lui – dice don Magnoni – è stato uno di quelli che si è presentato ponendomi da un lato una situazione che si era andata a complicare, ma dall’altro l’idea di creare qualcosa che permettesse di lavorare a lui ma anche di dar lavoro ad altri. L’intuizione mi era sembrata promettente ma chiedeva di essere accompagnata. Mi fa piacere vedere che questa cosa inizia ad avere una sua sostenibilità” .

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Economia

In ufficio 4 giorni, anche in Italia inizia dibattito

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I sindacati iniziano a chiedere che anche in Italia, dove già alcune grandi aziende hanno iniziato a farlo, si sperimenti la settimana lavorativa di quattro giorni. Una sperimentazione positiva, testimoniata dagli ultimi dati in arrivo dal Regno Unito, che per il segretario della Fim Cisl, Roberto Benaglia, impone di “aprire un confronto tra le parti sociali per andare nella stessa direzione”. “E’ tempo di regolare il lavoro, soprattutto nel settore manifatturiero, in modo più sostenibile, libero e produttivo. E’ possibile ripensare gli orari aziendali e ridurli non contro la competitività aziendale – spiega Benaglia – ma ricercando nuovi equilibri e migliori risultati”.

“La Fim Cisl già lo scorso anno ha proposto di negoziare, soprattutto a livello aziendale, una forma di lavoro fatta di 4 parti di attività piena e 1/5 di riduzione d’orario, che possa essere dedicata anche alla formazione o ai carichi di cura”. Secondo uno studio inglese diffuso nei giorni scorsi la sperimentazione ha messo in eveidenza dipendenti meno esauriti e stressati, meno giorni di malattia e dimissioni, lieve aumento dei ricavi Dai risultati è emerso come circa il 71% dei lavoratori abbia dichiarato livelli inferiori di “burnout” e il 39% ha riferito di essere meno stressato rispetto all’inizio dello studio. Questo si è tradotto in una riduzione del 65% dei giorni di malattia e in un calo del 57% delle dimissioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma il dato più eloquente è l’elevato livello di consenso delle aziende: circa il 92% (56 su 61) ha affermato di voler continuare con la settimana corta e 18 imprese hanno confermato il cambiamento come permanente. Più facile, per i dipendenti, conciliare il lavoro con gli impegni familiari e sociali, con livelli autodichiarati di ansia e affaticamento diminuiti e un miglioramento della salute mentale e fisica.

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Esteri

Panasonic: sì a demansionamento per casi molestie sessuali

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Linea dura in Giappone da parte della Panasonic sui casi di molestie sessuali commesse sul lavoro. Lo ha detto in un’intervista all’agenzia Kyodo, Yasuyuki Higuchi, presidente e amministratore delegato di Panasonic Connect Co, una succursale del conglomerato dell’elettronica del Sol Levante. Sarà infatti previsto il demansionamento, anche nel caso di un solo incidente per i dipendenti ritenuti responsabili di un’infrazione del codice, mentre in determinate contingenze si potrà prendere in considerazione il licenziamento dell’individuo, ha spiegato il dirigente.

La Japan Harassment Association di Osaka ha elogiato la mossa della multinazionale con sede a Tokyo, che dà lavoro a circa 28.500 dipendenti, affermando l’importanza del messaggio formulato da un’azienda di tali dimensioni, come “deterrente sociale” per prevenire ogni tipo di molestia di natura sessuale e di genere. Secondo gli esperti, tuttavia, mentre una dequalificazione è la punizione più probabile dopo un lungo periodo di molestie sessuali o dopo diversi casi, rimane ancora improbabile che le aziende possano retrocedere immediatamente un lavoratore dopo un singolo incidente.

Higuchi – che in passato ha ricoperto il ruolo di ex presidente di Microsoft Japan, ha affermato che le imprese di tutto il mondo stanno prendendo sul serio le nuove attitudini sul concetto di ‘conformità aziendale’ e nel complesso delle diversità di genere, e che le aziende giapponesi devono necessariamente seguire l’esempio, altrimenti perderanno terreno nella competizione globale per attrarre i migliori talenti. In base alle nuove linee guida di Panasonic Connect, un comitato indipendente dalla direzione della società si occuperà della segnalazione degli episodi di molestie sessuali.

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